Diritto dell’Unione, Barbieri: quanto l’UE è presente nella nostra vita quotidiana

Intervista a un ricercatore dell’Università di Ferrara sulle procedure legislative dell’Unione europea, sui 20 anni dall’allargamento a Est, sul diritto di veto.

Il diritto dell’Ue può sembrare qualcosa di molto lontano dalle nostre vite ma in realtà le condiziona più di quanto non riusciamo a immaginare. Abbiamo parlato dell’importanza del diritto europeo con Samuele Barbieri, assegnista di ricerca in questa materia all’Università di Ferrara.

Di cosa parliamo quando si affronta il tema delle procedure decisionali nell’Ue?

Facciamo riferimento a diverse procedure previste dai trattati dell’Ue: il Trattato sull’Unione europea ed il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, in qualche modo la “costituzione” dell’ordinamento dell’Unione europea. Gli atti normativi dell’Ue hanno un impatto per tutti i cittadini e vengono adottati all’esito di determinate procedure disciplinate nei trattati.

Per quanto riguarda le più importanti facciamo riferimento alle procedure che definiamo legislative, cioè che portano all’adozione di un atto legislativo dell’Unione. Importante ricordare ai cittadini che con il Trattato di Lisbona nelle procedure legislative abbiamo avuto un aumento del ruolo del Parlamento europeo. Infatti, con l’ultima riforma dei trattati la procedura legislativa ordinaria è diventata “la regola generale” e si caratterizza proprio perché il Parlamento Ue ha un’identica voce su una proposta di atto legislativo a quella del Consiglio, che rappresenta invece i governi degli Stati membri.

Ci sono anche altre procedure ma quelle legislative sono tra le più importanti e quelle più interessanti da osservare, soprattutto per chi voglia approfondire come avvengano i meccanismi decisionali a livello europeo ovvero come si “creino” le norme europee che hanno un così considerevole impatto per le nostre vite.

In sostanza, si deve sempre ricordare che per quanto attiene ai meccanismi decisionali il Trattato di Lisbona consacra il ruolo fondamentale del Parlamento europeo, almeno nella procedura legislativa ordinaria, e ci indica quanto sia importante il principio di democrazia nell’ordinamento dell’Ue.

Capitolo veti: blocco alla linea comune o mantenimento della sovranità degli Stati. L’opinione si divide… servono davvero?

Quando parliamo di veti facciamo riferimento, soprattutto, alla regola di voto dell’unanimità in Consiglio e in Consiglio europeo.

Questa regola paralizza alcune procedure decisionali perché è sufficiente che un solo Stato membro si opponga all’adozione di un atto o di una qualsivoglia decisione. Tuttavia, con il Trattato di Lisbona del 2009, sebbene l’unanimità sia ancora prevista in diverse basi giuridiche e per determinati settori, la regola della maggioranza qualificata, che affida un certo peso anche alla demografia degli Stati, è diventata centrale e largamente prevista dai trattati.

Quindi, rispetto al passato le cose sono migliorate, ma si può fare ancora di più. Ricordo che il Parlamento europeo nel novembre 2023 ha proposto una modifica dei trattati che ambisce a ridurre, fra l’altro, proprio il ricorso alla regola dell’unanimità.

Il Trattato di Lisbona ha 15 anni. Serve un nuovo trattato?

A sentire il Consiglio no. Alla relazione finale della Conferenza sul futuro dell’Europa questo ha risposto alle ambiziosissime proposte in quella sede formulate sostenendo che circa il 95% di queste potevano trovare accoglimento nel quadro giuridico esistente.

Un nuovo trattato tuttavia serve per aumentare le competenze dell’Ue nei settori cruciali soprattutto dove c’è stato maggiore “bisogno” di Europa: pensiamo al Covid o alla guerra in Ucraina. Inoltre, un nuovo trattato potrebbe superare l’unanimità per alcune decisioni o aumentare gli spazi per una partecipazione democratica dei cittadini europei ancora più forte: pensiamo ad esempio all’elezione diretta del presidente della Commissione europea.

Però, c’è un rischio: si deve vigilare attentamente su quello a cui le modifiche dei trattati possono portare. É un momento in cui serve fiducia nell’Ue ma dove al contempo ci sono rigurgiti di sovranismo. Una riforma dei trattati non deve cedere a questi ultimi e quindi non deve ridurre le competenze dell’Unione.

Servono ulteriori istituzioni nell’Ue: nuovi trattati potrebbero prevedere un’opzione simile?

Io ritengo che non servano ulteriori istituzioni. Oggi l’Ue impatta nella vita dei cittadini e al di là degli atti normativi ci si accorge della grande capacità di coordinare, in determinati settori, l’azione degli Stati membri.

Prendiamo ad esempio il turismo. Quando guardiamo le politiche pubbliche interne degli Stati sul turismo ci accorgiamo che l’Unione europea, grazie al lavoro della Commissione europea, con un metodo di coordinamento, attuato con raccomandazioni o altri atti di “soft law”, riesce a indirizzare, almeno in parte, l’azione dei 27 Stati membri.

Venti anni dal più grande allargamento dell’Ue verso l’Est: questo processo che effetti avrà sull’effetto legislativo europeo?

É difficile prevedere il futuro da questo punto di vista. I processi decisionali dove c’è l’unanimità ne potrebbero risentire. Peraltro questa è anche una delle ragioni della riforma di Lisbona: creare un nuovo quadro giuridico e istituzionale dopo l’allargamento del 2004.

Il tema dell’allargamento invita piuttosto ad una riflessione sui valori dell’Unione europea, dato che il loro rispetto rappresenta un requisito fondamentale per entrare a far parte dell’Unione. In alcuni Stati membri verso i quali l’Ue si è allargata vi sono i segnali di una “crisi dello Stato di diritto”, pensiamo a Polonia o Ungheria. Questo è un dato del quale tenere conto rispetto ai possibili nuovi membri.

L’armonizzazione legislativa è un primo passo verso il federalismo?

Certamente quando parliamo di armonizzazione “in senso tecnico” dobbiamo fare riferimento al quadro giuridico esistente. É impressionante quanto il diritto dell’Ue impatti nelle vite dei cittadini in virtù anche dell’armonizzazione di numerosi settori, anche se va sempre ricordato che ciò avviene nel quadro giuridico dei trattati e nei limiti stabiliti dalle sue norme.

Se intendiamo in generale una progressione del processo di integrazione tra gli Stati membri, ritengo che in tutti i settori questo sia evidente. Pensiamo al processo penale: ci sono state riforme del nostro codice di procedura penale che rappresentano attuazione di direttive europee.

Anche tempo addietro, ben prima del Trattato di Lisbona, grazie ad alcune fondamentali direttive gli Stati membri, e quindi anche l’Italia, si sono dotati di un quadro giuridico a contrasto delle discriminazioni. Insomma, siamo ben lontani da uno stato federale europeo ma non per questo l’integrazione europea è meno inefficace: larga parte del nostro ordinamento giuridico è progredito a causa di e grazie all’Unione europea.

 

Francesco FatoneGiornalista

 

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