Autonomia differenziata, il rischio è la disgregazione. Il Parlamento vigili

Un convegno a Roma: come a partire dalle parole si svelano i significati delle azioni

“Le parole non sono azioni; ma qualche volta una buona parola vale quanto una buona azione”, diceva il poeta Arturo Graf. Poi ne incontri altre – tipo quelle di cui si è parlato nell’incontro “Le parole sono importanti”. Un mini-vocabolario per rileggere quelle del governo (rete EducAzioni) – spesso ambigue e divisive: una di queste è l’autonomia differenziata.

Gianfranco Viesti, che ne è autorevole studioso, si lancia in un elogio della chiarezza, invitando a leggere l’intervista a Giovanni Toti sul Corriere della Sera: “Il governatore parla di massimi sistemi ma non entra mai nel merito del fatto che la Liguria vuole la proprietà del porto di Genova, delle ferrovie e delle autostrade perché vuole poteri per imporre concessioni di passaggio su queste infrastrutture”.

Primo obiettivo: sgomberare il campo dalla retorica. Nella tradizione amministrativa lombardo-veneta maggiore autonomia vuol dire più soldi: chi è più virtuoso – questa la vulgata – ha il diritto di trattenere una parte dei tributi riscossi sul proprio territorio. “La logica – secondo la stoccata di Viesti – è quella per cui chi vive in territori più ricchi ha più diritti di chi vive in comunità più povere: chi è più ricco merita di più”.

Non è fantasia: basta guardare alla deliberazione della Regione Veneto che prevede di trattenere i nove decimi del gettito fiscale. “Queste richieste estreme sono sparite nella comunicazione pubblica – dice Viesti – ma in realtà si sono inabissate nei mille rivoli delle carte, ma la sostanza non cambia: Lombardia e Veneto chiedono l’assimilazione alle Regioni a statuto speciale. Più ambigua è la posizione dell’Emilia- Romagna che nelle dichiarazioni di principio non vuole nulla, ma poi tra le carte si scoprono molte richieste di fondi particolari”.

Spetta allo Stato il compito di controllare che l’autonomia non si trasformi in disgregazione: “Le Regioni hanno diritto di chiedere maggiore autonomia, ma sta al Parlamento concederla nell’interesse di tutti”, dice Viesti. Peccato che il processo sia complesso e la tecnica insidiosa: dopo l’intesa tra ministro e Regioni, la definizione dei dettagli viene trasferita a commissioni paritetiche che determinano il merito attraverso Dpcm, spiega il docente. Si tratta di un procedimento irreversibile perché disfarlo richiederebbe il consenso di entrambe le parti. “Al Parlamento – chiude Viesti– rimane un ruolo puramente decorativo (esprimere un sì o no a scatola chiusa)”.

A rischiare è soprattutto la scuola: in Lombardia e Veneto si va verso la regionalizzazione (definizione programmi, reclutamento personale, potere di finanziamento). “Le conseguenze sarebbero a vastissimo raggio: dai titoli di studio regionali al trattamento economico, dai meccanismi di selezione fino alla costruzione di una identità unitaria dei cittadini. Anche la rappresentanza sindacale degli insegnanti si affievolisce quando si formano corpi docenti differenziati. E se Lombardia e Veneto chiedono maggiori finanziamenti, ciò può significare in concreto meno soldi per tutti gli altri che magari ne hanno più bisogno”, aggiunge il docente.

E l’Italia – l’economista Patrizia Luongo, ricercatrice per il Forum Disuguaglianze Diversità, ne traccia il quadro – è già terreno di disuguaglianze che riguardano l’infanzia. Si prenda l’esempio degli asili nidi: in Emilia lo frequenta il 28 per cento dei bimbi, la cifra scende ad appena il 3,1 per cento in Campania. Il gap non risparmia neanche la spesa pubblica (nella fascia 0-2 anni), che sempre in Emilia è di circa 2mila euro pro capite, mentre in alcune Regioni del Sud è appena 110 euro. Persino a tavola, in Italia 400mila bambini vivono in povertà alimentare, la percentuale di chi frequenta la mensa a scuola – un bambino su due in media – scende al 15 per cento in alcune aree del Sud. Con l’autonomia differenziata, in assenza di livelli essenziali delle prestazioni (da garantire e non solo da prevedere), la Costituzione ne potrebbe uscire stravolta: chi ha meno – anziché ricevere di più sulla base del secondo comma dell’articolo 3 – rischia di avere meno. L’Italia all’incontrario.

 

Andrea PersiliGiornalista

Storie e personaggi. L’eccentrico barone La Lomia

"Io ho la gioia di credere e penso che la vera nascita sia la morte. Noi siciliani abbiamo il culto Read more

Il Ramadan e la chiusura delle scuole

C’è stato un tempo – se più o meno felice, decida naturalmente il lettore – in cui il primo giorno Read more

Pasqua, la ricorrenza tra parole e gesti

C’è un brano, tra i più significativi del Vangelo, in cui la "parola" del Signore si fa "gesto" carico di Read more

Il Censis fotografa il mondo della Comunicazione

"Mentre rimaniamo per lo più incerti nel soppesare i benefici e i pericoli connessi all’impatto dell’Intelligenza Artificiale sulle nostre vite Read more

Articolo successivo
Giuseppe De Rita celebra Andrea Monorchio e Gianni Letta difende Giuliano Amato
Articolo precedente
Liberalizzazione dei subappalti taglia sprechi? O deprime i salari? La liberalizzazione rischia di polverizzare il tessuto produttivo

Menu