La banca italiana Unicredit accresce la sua presenza in Commerzbank, la quarta banca tedesca, e la Germania reagisce, e anche male, come se fosse una invasione di campo in casa altrui. Alla faccia dello spirito europeo e comunitario. Ma questo caso non è un grave segnale di una crisi più profonda che riguarda l’Europa, il suo assetto economico, le sue difficoltà nel competere con Usa e Cina?
Abbiamo chiesto un’analisi della situazione e delle prospettive al professor Mario Baldassarri, economista, già vice ministro dell’economia dal 2001 al 2006. Le sue spiegazioni, oltre al rigore scientifico dell’economista, sono rese ancor più chiare da una certa verve e inclinazione del professore alle definizioni icastiche e alle battute.
Professor Baldassarri, che idea si sta facendo della vicenda di Commerzbank?
Il caso Commerzbank è la punta di un iceberg, di un sistema che non va e che andrebbe radicalmente cambiato. Il governo italiano non è intervenuto nella vicenda, e ha fatto bene. Il governo tedesco invece sì, e pesantemente. Il cancelliere Olaf Scholz si è comportato come il marchese del Grillo, poi ha rettificato la sua reazione. E si capisce: non è una materia che compete ai governo, e poi c’è poco da fare il gradasso: la Germania non naviga in acque tranquille, e lo dico con un eufemismo.
Questa reazione tedesca non denuncia un fatto grave: dov’è andato a finire lo spirito europeo, il senso di appartenenza all’Unione?
Lo spirito europeo? È latitante, non pervenuto. La Germania ha paura. La crisi che l’attraversa dovrebbe spingere i nostri cugini tedeschi a una svolta istituzionale, a un federalismo europeo in termini di bilancio comune. Invece i tedeschi pretendono di guidare l’automobile guardando lo specchietto retrovisore. Il marchese del Grillo potevano farlo prima, ora non più. Ma c’è un dato importante da tener presente…
Quale?
L’Europa è il primo grande produttore al mondo di risparmio. Il problema è che ogni anno, da oltre 10-15 anni, 400 miliardi di euro di risparmio europeo sono investiti sul mercato dei capitali americano; questo perché 27 mercatini (quanti sono i paesi dell’Ue) o i 20 dell’Eurozona, sarebbero tanti mercatini rionali. Se vendi scarpe usate, vanno bene le bancarelle, ma se si vuole vendere tecnologia, beni importanti, ci vuole un mercato più ampio.
Qual è la conseguenza di tutto questo?
Fa prima a fare il conto: quattrocento miliardi l’anno per 15- 20 anni sono ottomila miliardi. Noi europei stiamo investendo sul mercato americano 400 miliardi l’anno, quindi finanziamo il mercato americano e le imprese americane che poi ci fanno concorrenza. Siamo masochisti. E i tedeschi che guidano questa linea sono anch’essi dei masochisti.
Ma come spiega le ragioni della crisi attuale della Germania?
Il grande successo tedesco del passato poggiava su tre pilastri: le spese per la difesa erano pagate dagli americani; le materie prime erano fornite a prezzi bassi dalla Russia; le esportazioni avevano come punto di riferimento la Cina. Questi tre pilastri non ci sono più e non ci saranno nel futuro
Ma il punto cruciale, alla fine, non è che c’è un problema di competitività dell’Europa rispetto al resto del mondo?
Mario Draghi ha parlato chiaro: servono 800 miliardi di euro all’anno per rendere l’Europa competitiva nel XXI secolo.
Ma Draghi, al di là delle reazioni positive che ci sono state, sarà ascoltato alla fine?
Mah, ho l’impressione che quel Rapporto stia lì a giacere in qualche cassetto. Tutti sembrano d’accordo, ma sì, che belle proposte, e poi non se ne fa nulla. Ho vissuto un tale tipo di atteggiamento 20 anni fa.
Ce lo spieghi professore.
Ho scritto venti anni fa un libro, in inglese, L’economia globale verso lo squilibrio globale. Il libro non era contro la globalizzazione, ma metteva in guardia contro i rischi di una globalizzazione senza governo. È quello che abbiamo oggi sotto i nostri occhi. Come sul rapporto Draghi, anche sulle proposte che feci venti anni fa dissero: belle idee, ma è utopia. Allora sa che le dico? C’è tanto bisogno di utopia, e sa perché? Perché l’alternativa a questa utopia è l’Europa che scompare. Bisogna uscire da una lenta agonia, altrimenti all’Europa si potrà applicare la nota storiella della rana bollita in pentola.
Qual è la sua ricetta per dare un assetto strutturale al sistema, al di là del caso contingente, come Commerzbank, che tuttavia, come ha detto prima, è un esempio rivelatore di una crisi?
Immagino un’Europa a tre cerchi. Un nucleo interno di Europa federale, con risorse proprie e un bilancio ed un debito comune. Oggi il bilancio europeo è l’1,5 del Pil, in America il bilancio federale è del 25%. In Europa al bilancio ordinario all’1,5% si affiancano i bilanci dei 27 paesi dell’Ue, bilanci deboli: 27 aghi non fanno una spada.
C’è una conclusione di questo ragionamento?
Certamente: se aspettiamo che i 27 Paesi Ue trovino un accordo unanime su questo punto, è come aspettare Godot. Tra l’altro con il diritto di veto di cui dispone ogni Paese europeo, piccolo o grande, si rischia la paralisi della Dieta polacca.
Che cosa propone allora?
La mia è una proposta secca: i Paesi che rappresentano i tre quarti dell’Europa portino loro avanti questa svolta. Francia, Italia, Germania e Spagna facciano da forza motrice di una svolta europea nel senso di creare un mercato unico , un bilancio federale unico con debito comune e quanto è necessario per dare competitività all’Europa.
Ma vede facile questa forza motrice a quattro che si dà questo compito?
In realtà ci sono problemi. Scholz è debole nel suo stesso Paese, Macron ha i suoi problemi interni…
Stava parlando dei tre cerchi di una nuova Europa. Il primo l’ha illustrato. E gli altri due?
Il secondo cerchio è l’attuale configurazione dell’Ue a 27 o a 30 se entreranno altri Paesi. Il terzo cerchio è l’area di cooperazione allo sviluppo tra Europa e Africa: chiamiamolo piano Mattei, Paperino, ma questo è.
Un’altra domanda, professore: visto che su alcune materie fondamentali (sicurezza, energia tra gli altri) i singoli Paesi hanno perso sovranità, su quali campi una Europa federale dovrebbe ritrovare sovranità e potere decisionale?
Su almeno cinque campi: politica estera; difesa e sicurezza; grandi reti (energia in testa); alta tecnologia; alta formazione di capitale umano che interagisca con l’alta tecnologia. Quanti sono gli scienziati europei ed italiani che lavorano in America? Tantissimi. Dopo essersi formati vanno a lavorare in America. Ho esempi in casa mia, due figli che lavorano negli Stati Uniti.
Quindi c’è un problema di competitività dell’Europa che passa anche per una riassunzione, un acquisto di sovranità.
La sovranità nazionale sui cinque beni pubblici che ho indicato prima è ormai perduta per sempre; l’unico modo per riguadagnare terreno è la sovranità europea. Deve nascere una nuova Europa, e questa nuova Europa non può nascere se c’è un diritto di veto.
Grazie Professore, per la sua chiarezza cartesiana.
Il mio motto, che ispira anche la rubrica settimanale che tengo su Radio Radicale, è: capire per conoscere, che si salda al motto di Einaudi, “conoscere per deliberare”. Per capire e conoscere bisogna studiare, interpretare i dati. In certi campi non si può improvvisare come fossimo al bar dello sport con quattro amici.
Mario Nanni – direttore editoriale