Il limite: asse rotante del pensiero, della storia, della vita

Un affascinante tema, anche filosofico, oggetto di un convegno a Roma, "Il limite e oltre" organizzato dal Centro Studi filosofici di Gallarate

Il limite e l’ansia, e insieme, la tentazione di superarlo.

Attorno a questa figurazione ruota la storia dell’uomo, si è affaccendato per millenni il pensiero, ruota da sempre la vita umana.

La storia, la filosofia, la scienza, la letteratura, l’arte, la religione ci hanno dato rappresentazioni concettuali, figurative, mitologiche esemplari di questa ontologica condizione dell’uomo, che è insofferente di limiti e aspira a superarli, ad “andare oltre”  la sua finitezza, in un anelito di trascendenza e di infinito che, nel bene e nel male, lo ha spinto nei secoli a vertiginose mete e a catastrofiche illusioni di onnipotenza.

E così abbiamo il sogno di Prometeo, la tentazione di Faust, l’aspirazione seriale di don Giovanni, lo spirito avventuroso dell’Ulisse dantesco che supera le colonne d’Ercole. Ma prima ancora, per stare nella Bibbia, i progenitori dell’uomo che hanno avuto in dono dal Creatore tutto l’Eden ma non rispettano l’unico divieto – il limite- di non mangiare la mela, da allora simbolo della tentazione.

Il limite, quindi, vissuto come ostacolo, come soglia, come confine, ma anche come termine, a cominciare dal tempo che ci è dato, dalla stessa vita destinata a finire.

Ma il limite, per una sorta di dialettica interna, ha in sé la spinta a farsi oltrepassare: per una sorta di polarità, il limite richiama l’illimitato, richiama appunto “l’oltre”, la trascendenza.

Il limite è, ad esempio, la siepe leopardiana senza la quale il poeta non può scrivere : “e mi sovvien l’eterno”, e non può avere la “percezione” mentale dell’infinito.

Limite e superamento, da pensare in uno schema di progresso umano, di incivilimento.

Ma il limite è anche norma, regola, è la legge che disciplina la convivenza umana e l’ordinato sviluppo della società. E lì la voglia di oltrepassare si inquadra in un altro schema, quello del disordine, del turbamento dell’ordine civile e sociale, dello sconvolgimento, dell’impulso rivoluzionario o eversivo. Nel tentativo di sovvertire le leggi della natura, umana o fisica che sia, in dispregio della esortazione di Bacone: vuoi comandare sulla Natura? Allora devi ubbidire alle sue leggi.

 

 

 

 

 

Ma ciò che qui ci interessa è l’atteggiamento filosofico, scientifico, artistico, che si pone di fronte al limite ontologico dell’Essere e dell’esistente. Cominciando da un dato di consapevolezza originario: e cioè che il limite deve ricordarci sempre la condizione umana e le sue effettive possibilità.

A questa consapevolezza se ne aggiunge un’altra: il limite è anche un modo per esprimere e valorizzare le reali capacità dell’uomo, in accordo con le leggi della Natura.  Il limite può non essere un termine fisso, ma può anche spostarsi continuamente: superato uno, se ne presenta un altro. O cambiare con l’evoluzione sociale e storica.  Mi viene a questo proposito di chiamarlo “il paradosso del limite come orizzonte”. Inteso sia come cornice entro la quale l’uomo opera, sia come linea di confine: più andiamo avanti, più la linea, il limite dell’orizzonte, si sposta. Praticamente all’infinito, all’infinito umano si capisce, ma anche all’infinito dell’Essere, direbbe il filosofo e il teologo, ognuno dalla propria prospettiva.

Il limite, quale che sia la sua varietà, è comunque lì a ricordarci la finitezza umana, che non siamo onnipotenti, anche se la scienza e soprattutto la tecnica dà questa illusione.

Ma sebbene gli umanisti, gli uomini di quella età dell’oro della cultura e delle arti che è stato il Rinascimento ci abbiano lasciato il messaggio sulle immense capacità dell’essere umano, anello tra l’animale e Dio, l’uomo contemporaneo ha scoperto le sue fragilità, ha scoperto con raccapriccio di non conoscersi nemmeno; da qui la sua frustrazione, il ricercare vie di fuga per “ritrovarsi”: i nella psicanalisi, in gesti nichilisti, o in pratiche di distruzione come le guerre e i genocidi, o in artifici devastanti come la droga e altre condizioni alienanti.

Se le cose stanno così, la storia umana e la stessa storia del pensiero, della scienza, dell’arte non potrebbe chiamarsi in fondo una storia del limite e dei suoi tentativi di superarlo? Una storia, anche, dei limiti che di volta in volta sono stati oltrepassati, mentre continuano a restarne ancora tanti, fino alla radice dell’Essere e alla intima realtà o sostanza delle cose (della vita, della morte).

Lo stesso Kant, che con la sua elaborazione delle categorie e delle modalità in cui si articola, si formula e si esprime il pensiero, ci ricorda i limiti della ragione, ma al tempo stesso celebra ed esalta questi limiti come condizioni per poter pensare.

 

 

 

 

Dopo aver scoperto, descritto la realtà fenomenica delle cose, egli si fermò davanti al limite della loro sostanza fondamentale, alla loro intima essenza. Al limite dell’inconoscibile, e lo chiamò noumeno. Mistero, lo chiamano i teologi, noumeno i filosofi, il non ancora conosciuto, gli scienziati.

Superare il limite è fare un passo avanti nella civiltà e nella conoscenza, ma questo non vale sempre e non in ogni caso; anche l’accettazione del limite è una condizione del progresso. L’aria  -è un esempio fatto da Kant – può sembrare un ostacolo, un limite del movimento; ma senza l’aria non si volerebbe.

Che poi, come Icaro, l’uomo nel corso della storia abbia sfidato il limite oltre ogni limite, nel campo morale, del diritto, del pensiero, della politica, e abbia ambito a farsi superuomo, a farsi Dio, è cosa che abbiamo studiato nella storia, e lo osserviamo anche in avvenimenti della contemporaneità.

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Questa breve premessa mi è stata ispirata da uno stimolante convegno, dal titolo, appunto, Il limite e oltre che il Centro studi filosofici di Gallarate ha tenuto a Roma, chiamando a discuterne in tre giorni professori di filosofia, filologia, scienze umane.

 

 

 

Ho partecipato alla terza giornata, o sessione, presieduta dal professor Ennio De Bellis, Docente di Filosofia nell’Università del Salento, che della Scuola di Gallarate e della prestigiosa rivista che pubblica è un attivo esponente.

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Darò solo un’idea di questo convegno, non avendo modo di fare un resoconto delle varie e interessanti relazioni, che hanno trattato il tema del limite (e del suo superamento) in una prospettiva essenzialmente filosofica. Per gli spunti che abbiamo accennato all’inizio, va da sé che si potrebbero fare interessanti convegni anche per trattare il limite (e il suo superamento) nel campo della scienza, dell’economia, dell’arte, del diritto, della politica.

La questione della finitezza e dei limiti – ha ricordato il professor Ugo Perone, dell’Università del Piemonte Orientale – è un tema prevalentemente moderno. In Heidegger esso assume una rilevanza speciale, perché la differenza ontologica diviene snodo decisivo nel quale “si incrociano la finitezza gettata del Dasein ( esperienza dell’essere) e la domanda ontologica fondamentale circa l’Essere”.

 

 

 

Il problema però può essere rintracciato anche nell’Antichità e nel Medioevo, ma con modalità e tonalità diverse. Nuova in ogni caso è la consapevolezza di una specifica asimmetria del nesso tra l’Essere ed essere finito.

La relazione del professor Perone ha affrontato il tema “limite del finito e ontologia dell’inesauribile”. “Noi, essere finiti, produciamo solo significati, ma i significati resterebbero insignificanti, pura caducità, implicito, variopinto, strisciante nichilismo, se non li pensassimo come modi di esistenza di un senso che è, ed è essere”.  “A mio avviso — afferma sempre il prof. Perone – l’ermeneutica è una sorta di metafisica della modernità. Essa è il modo in cui si resiste alla strisciante secolarizzazione della verità ( operazione del tutto parallela alla secolarizzazione come l’abbiamo sperimentata in ambito teologico religioso), accettando che le interpretazioni – modo con cui si dà espressione alla verità – siano molteplici e anche concorrenti, pur tenendo sempre fermo a un valore  di verità che le sostanzia e le sorregge”.

“Con ciò l’ermeneutica dà conto di una crisi epocale che ha coinvolto il nostro sistema culturale di riferimento, ma vi vede una opportunità non spenta di dare ( e di dire) testimonianza della verità. L’esistenza non è l’essere, neppure l’apparire dell’essere, che la fonda, dice e dà testimonianza”

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Il tenpo come limite.

La questione antica del tempo, pensato superando l’alternativa classica tra concezione soggettiva e oggettiva del tempo, promette utili sviluppi. E cioè: nel tempo che passa e che resta, vi è una traccia preziosa di intreccio asimmetrico di finitezza e infinità.

“Il tempo – sottolinea sempre il professor Perone -dice di una relazione fontale tra caducità ed eternità, tra finitezza e compimento. Del resto è proprio nel tempo che cerchiamo di attingere e di fermare qualcosa che eccede il tempo stesso”.

Cosa è bene, giusto e conveniente che rimanga nel limite?  -si domanda Remo Bodei – Cosa è bene, giusto e conveniente che venga portato oltre il limite?  Remo Bodei, nel suo libro, intitolato, appunto, Il Linite (Il  Mulino, Bologna, 2016) scrive: “è diventato urgente ripensare l’idea di limite, di cui si è in parte persa la piena consapevolezza – normale in altri tempi – in modo da essere meglio in grado di definire l’estensione della nostra libertà e di calibrare la gittata delle nostre emozioni”.

“La crescita illimitata delle sfere di autonomia in cui si è strutturata la modernità -politica, economia, le scienze sperimentali, la tecnica, l’estetica ecc  – ha sostenuto  il professor Francesco Totaro, presidente del Comitato scientifico della Fondazione di Gallarate –   porta alla condizione di una umanità al tempo stesso ipertrofica e deficitaria. Siamo nella situazione prefigurata da Nietzsche, degli “storpi alla rovescia”.

Chi sono questi uomini? “Uomini a cui manca tutto, ma hanno una sola cosa di troppo, uomini che non sono nient’altro se non un grande occhio, una grande bocca o un gran ventre o qualcos’altro di grande; costoro io li chiamo storpi alla rovescia. (Zarathustra). Gli storpi alla rovescia sono gli esponenti di una umanità manchevole per eccesso di parzialità: uomini che hanno troppo poco di tutto e troppo di una cosa sola”

E allora? “Combattere le cattive infinità e coltivare i limiti buoni significa mirare a una misura che va ricercata in un’antropologia non unilaterale bensì aperta alla ricchezza delle sue componenti, al di là della cattura negli stereotipi dell’homo oeconomicus, dell’homo tecnologicus e dell’homo edonisticus” .

 

Mario NanniDirettore editoriale

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