Giuseppe De Rita celebra Andrea Monorchio e Gianni Letta difende Giuliano Amato

Cerimonia solenne  a Roma per il lancio nazionale di “Memorie di un Ragioniere generale tra scena e retroscena”, il libro edito dalla Rubbettino e che racconta la vita e la storia di Andrea Monorchio uno dei più influenti e ammirati grand commis di Stato della Repubblica italiana. Un trionfo per questo personaggio così schivo nella sua vita privata, ma così importante per la storia del Paese.

Due sono le cose che nell’aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio ci hanno colpito molto. La prima: la vasta marea di gente in fila, anche per un’ora al freddo di Via Campo Marzio, in attesa di poter entrare e seguire il dibattito organizzato da Luigi Tivelli, che è l’altro autore del saggio su Monorchio. Erano anni che non ci capitava di assistere a scene come questa.

Andrea Monorchio

La seconda cosa che ci ha colpito molto più della prima è stata la “dichiarazione di grata ammirazione”, forte, plateale, diretta, e avvolgente che Gianni Letta affida ai presenti, trasformando il suo saluto iniziale ad Andrea Monorchio, perché questo era l’impegno che aveva preso con il suo amico Luigi Tivelli, in una sorta di lectio magistralis sulla politica degli ultimi 40 anni.

Magistrale nel senso più letterale del termine, a tratti emozionante, incisivo e determinato come  sa essere nelle occasioni più delicate della sua vita e della esperienza professionale. Fa quasi sorridere l’idea che un uomo come lui, attorno a cui da anni ruota la grande macchina del potere vero di questo Paese, trovi il modo per dire “grazie Andrea per tutto quello che mi hai insegnato”. Un “grazie” vero, sincero, ma che Gianni Letta sa anche di dover documentare, cosa che fa alla sua maniera, raccontando per 40 minuti filati tutto quello che Monorchio riferisce nel suo libro.

E qui, la grande sorpresa della serata, che nessuno naturalmente si aspetta, e che Gianni Letta tira fuori dal suo cilindro delle meraviglie e legge davanti a tutti.

Gianni Letta

È uno dei passaggi più inediti della vita di Andrea Monorchio, che sfata finalmente una leggenda, o meglio chiarisce una volta per tutte la verità storica di quel famoso prelievo forzoso che il Governo guidato da Giuliano Amato si porta dietro dal lontano 1992. Un prelievo forzoso ed improvviso del 6 per mille su tutti depositi bancari che un decreto legge di emergenza aveva autorizzato, e che aveva riportato nelle casse dello Stato 11.500 miliardi di lire.

Bene, poiché Giuliano Amato era l’allora presidente del Consiglio tutti pensarono che la colpa di quel prelievo fosse addebitabile solo a lui, e la storia degli anni successivi lo fece passare come il vero colpevole. Certa stampa si accanì, e a ogni occasione in cui si fa la biografia di Amato, puntualmente spuntava fuori la “colpa” e l’accusa di aver furtivamente messo le mani nelle tasche degli italiani.

Giuliano Amato

Gianni Letta ripercorre quella stagione con passi felpati, e usando il saggio di Monorchio come “testo sacro” di quel periodo, difende Giuliano Amato, “estraneo” a quella operazione finanziaria.

In sala cala il silenzio, ma dalla lettura che Gianni Letta fa del testo di Monorchio non ci sono più dubbi su quanto accadde la notte di quel lontano dieci maggio 1992.

Nella notte tra il 9 e il 10 maggio 1992, quella in cui si consumò ciò che venne poi definito un furto fiscale, nella sala Teti di Palazzo Chigi erano presenti col presidente Amato i ministri Goria e Barucci. Essendo tutti consapevoli della condizione nella quale ci trovavamo, erano in corso anche i ragionamenti per una prima correzione di 30 miliardi dei conti pubblici e in quella sala si decise per il famoso prelievo sui conti dei cittadini ignari e poi increduli. Assumere una decisione simile era la diretta conseguenza di una situazione di particolare gravità. La scelta di operare in quel modo è stata sempre erroneamente attribuita a Giuliano Amato; quando, invece, fu una scelta del ministro Goria il quale, dopo una consultazione privata col Capo del governo, disse che aveva individuato la soluzione per racimolare i miliardi necessari, senza però rivelare come”.

Sostanzialmente Giuliano Amato- chiosa Gianni letta- si era fidato di Giovanni Goria e si era fidato di lui ciecamente, così tanto da doversi poi assumere la responsabilità di una decisione a cui lui in realtà non aveva mai partecipato.

“La decisione del prelievo, effettivamente- racconta nel suo libro Andrea Monorchio- fu resa nota poi con la pubblicazione del resoconto del Consiglio dei ministri solo il venerdì successivo. Ciò portò a un acceso scontro tra Amato e Ciampi, governatore della Banca d’Italia, il quale si doleva di essere stato tenuto all’oscuro di una tale decisione che, non avendo precedenti, coinvolgeva profondamente il sistema bancario italiano stesso, e poteva scatenare reazioni incontrollate nei risparmiatori”.

 

Peccato che Giuliano Amato non fosse presente alla cerimonia di ieri sera, ci sarebbe dovuto essere ma impegni istituzionali lo hanno tenuto lontano e gli hanno evitato quello poi si è invece guadagnato a pieno titolo Gianni Letta: un lungo applauso di consenso e quasi di scuse per tutto quello che gli italiani per 30 anni hanno pensato di lui.

A dire il vero, Amato, forse stufo di essere accusato ingiustamente, provò a chiarire l’episodio del prelievo e a indicare la paternità dell’idea. Ma fu inutile, anzi fu accusato da qualche giornale di criticare un morto (Goria, NdR).

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De Rita: Monorchio l’esempio virtuoso di una collaborazione tra tecnici e politica

Dulcis in fundo arriva anche il grazie del Presidente del Censis Giuseppe De Rita ad Andrea Monorchio.

Giuseppe De Rita, Presidente emerito del CENSIS – uno dei sociologi italiani più conosciuti al mondo per aver scandagliato l’evoluzione della società italiana nel corso degli anni, e le sue analisi condotte con acume e intuizione da scienziato rabdomante – oltre ad essere un vecchio grande amico di Andrea Monorchio è anche l’autore della postfazione del saggio del vecchio Ragioniere Generale dello Stato, una post fazione che questa volta ha scritto con il cuore e con il linguaggio dell’amicizia verso uno straordinario compagno di strada.

Giuseppe De Rita

“Monorchio –dice De Rita- è sempre stato con il governo, con la gestione centralizzata della finanza pubblica; e la cosa non gli veniva da tentazioni stataliste; ma dalla coscienza che un grande sistema economico ha bisogno di un governo forte, coscienza che gli veniva dalla lezione dei «vecchi» maestri, da De Gasperi a La Malfa”.

Ma De Rita va molto oltre e aggiunge: “Monorchio è stato un uomo di forte passione politica. Non ricordo chi ha scritto che non si fa vita pubblica se non si ha passione politica e la cosa vale per un buon ricercatore sociale come me, come per un grande dirigente pubblico come Monorchio, che pur non avendo vissuto di appartenenza nei vari schieramenti politici, in tutto quel che ha fatto, è stato spinto da tale passione. Ne è prova, come abbiamo visto, la sua costante presenza quotidiana accanto a chi ha governato il Paese, ma ne è prova anche il coraggio con cui anche da privato cittadino, senza più il potere di Ragioniere Generale, ha esplicitato le sue idee in materia di politica economica e funzionaria e di complessivo sviluppo del Paese”.

Quasi scontato il riferimento di De Rita ad uno dei grandi economisti di tutti i tempi, Guido Carli che lo stesso Gianni Letta aveva più volte richiamato nella sua prolusione: “Guido Carli era un grande esempio di ruolo tecnico-politico, e la scelta di Monorchio come Ragioniere Generale veniva da questo primato della cultura tecnico-politica, tanto che non esitò a fargli scuola (nei suoi mattutini incontri di lettura comune dei giornali stranieri); senza ricorrere alla formale chiamata di chi era già capace di leggere il «Bild» o il «Financial Times». E non si capisce il protagonismo svolto da Monorchio per tanti anni se non si riconosce in lui l’impronta dell’origine, quella di Carli”.

Da un grande analista dei fenomeni sociali come De Rita viene spontaneo capire perché Monorchio sia davvero così importante per la storia del Paese, e la risposta  non lascia nessun dubbio: “È forse questa esigenza di recuperare status e prestigio dell’alta dirigenza statale l’eredità più chiara e sofferta del pensiero di Monorchio”.

Chi l’avrebbe mai immaginato, eppure De Rita arriva alla provocazione finale indicando Monorchio come un oligarca della politica: “Un vezzo da oligarca? So bene che questa è la valutazione malevola che qualcuno può dare alla presenza di Monorchio sulla scena del potere, in una cultura collettiva, dove negli ultimi due decenni ha vinto la formula magica e deleteria dell’uno vale uno, e quindi con l’emotiva negazione di ogni superiore competenza tecnica e di ogni sovraordinata sede di decisione (si pensi all’irrisione che ha circondato l’esperienza di Draghi e del governo dei «migliori»). Ma bisognerà pensare che i sostenitori dell’uno vale uno si rendano conto che in ogni attività umana (di governo, di azienda, di politica estera, di globalizzazione finanziaria) cresce il bisogno di una oligarchia, capace di gestire con competenza la complessità dei problemi e delle decisioni”.

Sono due ore di dibattito e la sala è ancora con il fiato sospeso, e Giuseppe De Rita approfitta di questo silenzio per affidare ai presenti una sorta di messaggio etico-politico: “Monorchio e io, ancora oggi, ci ritroviamo insieme non potenti o ex potenti, ma vecchi compagni di una passione antica, quella «tecnico-politica», in cui resta il ricordo dei momenti in cui abbiamo «contato qualcosa» ma in cui resta specialmente una generosa e felice amicizia, in una continuità di comune sentire. Applausi a scena aperta, Andrea Monorchio ringrazia tutti, ma neanche lui avrebbe mai messo in conto il trionfo che la sua Roma gli avrebbe riservato nel cuore più antico e forse anche più prestigioso della capitale.

In fondo all’aula dei gruppi parlamentati un volto notissimo, quello di Luca Barbareschi,. Ma che ci fa un  regista come lui da queste parti? La signora che ho accanto mi dice “ma ha sposato una delle figlie di Andrea e quando Andrea festeggia qualcosa lui non manca mai, un genero meraviglioso”. Ma questa forse è l’unica nota di colore di un evento quasi solenne.

 

Pino NanoGiornalista. Già caporedatttore centrale della Rai

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