Conferenza stampa Meloni, alcune puntualizzazioni politiche. Se candidarsi alle Europee, ancora non ha deciso, “messaggi” alla classe dirigente di Fratelli d’Italia

Sono Giorgia, sono una madre (lavoratrice e “affermata” ma tra Palazzo Chigi e la figlia sceglierebbe senza dubbi la seconda), sono una premier (ma non significa che la responsabilità di governo debba accollarsela tutta e solo lei: avviso ai Fratelli d’Italia), sono non soddisfatta ma ottimista sull’immigrazione, meno sulla possibilità di evitare il referendum sul premierato (che non sarà comunque un plebiscito sulla sua persona, la brutta fine di Renzi docet).

Tre ore di conferenza stampa di fine anno a Montecitorio, due volte rimandata per un problema di salute (i fastidiosi otoliti) e dunque diventata di inizio anno nuovo, aperta con la sottolineatura che “non mi sottraggo alle domande”. Che, nella specie, sono ben 42, e consentono un’ampia illustrazione del Meloni-pensiero: dal Mes “obsoleto” al compromesso accettabile sul Patto di Stabilità, dai rilievi del presidente Mattarella su ambulanti e balneari letti “con grande attenzione” e su cui il governo cercherà la quadra tra tutelare le concessioni esistenti ed evitare la procedura di infrazione europea, dal premierato che non lede le prerogative del Quirinale all’autonomia che “si tiene” con l’altra riforma e non crea “sperequazioni” tra Regioni (mai detto così esplicitamente prima, e il Doge veneto Zaia esulta).

 

 

 

Ma il punto più politico, e atteso, è uno, e va secondo pronostici. Il caso Pozzolo, il deputato biellese indagato per lesioni dopo che la sua pistola ha ferito il genero di un agente di scorta del sottosegretario Delmastro a una festa di Capodanno: “Premesso che aveva il porto d’armi per difesa personale, aveva il dovere legale e morale di custodire la pistola con serietà. C’è un problema perché non è stato responsabile”.

 

 

 

Di qui l’annuncio dell’azione competente da statuto: il deferimento di Pozzolo alla commissione dei probiviri previa sospensione cautelativa dal partito. La premier respinge le critiche generalizzate alla classe dirigente di FdI (“Ne ho più stima di quanto legga sui giornali”) ma avverte che sarà “rigida”: Non sono disposta a fare questa vita se le persone intorno a me non capiscono questa responsabilità, è bene ricordarlo a tutti, non è che uno se la assume e gli altri no”. Parole eloquenti.

Il secondo punto politico è la blindatura – sia pure con molti punti aperti, soprattutto in vista delle elezioni Europee – dell’”ottimo rapporto” con gli alleati e in particolare con Salvini (la Lega dirama una nota per non far sfuggire la “piena sintonia”) . Sul caso Verdini-Anas Meloni non ritiene che il ministro dei Trasporti debba riferire in aula come chiedono le opposizioni: le intercettazioni riguardano il governo precedente e l’inchiesta sarà giudicata “a valle e non a monte”.

 

 

 

Certo, se è esclusa a Bruxelles un’alleanza strutturale con la sinistra non lo è un eventuale sostegno a un presidente di Commissione diverso dal proprio candidato. E quanto al gruppo unico, le distanze con Afd appaiono “incolmabili” (meno, sulla Russia, con il partito di Marine Le Pen). La premier però smina la questione più deflagrante: l’ipotesi è che si candidino i tre leader dei partiti della maggioranza, ma si deciderà insieme con Salvini e Tajani. Nessuno sgambetto, insomma, per cannibalizzare gli amici. E nessun rimpasto – giura – all’orizzonte grazie alla candidatura di ministri (traduce lei stessa: non se ne vuole liberare).

Molto interesse nei giornalisti suscitano alcune frasi che Meloni non vuole ulteriormente circostanziare: “Con questo governo affaristi e lobbisti non passano un buon momento, gli attacchi di questi giorni forse sono figli anche di questo… Qualcuno in questa Nazione ha pensato di dare le carte, l’ho visto accadere ma non mi spavento facilmente. Non sono condizionabile né ricattabile. Scelgo io o preferisco andare a casa”.

Poi c’è un riferimento a Giuliano Amato, che in un’intervista a “Repubblica” ha evocato similitudini con Ungheria e Polonia a proposito della Corte Costituzionale (dove il Parlamento dovrà eleggere 4 giudici nel 2024): “Sono basita, il mondo in cui la sinistra aveva più diritti degli altri è fi-ni-to” scandisce. Per il resto i temi sono quelli già battuti: la “sfida epocale” dell’immigrazione, non è soddisfatta dei risultati ma l’appuntamento è a fine legislatura; giustizia e burocrazia le priorità; meno custodia cautelare, più edifici-carceri e meno indulti per gestire la sovrappopolazione dei detenuti; contro i paradisi fiscali serve un coordinamento europeo. Si smarca dall’accusa di partito a conduzione familiare: “Comincia a stufare. Potevo mettere mia sorella nelle partecipate pubbliche come fanno altri…”.

 

 

 

Sfida Elly Schlein, confermando di prediligerla come avversaria diretta per la sfida di giugno prossimo (non Conte e i 5S, “giustizialisti con gli altri e garantisti con i loro”). Chiede conto del silenzio a sinistra sulle parole di Marcello Degni, consigliere della Corte dei Conti, che in un post auspicava l’ostruzionismo sulla manovra e persino l’esercizio provvisorio di bilancio. Punge Chiara Ferragni: “Per la sinistra è come Che Guevara, per me è più importante chi fa un pandoro di chi lo griffa”. Prende atto che la Fnsi ha disertato la conferenza stampa a causa della proposta di legge restrittiva sulla pubblicazione delle intercettazioni ma difende il testo: “Non è un bavaglio, è una legge equilibrata”. Agli ultimi minuti dell’incontro, le chiedono quale sia stato in questo tempo di governo il momento più difficile. Più d’uno, ci riflette, poi cambia tono: “Il naufragio di Cutro. 94 morti in mare, l’accusa che fosse colpa mia, non lo ritengo vero ma pesa”.

 

Federica FantozziGiornalista

 

 

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