Cercando la formula… Con un pensiero a Montale

Troppe volte ci ostiniamo a cercare la profondità laddove non c’è, a esaltare come intuizioni fulminanti elucubrazioni mattocche, a elevare entusiasticamente prima per  abbattere poi sonoramente quelle che sono sin dal principio mediocrità lampanti.

Sono solo alcune delle cattive abitudini di tempi confusi, in cui si strologano senza sosta i pensatori e i pensieri del passato alla ricerca di non sappiamo neppure cosa. Non certo la soluzione che ci può fare svoltare, cambiare passo, entrare in tempi nuovi.

Assediati da analisi e da approfondimenti spesso di una noia e una ripetitività letali, non osiamo cercare soluzioni ma semplicemente rinviamo azioni e procrastiniamo scelte, come se avessimo davanti tutto il tempo. E invece ogni istante che passa scava tra noi e il futuro un baratro che somiglia sempre più a certi orridi di cui non si riesce neppure a immaginare il fondo.

Cerchiamo o fingiamo di cercare la formula risolutrice senza renderci conto che si tratta di una assurdità. Semplicemente perché la formula non è una sola, così come non lo sono le soluzioni possibili. Che non sono certo cristallizzate in un idilliaco passato e altrettanto ovviamente non ci attendono belle e pronte in un futuro qualsiasi.

Tempi di confusione.

Ci sovvengono le parole di Montale: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.  Codesto solo possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

La vera rivoluzione sarebbe incominciare a pensare che la provvisorietà in cui siamo immersi non è una condanna ma una opportunità. Insomma tutto è ancora, come sempre, possibile. Ciò ci sgraverebbe quantomeno dall’utopia di voler risolvere tutto e subito, che è poi il paravento di chi in realtà rifugge dall’azione (…tutto cambi affinché nulla debba mutare), e sfaterebbe il mito della ferrea programmazione come ricetta unica per tutti i mali. Invece ci occorrono fantasia visionaria, spirito di conquista, sfacciata e orgogliosa impudenza. Entusiasmo irrazionale mischiato a una volontà cocciuta e caparbia. Accettazione del rischio, sopportazione del possibile fallimento, slancio generoso che non teme la irriconoscenza e non si preoccupa di subire la critica e l’incomprensione.

Riformare il nostro modo di vivere e di organizzare la società in tutte le sue articolazioni è possibile, partendo però dal comportamento personale, dal sentimento di appartenenza e dall’esempio che diventa testimonianza. Si tratta in primo luogo di un fatto culturale, non libresco.

La condivisione di consuetudini, la solidarietà tra chi ha un comune sentire sono il primo passo per formare un nuovo blocco sociale. Non più basato su censo, su fazioni di qualsiasi tipo e neppure sulla appartenenza partitica come la abbiamo conosciuta fin qui. Ma piuttosto sulla accettazione e il rispetto di regole e di comportamenti. Perché ogni piccolo cedimento personale, sommandosi a quelli chi deraglia per principio o convenienza, contribuisce al caos generale.

Partendo da questa massa compatta sarebbe ancora possibile sia riformare la politica intesa come rappresentanza sia agire con la principale arma che una struttura democratica ha nei confronti di chi la vuole scassare o violare: l’ostracismo e l’isolamento.

Nessuno armonizza il proprio comportamento personale a quello della società in cui vive, opera o vuole integrarsi, per illuminazione di qualche divinità. La compartecipazione avviene solo se esistono forti esempi cui ancorarsi, modelli che si accettano e si applicano, desiderio di operare in armonia con quanto ci circonda.

Se noi per primi non sappiamo bene chi siamo, da dove veniamo e che cosa vogliamo è impossibile costruire qualcosa o tenere a bada chi vuole vivere nella prepotenza e nella mancanza di regole. Perché non ci troviamo di fronte ad una rivoluzione che vuole cambiare il nostro mondo e la nostra società. E neppure al cospetto del vecchio sogno utopico dell’ anarchia.

Siamo dinnanzi allo sfacelo, al caos. Al quale forse, perché davvero tutto è possibile, seguirà una nuova Era. Non possiamo escluderlo, dato come vanno le cose su questa Terra. Ma noi rischiamo di non vederla, inghiottiti dal nostro vuoto morale, dalla inettitudine, dal lassismo, dal giustificazionismo cieco, da un egoismo che non osa combattere e costruire nella speranza folle di farla franca singolarmente.

Quelli che ancora, di fronte a certi scempi, sono in grado di scambiarsi sguardi di stupore che dicono più di mille parole debbono farsi forza e agire.

Questa è forse la sola via per la salvezza dal nulla che avanza e per avviare un riformismo radicale. Altrimenti prevarrà la vuota retorica di una finta bontà imbelle, e assai poco misericordiosa, che lascia fare e non affronta i problemi, confondendo il cedimento e l’egoismo per libertà e tolleranza.

 

Maurizio Lucchi  – Giornalista

Storie e personaggi. L’eccentrico barone La Lomia

"Io ho la gioia di credere e penso che la vera nascita sia la morte. Noi siciliani abbiamo il culto Read more

Il Ramadan e la chiusura delle scuole

C’è stato un tempo – se più o meno felice, decida naturalmente il lettore – in cui il primo giorno Read more

Pasqua, la ricorrenza tra parole e gesti

C’è un brano, tra i più significativi del Vangelo, in cui la "parola" del Signore si fa "gesto" carico di Read more

Il Censis fotografa il mondo della Comunicazione

"Mentre rimaniamo per lo più incerti nel soppesare i benefici e i pericoli connessi all’impatto dell’Intelligenza Artificiale sulle nostre vite Read more

Articolo successivo
Scuola e post-pandemia, Margiotta (Priorità alla Scuola): gli errori da non ripetere
Articolo precedente
Una leggenda medievale per uno stendardo rivoluzionario. Sciami di stelle dipinte per un notturno in Costa Smeralda: a cosa servono i poeti, anche d’estate

Menu