Ceccanti: leggere Mounier per capire l’Ucraina. No a bellicismo e pacifismo come ideologie

E ci aiuta a capire ancora meglio l’articolo 11 della Costituzione sul "ripudio della guerra" e sulla "legittima difesa"

“Credo che la crisi ucraina rilanci seriamente, a quasi 90 anni dalla nascita di “Esprit”, l’attualità delle riflessioni di Emmanuel Mounier, con il rigetto sia del bellicismo sia di un astratto pacifismo, e, soprattutto, ci aiuti a leggere bene l’articolo 11 della Costituzione, risalendo alle culture fondanti che l’hanno generata e all’esperienza della Resistenza europea che ne sta alla base”.

È questo uno dei passaggi chiave della prefazione che l’on. Stefano Ceccanti, deputato del Pd, professore ordinario di Diritto comparato, ha scritto al libro di Emmanul, Mounier, I cristiani e la pace, edito da Castelvecchi.

Una prefazione dedicata a Beniamino Andreatta di cui Ceccanti ricorda una “una lezione di realismo” nella sede dell’AREL (Agenzia di Ricerche e Legislazione), alla presenza di Roberto Ruffilli e Maria Eletta Martini.

“Ci disse che il titolo di una tavola rotonda  ‘L’Europa necessaria, il riformismo possibile’ del Congresso della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) di Verona, tenutosi qualche tempo prima, era giusto se inteso in un senso corretto: l’Europa necessaria doveva essere in primo luogo una moneta comune e una difesa comune su cui poggiare gli ulteriori necessari avanzamenti.

I conti con Mounier, teorico del personalismo comunitario, sono tutt’altro che chiusi- scrive a sua volta nella introduzione al volume Giancarlo Galeazzi-  e la cosa è vera da molteplici punti di vista, non ultimo in riferimento al problema della pace, una questione che è oggi particolarmente dibattuta.  Mounier l’ha affrontato “in modo coerente con la sua concezione generale della persona e in un modo, ancora una volta, che si sottrae agli ingabbiamenti ideologici, preoccupato solo, e come sempre, di mettere al centro del suo pensiero la persona, anzi la “vita personale” dell’uomo”.

Concentrando la sua attenzione sui profili strettamente giuridico-politici del testo di Emmanuel Mounier, che è del 1939, Ceccanti si sottolinea questo interrogativo di partenza, in termini etico-politici: come reagire al Male, alla volontà di potenza che si era espressa a Monaco l’anno precedente e che aveva trovato le democrazie europee, Regno Unito e Francia, del tutto impreparate?

Ovviamente non si può che essere contro i bellicisti, ma questo significa che dobbiamo aderire a una forma di ideologia pacifista, che punta su un tipo di pace che assomiglia a una resa?

Per rispondere a questa domanda, Mounier inizia criticando la Conferenza di Monaco, che non aveva affatto garantito la pace, ma esclusivamente l’”assenza di guerra armata”. La cultura politica che vi si era espressa da parte delle democrazie occidentali era quella di un “pacifismo dei tranquilli”, una “mediocrità” e un’”assicurazione contro ogni rischio”, un’”utopia da sedentari”.

Questo esito è inaccettabile perché la forza è “una componente costante dei rapporti umani. […] Non esiste diritto che non sia stato plasmato da una forza, che non si sostenga senza una forza”. Qui, contro ogni idealismo astratto, Mounier ricorda le tappe di crescita delle democrazie liberali: i diritti civili imposti dalla forza della borghesia, la legislazione lavoristica ottenuta con l’ascesa delle forze operaie. 

Nel testo di Mounier Ceccanti trova un altro punto di forza, perché illumina anche i lavori della nostra Assemblea Costituente e le interpretazioni dell’articolo 11, dov’è scritto che l’Italia “ripudia la guerra”.

La rinuncia alla guerra prende il suo senso nella costruzione di una nuova autorità legittima chiamata a rompere il sistema delle sovranità nazionali assolute.

L’unico vero perfezionamento e arricchimento, rispetto al verbo “ripudia”,  fu così introdotto da Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75, incaricata di redigere il testo della Costituzione il 24 marzo 1947. 

“Si tratta anzitutto – scrisse Ruini – di scegliere fra alcuni verbi: rinunzia, ripudia, condanna, che si affacciano nei vari emendamenti. La Commissione, ha ritenuto che, mentre “condanna” ha un valore etico più che politico-giuridico, e “rinunzia” presuppone, in certo modo, la rinunzia ad un bene, ad un diritto, il diritto della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola “ripudia”, se può apparire per alcuni richiami non pienamente felice, ha un significato inter medio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra”.

Importante, però, per illuminare le culture politiche dei Costituenti, fu anche il dibattito sull’articolo 52 della Costituzione e più specificamente sulla bocciatura a larghissima maggioranza dell’emendamento contro il servizio militare e per la neutralità perpetua presentato dal deputato socialista Arrigo Cairo. 

La proposta, che riecheggiava l’impostazione dell’articolo 9 del progetto di Costituzione giapponese, noto ai Costituenti perché tradotto come molti altri dal Ministero per la Costituente, fu respinta in due votazioni diverse il 22 maggio 1947, ricorda Ceccanti, sulla base della lettura dei lavori preparatori.

Fin qui la Costituzione italiana e l’atteggiamento verso la guerra.

Ma come la mettiamo con la guerra dal punto di vista della dottrina della Chiesa, nella lettura di Mounier?

Indubbiamente il cristianesimo punta ad allentare la “servitù della forza” per far prevalere altrimenti giustizia e carità, ma non è una pedagogia facile, immediata e neanche irreversibile: riemergono infatti costantemente “potenze oscure […] dalle caverne della vita e dagli abissi del peccato”.

Per questa ragione occorre lavorare simultaneamente sulla trasformazione delle istituzioni e su quella degli individui, ed è sulla base della consapevolezza di questa complementarità che Mounier  – osserva Ceccanti – critica la Chiesa cattolica per essersi sostanzialmente tenuta ai margini della Società delle Nazioni, in polemica intransigente contro i vari filoni della modernità avvertiti come avversari (giudeo-marxisti, massoneria, liberalismo protestante), privando quella prima preziosa istituzione internazionale del contributo del suo “realismo cristiano”, che avrebbe potuto correggere l’”idealismo cosmopolita”.

Oltre al bellicismo che sta dietro la sovranità statale occorre però per Mounier anche prendere atto della distanza che separa “il realismo cattolico e una certa ideologia pacifista”, giacché “al di fuori dei sentieri della santità integrale”, dopo aver esperito seriamente tutte le alternative possibili, “può arrivare il momento in cui tali mezzi si rivelano definitivamente inefficaci” e allora, solo a quel punto, “il cattolicesimo ammette la legittimità della violenza al servizio della giustizia”.

A questo punto Ceccanti piazza la sua osservazione: Fermo restando che nel nostro lessico odierno avremmo usato non la parola “violenza” ma “forza” (perché la seconda comporta un nesso col Diritto, la prima no), Mounier vuole essere rigoroso e non generico e ricorda quindi le quattro condizioni poste dalla Chiesa cattolica (e che devono essere tutte compresenti) per ritenere giusta una guerra: autorità legittima; causa giusta intesa come riparazione di una grave ingiustizia e proporzionalità dei mezzi rispetto ai mali arrecati; retta intenzione ossia scopo di una pace giusta; necessità del mezzo bellico come unico per riparare l’ingiustizia.

Per evitare la guerra non si può escludere a priori il rischio di guerra: “il rischio è ovunque, salvo nell’avvilimento o nel suicidio deliberato. […] Deve essere corso, facendo al contempo uno sforzo tanto più eroico per scongiurarlo”.

La complessità persistente del magistero della Chiesa, con qualche importante aggiornamento da aggiungere.

Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa cattolica del 2006, nel numero 500 ripropone le quattro condizioni enunciate da Mounier, con un’aggiunta di maggiore cautela sulla “potenza dei moderni mezzi di distruzione“. Sulla questione dell’autorità legittima, il numero 501 richiama la Carta dell’ONU e il ruolo del Consiglio di Sicurezza. Il paragrafo 506 apre con analoghe condizioni anche a for me di ingerenza umanitaria dentro il singolo Stato, mettendo quindi in discussione la sovranità statale ed elogia l’istituzione della Corte Penale Internazionale.

In altri termini, rispetto alla ricostruzione di Mounier, la Dottrina sembra mostrare un dubbio maggiore- osserva Ceccanti nella Prefazione –  rispetto al canone della proporzionalità, essendo cresciuta la potenza distruttiva dei mezzi, ma sembra estendere la retta intenzione anche all’ingerenza umanitaria.

I due aggiornamenti più rilevanti, in altri termini, confermano la complessità della Dottrina, perché l’uno invita a una maggiore prudenza mentre l’altro estende le finalità che possono legittimare l’uso della forza.

Il paragrafo 500 condiziona l’esercizio della legittima difesa anche alla sua ragionevole efficacia: essa va praticata quando “ci siano fondate condizioni di successo”, cosa che ovviamente mira a evitare forme di testimonianza estrema.

Ceccanti però avverte che non si può tuttavia leggere questa osservazione in modo semplicistico, come se la valutazione fosse limitata al solo momento di un’aggressione e alle sue più immediate conseguenze: così sarebbe ammessa solo una resa senza condizioni. La Scrittura, del resto, ci presenta il caso di Golia, molto più alto e forte, ma con una capacità visiva inferiore a colui che lo sconfisse (Davide oppure Elcanan, a seconda delle diverse narrazioni). Chi vede più lon- tano sa che chi appare soccombente a breve non lo è necessariamente alla fine del percorso.

Una lodevole iniziativa, insomma, la riproposizione di questo testo di Mounier, importante, come scrive Ceccanti, per la sua estrema attualità, in questi tempi di guerre e di rischi di allargamento del conflitto.

Sulla stessa lunghezza d’onda concettuale, l’ introduzione di Giancarlo Galeazzi.

“La chiave di lettura che ci sembra fondamentale per comprendere la posizione di Mounier –  scrive – è da rintracciare nella duplice critica che egli svolge: non solo al bellicismo, ma anche al pacifismo. Possiamo ascrivere alla pars destruens della riflessione mounieriana la critica dei due opposti atteggiamenti, una critica essenziale per capire la concezione  di Mounier. In proposito va ricordato che il saggio di Mounier, posto nel primo volume delle Oeuvres col titolo  Les chretiens devant le problème de la paix – era originariamente intitolato Pacifistes ou bel- licistes?

Ebbene, Mounier respingeva questo aut aut per mostrare che la pace è compromessa non solo dai guerrafondai ma anche dagli imbelli. Si tratta di una annotazione preliminare, che condiziona tutto lo sviluppo della riflessione mounieriana. Infatti, mentre è evidente che il bellicismo si oppone alla pace, non altrettanto evidente è che vi si opponga il pacifismo. Eppure, la cosa risulta chiara, se precisiamo che Mounier si riferisce a quel “pacifismo integrale” che è, a ben vedere, una “ideologia pacifista”.

Dunque, bellicismo e pacifismo sono rifiutati da Mounier per il loro carattere ideologico. In alternativa a essi egli pone – passando alla pars costruens – una concezione cristiana che definisce “realismo spirituale”. 

Al riguardo Mounier precisa che tale “ideale cristiano non è un’utopia messa di fronte ai “realismi” politici”, e sottolinea, riprendendo esplicitamente un’espressione di Maritain, che l’ideale cristiano “è una serra che fa spuntare senza interruzione ideali stori- ci concreti, i quali si innestano in una situazione storica localizzata e datata, cercando di trasformarla il più possibile dall’interno alla luce del Vangelo”. 

 

Emmanuel Mounier (Grenoble, 1º aprile 1905 – Parigi, 22 marzo 1950)

 

Mario Nanni – Direttore editoriale

 

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