Crescere attrice tra una “Divina” e “Semidei”. Intervista a Caterina Sanvi

Il 6 febbraio ha debuttato Semidei (scritto e diretto da PierLorenzo Pisano, produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, fino al 23 febbraio al Teatro Studio Melato), ispirato al corpus di leggende minori attorno a Iliade e Odissea.

Al cinema c’è Itaca. Il ritorno di Uberto Pasolini. In teatro ha ripreso la tournée di Radio Argo Suite, Premio “Le Maschere del Teatro italiano”. Il 6 febbraio ha debuttato Semidei (scritto e diretto da PierLorenzo Pisano, produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, fino al 23 febbraio al Teatro Studio Melato), ispirato al corpus di leggende minori attorno a Iliade e Odissea.

Le azioni degli uomini coinvolti nella guerra di Troia tornano come filtro per leggere le azioni degli uomini coinvolti nelle guerre del presente. Dopo la prima di Semidei, ho dialogato con Caterina Sanvi, che interpreta una dolente Cassandra accanto a Pia Lanciotti ed Eduardo Scarpetta (reduce da L’amica geniale). Ha 23 anni e tra 2023 e 2024 ha pubblicato Insomnia (Dialoghi), ha recitato in Romeo e Giulietta di Mario Martone al Teatro Strehler, in Durante di Pascal Rambert al Piccolo Teatro, in Duse. The Greatest di Sonia Bergamasco (ora in tour nei cinema con la regista).

Nel tuo libro c’è una dedica: “A Emma, che se n’è andata lasciandomi la sua valigia di ricordi”.

Emma è la mia bisnonna materna, si chiama come mia mamma, ed è la persona che, credo, io sto “seguendo” di più adesso. Ci penso ogni giorno ed è una cosa molto strana perché a ogni replica mi dico: “C’era lei”, come se sentissi, in una sorta di rituale, di doverle mandare un pensiero. È morta il giorno in cui ero in terza selezione al Piccolo. Al funerale non sono potuta andare perché ero ancora qui e per me è stato un segno.

Cosa vi legava?

Il tempo passato insieme. Questo mi fa riflettere sulla morte. Spesso mi dico: “Vorrei parlare con lei, adesso, di questa cosa qua”. Però mi rendo conto che saprei quello che lei mi risponderebbe.

Penso anche io a telefonate che non posso più fare, a dialoghi che non potrò più avere…

Insieme ad altri attori sto facendo un progetto per scuole di Lugano sul rapporto con la tecnologia. Mi veniva difficile perché sono un po’ distante da quel mondo [Caterina ha un profilo Instagram con soli 4 post], sono cresciuta in una famiglia che non è che mi ha tenuto distante… forse è capitato. Mentre dovevo capire come lavorare, ho chiesto al mio ragazzo: “Cosa ti manca, quando una persona non c’è più? Il corpo o il poterci parlare?”. Ho ritrovato la raccolta di Spoon River e ho deciso di fare una cosa sui cimiteri virtuali, sull’idea di anime che restano e che parlano.

Sanvi in Semidei. Foto: Masiar Pasquali
In che famiglia sei cresciuta?

Sono cresciuta in una famiglia straordinaria. Ogni volta che ci penso dico: “No, devi esserci un tranello…”, perché ho avuto genitori che mi hanno portato subito alla cura nelle cose. Mia madre è cassiera in un supermercato, mio padre è venuto in Italia dal Benin a 18 anni con una borsa di studio per un collegio a Gorizia, si è laureato in Lettere a Udine, è impiegato alla Parmalat; da lui ho preso una forte cultura musicale, anche se io ho più senso del ritmo!  Se ho avuto un conflitto con loro è stato per la paura che mi sopravvalutassero, anche nella scrittura. La recitazione mi ha dato conferma che quando parlo c’è un riverbero. Ho iniziato a capire che avevano ragione i miei.

Scrivi perché leggi molto?

Da piccola ho letto tanto. Mia nonna mi portava Jack London, Orwell… Li ho letti presto e a volte mi dice: “Troppo presto!”.

Quali libri hanno agito sulla tua personalità d’artista?

Il mondo nuovo di Aldous Huxley e Martin Eden di Jack London.

Martin Eden arriva prima o dopo il film (di Pietro Marcello con Luca Marinelli) e prima o dopo C’era una volta in America (lo legge il piccolo Noodles in bagno)?

Prima. Forse è stato proprio il primo che mi ha portato mia nonna. Da scrittrice, Insomnia è stato il primo passo in cui ho iniziato a farmi leggere. Prima erano cose che tenevo per me. Mi sono sbloccata col Covid. Ero al secondo anno della Scuola del Piccolo. Nel libro c’è tanto Milano perché mi ha accudito.

C’è stata una vocazione alla recitazione?

Ero in seconda media e una mia amica mi ha detto: “Sai, io vado a fare teatro”. Stavo cercando qualcosa da fare e ho detto: “Vengo con te”, ma non avevo idea del teatro. Mi aspettavo che fosse un leggio dove tu stai fermo e leggi. Ho iniziato a divertirmi anche se non amo particolarmente mostrarmi. Ho iniziato a star bene e a capire che potevo ingrandire la mia realtà. Quando ho iniziato il liceo scientifico dopo due anni impazzivo, perché ho bisogno di pratica. Sono andata al liceo artistico a studiare scenografia. Mi sono avvicinata alle figure degli artisti: capisci che scultori, pittori, facevano anche quel lavoro, e come si arriva visivamente alla recitazione. Poi avevo bisogno di uscire da Udine e all’inizio non avevo idea di venire a Milano né il Piccolo era nei miei orizzonti. Mi sono candidata alle selezioni dell’Accademia “Silvio d’Amico” e a quelle del Piccolo e qua ho trovato una cura immensa.

Sanvi in Romeo e Giulietta di Mario Martone. Foto: Masiar Pasquali
Quindi anche uno spettacolo dalle scene (di Giuseppe Stellato) e dai costumi (di Gianluca Sbicca) articolati come Semidei, in cui ci sono anche vere e proprie microlezioni di storia dell’arte con tanto di riproduzioni da De Chirico e Schliemann, ti sollecita molto visivamente?

Sì, tutto è inglobato in questa visione dell’arte. Conosco bene il Piccolo, ormai, e quando ci vado entro negli uffici, nella sartoria, vedo l’artigianalità delle cose. Mi è rimasto vedere gli attrezzisti, gli scenografi, sapere che c’è un laboratorio dove loro si mettono a fare cosa per cosa, e i costumi… Quindi la cura torna, no? Mi porto dietro la progettualità del liceo. Un professore mi diceva: “Quando credi di aver finito un progetto, togli qualcosa”.

Caterina Sanvi/Cassandra (al centro) in Semidei. Foto: Masiar Pasquali
C’è la storia dell’arte nella tua formazione continua oggi?

Milano offre tanto: musei, mostre, vado in Triennale… Arrivano tanti riferimenti, anche dai fotografi. Non sai cosa ti tocca, ma possono essere anche cose distanti, che ti parlano.

Sanvi con Anna Bonaiuto in Durante di Pascal Rambert. Foto: Masiar Pasquali
Parliamo di maestri. Hai studiato con Antonio Latella.

Alla Scuola del Piccolo il direttore era Carmelo Rifici e quando è il direttore a insegnare è come se ci si sentisse di dovergli tanto. Anche con Pascal Rambert è stato molto bello: ero in queste scene con una grande attrice come Anna Bonaiuto… Di Latella mi porto tanto con me, ci ha seguito per 3 anni e ci ha dato anche la possibilità di scrivere: il percorso drammaturgico con lui si è aperto. Antonio mi ha detto una cosa molto forte: “Io ti credo sempre, però proprio per questo puoi anche strafare di più”. Veramente mi rendo conto ora che con Cassandra sto facendo uno scarto, dicendomi: “Ma se andassi oltre?”. Quindi, com’è che ti ribelli a te stessa? Mi rimane anche il lavoro per Sogno di una notte di mezza estate [diretto da Rifici al Teatro Studio Melato a fine 2024], in cui ero un’Ippolita “Cassandra” perché dicevo: “Io ho visto, io vedo le cose”. Un’altra volta questo sguardo di urlo, di dolore. Lì mi sono resa conto della voce, che c’era.

Il corpo che prevale e rafforza la voce, insieme a Cassandra, arrivano dopo l’incontro con Sonia Bergamasco quando fu Cassandra per Jan Fabre.

Sono andata a cercare Sonia proprio dopo Resurrexit Cassandra. Ci ero andata per vedere lei e per il testo [di Ruggero Cappuccio]. L’ho vista e ho detto: “È gigantesca”, ma non solo per la potenza, ma anche per la statura. Mi sembrava alta come me, forse più di me [Caterina è alta anche più di me]. Sono rimasta folgorata, Sonia è stata una scoperta: mi ha fatto capire che potevo essere artista, non solo “attrice”. Poi è tornata alla Scuola del Piccolo per fare il teaser di Duse e mi ha riconosciuto. Mi ha inviato i suoi libri e ho capito che certe letture ti possono salvare da certe cose che puoi sfruttare come mezzo nella recitazione. Spesso c’è un dolore che ha a che fare con me, non con qualcuno che mi ha fatto del male… Nel laboratorio ad Asolo [per Duse. The Greatest] è stato importante parlare tra donne di questo lavoro, libera di essere fragile. Là vedevo delle donne così forti, che quando Sonia mi ha chiesto di andare ho detto: “Che cosa devo portare io, al secondo anno della Scuola?”. Sono molto stupita da come sono andate le cose. Con la Duse è stato così. Quando Sonia dice che saliva le scale della Scuola del Piccolo Teatro e la vedeva… era la stessa scuola che ho fatto io. Anch’io la vedevo lì, ma non mi ha parlato così come ha fatto a lei, subito.

Sanvi in Duse. The Greatest di Sonia Bergamasco

P. S. Tra il Teatro Studio Melato e la panchina di fronte al Castello Sforzesco fa freddo ma  parliamo anche della famiglia Parondi di Visconti, delle sale cinematografiche al mattino, dei film che Caterina vorrebbe fare, di Giordana e Sorrentino, di drammaturgie che Caterina sta scrivendo, di come l’arte fa riconoscere i simili gli uni con gli altri, e di cose che restano per noi.

 

Floriana Conte Professoressa associata di Storia dell’arte  a UniFoggia e Socia corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia

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