I tributi non fanno davvero uguali i cittadini. Ossia: quando il fisco ribolle come il mosto

A proposito del Rapporto sugli “itinerari previdenziali” presentato alla Camera. È in atto da decenni una sorta di “guerra dei tributi” che tutti i partiti combattono sulle proprie barricate elettorali, appoggiati dalle rispettive lobby. L’esito è sotto gli occhi di tutti

“Irpef, il 15% degli italiani paga per tutti” è il titolo a tutta pagina con il quale Il Sole 24 Ore ha riassunto il Rapporto di “Itinerari previdenziali” presentato alla Camera il 29 ottobre. Il Rapporto è stato variamente commentato sui media. Ha ricevuto l’attenzione che merita. Infatti, i tributi personali sul reddito non sono semplicemente una questione fiscale sulla quale accapigliarsi a scaricabarile, quanto piuttosto il punto cruciale del rapporto di cittadinanza e dell’uguaglianza legale. Ogni tanto si sente ripetere “lo Stato siamo noi”.

Già, ma “noi” chi? Pare invece che, se il 15% degl’Italiani paga per tutti, esistano sia il “noi” sia gli “altri.” E, come diceva Cossiga, “Italiani son sempre gli altri”.

La legislazione fiscale in continuo fermento

Da Ezio Vanoni in poi, dagli anni ’50, le riforme fiscali sono diventate una consuetudine nel dibattito politico, dove purtroppo ogni partito non parla alla cosiddetta platea dei contribuenti, ma al proprio specifico elettorato. E usualmente ne perora la causa con la richiesta di particolari trattamenti fiscali. Da ultimo, il governo sta emanando decreti attuativi dell’ampia delega ricevuta dal Parlamento per riordinare il sistema tributario, sebbene, nel frattempo, con la legge finanziaria vengano intanto introdotte significative norme fiscali. Insomma, la legislazione sulle tasse, le imposte, i contributi è in continuo fermento. Ribolle come mosto che non diventa vino.

I tributi vengono branditi come arma contundente contro gli “altri” contribuenti, accusati di versarne pochi allo Stato, ma non perché evasori in spregio della legge, bensì perché privilegiati in grazia della legge. È in atto da decenni una sorta di “guerra dei tributi” che tutti i partiti combattono sulle proprie barricate elettorali, appoggiati dalle rispettive lobby. L’esito è sotto gli occhi di tutti, fuorché dei contendenti. Un sistema tributario devastato dalla disuguaglianza, realizzata mediante discriminazioni legali bensì legittime (ope legis) tuttavia profondamente ingiuste, come comprova adesso proprio il Rapporto.

Cittadini di serie A e di serie B

La distribuzione del carico fiscale sui contribuenti in carne ed ossa (non dimentichiamo che l’acronimo Irpef sta per Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche), distribuzione non formale ma sostanziale, dimostra che, quanto ai tributi, esiste un’esigua minoranza (15%) di cittadini di serie B, che versa materialmente i soldi delle proprie tasche, contro una traboccante maggioranza (85%) di cittadini di serie A, contribuenti virtuali (cosiddetti percossi) che ricevono gratis  adempimenti pubblici pagati dai contribuenti reali (cosiddetti incisi).

Detto altrimenti, ma più precisamente, i pochi mantengono i molti. In senso proprio e in senso figurato, la minor pars provvede alla maior pars e sovviene un vastissimo ceto parassitario che accampa ragioni e pretende prestazioni. Una situazione inversa alla Francia dell’Ancien Régime, ma parimenti rivoluzionaria.

 

Pietro Di Muccio de Quattro

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