I CENTO del grande fotografo Mario Carbone

100 anni ancora ben portati. Roma ha celebrato al Museo del Louvre di Via della Reginella il grande fotografo calabrese originario di San Sosti Mario Carbone. La sua lunghissima storia artistica copre quasi un secolo, che va dal carretto trainato a mano al raggio laser, passando attraverso i luoghi dell’Italia rurale fino alle grandi metropoli, con un occhio sempre attento verso le celebrità dell’arte e gli autori, così come le persone comuni, le strade.

Le sue intuizioni -anticipa il suo biografo ufficiale Giuseppe Daddino– come le foto dal televisore della metà degli anni ’60, il teatro Patologico, il primo (ed ultimo) “Festival della Poesia” di Castel Porziano sono storia della fotografia. Così come l’aver dato risalto ai temi di attualissima presenza nella nostra vita quotidiana, alle grandi manifestazioni politiche come Valle Giulia del 1968 e alla satira politica (oggi meme di internet).

Per questo questa “festa” a sorpresa svoltasi il 15 maggio presso il museo del Louvre di Roma, curata personalmente da Giuseppe Casetti, è stata arricchita da 10 immagini scelte ed inedite di Mario Carbone, alle quali si è unita la presentazione da parte di Giuseppe D’Addino dei finalisti del Premio Fotografico a lui dedicato giunto alla settima edizione.

La location per ricordare e festeggiare i 100 anni di Mario Carbone è molto suggestiva. Siamo a Roma in via della Reginella, nel cuore dell’antico Ghetto ebraico, e il museo del Louvre è un piccolo gioiello dedicato alla cultura del Novecento, nato nel 1995 dalla passione di Giuseppe Casetti. Dietro al nome “giocosamente altisonante”, si cela uno spazio al di fuori dei tradizionali schemi culturali e commerciali: galleria d’arte, libreria antiquaria, archivio fotografico e, soprattutto, una wunderkammer, una camera delle meraviglie custode di cultura, curiosità, emozioni, ricordi. Gli scaffali, le pareti, i cassetti e le vetrine traboccano di opere di vario genere – libri rari, periodici, cataloghi d’arte, manifesti originali, ex libris, cartoline, autografi, lettere, taccuini, disegni e quadri – preziose attestazioni della cultura del ventesimo secolo. 

Ricchissimo il patrimonio di immagini, che vanta attualmente circa 140.000 fotografie, quasi tutte vintage print. Della collezione fanno parte circa 150 album con la raccolta di stampe fotografiche originali di IMDL e opere di artisti del calibro di Francesca Woodman, Luigi Veronesi, Victor Chambi, Ghitta Carrel, William Klein, Ernst Haas, Sam Levin, Federico Patellani, David Seymour, Ugo Mulas, Mario Schifano, Luxardo, per citarne alcuni. Ed ora tocca al grande Mario Carbone.

Ma chi è Mario Carbone-fotografo? 

Fotografo straordinario e documentarista davvero come pochi in Italia, protagonista  della fotografia e del neorealismo italiano negli anni in cui le foto in bianco e nero narravano nel mondo la bellezza, ma anche le mille tragedie dell’Italia di quegli anni, oggi all’età di 97 anni appena compiuti, questo straordinario artista calabrese che ormai vive a Roma, dietro Corso Francia, al numero 26 di Via Girolamo Boccardo e a ridosso della collina Fleming, apre finalmente le porte del suo studio al mondo dei media, e mette in mostra il suo immenso archivio storico, che è quanto mai ricco di immagini e di storia vera di questo nostro Paese.

Questo archivio –racconta il vecchio patriarca dei fotoreporter italiani– rappresenta la mia vita: ci sono migliaia e migliaia di fotografie. Adesso lo sto ancora riordinando, non si finisce mai, nel corso degli anni e sono venute fuori fotografie che neanche ricordavo di aver fatto. Sono migliaia di fotografie, scatti e riprese effettuati in tutto il mondo, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Olanda, India, l’Italia rivoltata come un calzino, migliaia di scatti inediti che raccontano la storia di questi ultimi 70 anni in Italia. La cosa che più mi inorgoglisce e mi commuove è il rivedere ora tutte queste vecchie fotografie, che avevo dimenticato completamente e che oggi mi riportano indietro nel tempo, come se fossi ancora lì in prima fila a raccontare il mondo che mi girava intorno. Pensa che ho riscoperto nella mia memoria viaggi di cui avevo perso ogni frammento di ricordo, tanti sono stati i viaggi per il mondo in tutta la mia vita”. Addirittura, avevo dimenticato molte di quelle foto, in quei viaggi, tantissimi, lungo la mia lunga vita. E quando io non ci sarò più, il che vuol dire molto presto, allora l’archivio resterà a mio figlio Roberto, sarà completamente suo e spero che lui lo usi nel migliore dei modi. Sarebbe un delitto che tutto questo materiale storico andasse disperso, o peggio ancora ignorato e distrutto”.

La sua storia, ripresa dai dépliant della sua mostra all’istituto italiano di cultura di New York e l’acquisizione delle sue foto al Metropolitan Museum di New York, ha fatto ormai il giro del mondo. Nato in Calabria, a San Sosti nel 1924, in un epoca di grande povertà ed emarginazione, Mario Carbone apprende giovanissimo il mestiere di fotografo, dal ritocco alla stampa, dalle foto-tessera ai ritratti, svolgendo un primo lungo apprendistato in un piccolissimo e anonimo laboratorio fotografico di Cosenza. guidato dal suo maestro fotografo che era Giuseppe Malito di Pedace.

Tutta la sua vita artistica lo vedrà infatti “testimone del suo tempo”, osservatore scrupoloso e analista severissimo delle condizioni di vita sociale e politica di quegli anni. A partire dal viaggio che fece con Carlo Levi in Lucania nel 1960, alle prime immagini dell’alluvione di Firenze del 1966. Dal terremoto del Belice del 1968, alla manifestazione studentesca di Valle Giulia, Mario Carbone opera con la macchina da presa e con quella fotografica in quello che egli stesso definisce “un modo intuitivo, spontaneo e non meditato”.

“Nel 1955 quando arrivai a Roma da San Sosti come emigrato io ebbi la fortuna di capire che il fulcro di questa città era piazza del Popolo. Te lo spiego meglio con una battuta. È vero io mi ero sistemato a Piazza del Popolo, avevo trovato casa, ma non era la Piazza del Popolo che vedi oggi o che potresti vivere oggi. Era un’altra realtà, la Piazza del Popolo dove vivevo io. Era una palude di amicizia vera, di sentimenti comuni, dove la solidarietà umana era una variante fissa del nostro stare insieme in quella piazza. Tutti per uno, uno per tutti. Oggi è un’altra cosa, un altro mondo, ma è la società tutta che è radicalmente cambiata. La “mia” Piazza del Popolo trasudava di umanità dall’alba al tramonto, così come trasudava arte e voglia di rivincita sociale A questo proposito vorrei farti vedere una mia vecchia fotografia, a cui sono molto legato e che scattai proprio a due passi da dove io vivevo. E’ una foto che riprendeva una donna seduta al tavolo dell’Osteria al Vero Albano di Via dell’Oca, e che secondo me raccontava meglio di qualunque altra analisi antropologica o sociologica la solitudine di quegli anni”.

Mario Carbone vive da protagonista gli anni del secondo dopo guerra, della rivoluzione industriale, del benessere e della povertà, dell’arte contemporanea, documentandoli in innumerevoli opere, in una storia che parla per immagini. La sua ricerca ha come protagonisti assoluti le persone “senza volto”, gente semplice, che nessuno conosce, soprattutto i contadini, poi vengono i vecchi e i bambini, e non viene mai meno al suo ruolo specifico di documentarista, sia che l’artista utilizzi la macchina fotografica sia che preferisca la cinepresa. 

Con una propria cinepresa, ancora giovanissimo decide di filmare le manifestazioni politiche e sociali del suo tempo, un’attività quasi volontaria, che prosegue per tutti gli anni Sessanta, anche grazie al rapporto che si stabilisce con la Unitelefilm, la società di produzione promossa dal Partito Comunista Italiano. Nel corso di un decennio, Mario Carbone racconta e “firma” con la sua macchina da presa le lotte operaie alla Zanussi (Uomini nella fabbrica, 1964), l’occupazione delle terre a Melissa in Calabria, (Sedici anni dopo, 1967), la condizione del lavoro contadino al Sud (Dove la terra è nera 1966), ma indimenticabile sarà. La rivolta degli studenti alla facoltà di architettura di Roma. 

“Con Carlo abbiamo raccolto volti e storie nella Matera degli anni Sessanta. Per i 100 anni dell’Unità d’Italia, Mario Soldati lo incarica di raccontare la Basilicata alla Mostra delle Regioni, Italia ’61, e lo spedisce in Lucania, e lui scelse me come fotografo. La gente viveva nei Sassi. Poi cacciarono via tutti. In quegli anni era già in costruzione un altro luogo dove portare quelle persone, ma era tra quei sassi che loro si sentivano a casa. Non volevano andare via. La definirono “Una vergogna nazionale”, ma invece lì c’era, malgrado il disagio, la Matera più vera e più autentica. Carlo Levi era una persona disponibile. Ascoltava tutti. Parlava con tutti. Non mi dava indicazioni. Io fotografavo ciò che più mi colpiva. E poi lui ne trasse i soggetti del suo grande pannello esposto nel museo nazionale lucano. Nel mio archivio conservo oltre 400 fotografie di quel lavoro. Io spero che queste immagini possano diventare un patrimonio comune”.

Alla fine, Mario Carbone scatta circa quattrocento foto, alcune delle quali confluiranno poi nel libro Viaggio in Lucania con Levi (1980) e nel documentario dedicato allo scrittore-pittore, Omaggio a Carlo Levi (1983). Un capolavoro nel capolavoro.

 

Lasciando Matera e la Lucania, sulla strada del ritorno, sostammo con Carlo Levi in un distributore di benzina, dove Levi abbracciò affettuosamente il gestore. Si chiamava Michele Mulieri, un anarchico che aveva addirittura fondato un proprio stato e non voleva in nessun modo far registrare i propri figli all’anagrafe. Si conoscevano da tanto tempo, e ricordo che i due parlarono a lungo insieme. Più tardi lo stesso Levi ci confidò che proprio quell’uomo gli aveva suggerito il titolo del suo libro “Cristo si è fermato a Eboli”. Lamentandosi delle sue cattive condizioni di vita e di salute il benzinaio, rivolgendosi a Levi, gli disse appunto: “Don Carlo qui siamo dimenticati da tutti, nessuno è mai arrivato da noi. Dimenticati anche da Cristo. Forse si è fermato a Eboli”. 

Oggi a 100 anni Mario Carbone è più presente che mai, e soprattutto ricorda ancora tutto questo con una lucidità fuori da ogni possibile immaginazione. Un evento per il mondo della fotografia.

 

Pino NanoGiornalista. Già capo redattore centrale della Rai

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