Nel discorso per il giuramento di Donald Trump ci sono le dichiarazioni scioccanti che del resto tanti si aspettavano, c’è una non troppo sottesa aggressività nei confronti della Cina sulla questione Panama, c’è un accenno (già telefonato) ai dazi nei confronti di altri paesi, c’è la volontà (vedremo i fatti: il come e il quando) a porre fine alle guerre in corso. Non c’è un riferimento esplicito all’Europa.
In parte è comprensibile, trattandosi di dichiarazioni a uso e consumo interno. In parte, però, resta un senso di isolamento, di vuoto di decisione e applicazione nel quale la parte europea sembra essere scivolata. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è assente all’insediamento (a differenza della Meloni), ma rilascia una dichiarazione secondo la quale l’Unione Europea è “ansiosa” di lavorare con il nuovo (vecchio) presidente Usa. Buone maniere? Dipendenze affettive?. In maniera più realistica il presidente francese Emanuel Macron poche ore prima del giuramento trumpiano aveva parlato della necessità di accelerare sulla difesa europea.
Intanto bisogna constatare qualcosa di più generale, ma non meno cogente. E uno dei dati da acquisire dell’ultima svolta politica internazionale è di aver certificato uno stato di crisi. Quello dell’Europa. Non è detto che la presente situazione sia stata determinata da Donald Trump. Il giudizio valoriale se Trump sia il capo d’una accolta di cattivoni capitalisti tecnocrati o se sia una liberazione da una cappa corretta e ipocrita finto-emancipativa, lo lasciamo volentieri ad altri, appassionati di apocalissi e tarocchi.
L’Europa ha inventato l’identità “occidentale”, e adesso?
Un fatto è certo, le ultime vicende, al di là dei beni e dei mali, hanno messo in forma esplicita quel che era latente o poco riconosciuto. Un’Europa “vaso di coccio” tra Usa, Russia e Cina. Un’Europa poco rilevante sul suo stesso territorio (vedi alla dolorosissima voce Ucraina che tormenta punti di sutura storici ed esistenziali mai rimarginati). Esposta alle intemperie storico-geografiche come non succedeva da decenni.
L’Europa che ha dato origine a tre o quattro imperi e “globalizzazioni”, da Roma alla Spagna alla Francia e mettiamoci anche la Gran Bretagna, l’Europa sulla cui cultura germina quella che oggi chiamiamo (più che altro a scopo ideologico, vabbè) “identità occidentale”. L’Europa che è stata in grado, di autodistruggersi con la Grande Guerra e di preannunciare questa distruzione con la “cultura della crisi” a oggi si trova nello stato simbolico e paradigmatico di eminente ininfluente. Anzi, in fondo, di oggetto del contendere.
Sempre più la perla di un qualche impero (non europeo)
Perchè gli Usa, nonostante i proclami trumpiani, non l’abbandoneranno mai, vorrebbe dire consegnarla all’abbraccio russo, e trovarsela magari un giorno, contro. La Russia non l’abbandonerà mai, per contiguità geografica, e uno strano mix di vicinanza e alterità.
Ad oggi, l’Europa è rimane l’oggetto (non il soggetto) più prestigioso in questa parte di mondo. E assomiglia sempre più alla “perla dell’impero”, di un qualunque impero. Ecco, qualsiasi movimento culturale, d’opinione, politico, europeo dovrebbe partire da una necessità emancipativa dell’Europa. Sarebbe paradossale se, una volta caduto il velo di Maya, l’Europa finisse come in Sandokan, a fare la Perla di Labuan.