Ricordando Foucault. Le megalopoli crescono di numero, dappertutto, in tutti i Continenti (per la verità in Europa un po’ meno…). Lo stesso concetto di metropoli è diventato obsoleto, se non nel modo di dire certamente in quello di pensare, nell’immaginario collettivo, fatto di immense periferie, che sono grandi metastasi, dove lo stesso concetto di centro, cioè di luogo dove si elaborano i linguaggi, le strategie, le morali i costumi, è diventato residuale, senza un sito specifico. Ma una sorta di spargimento, di svanimento, in cui i nomi e le cose sono quelli impalpabili citati dai media, quelli che nelle ventiquattrore (h.24) parlano, danno notizie e informazioni caotiche, senza intelletto, senza corrispettivi, nelle reali stanze dell’esistere, del manipolare, che spesso non sono altro che derive involutive, automatiche, solo per caso piacevoli, ma spesso catastrofiche. Fra qualche anno, la popolazione “urbana”, fra virgolette (nel senso di quella popolazione che non pratica l’agricoltura) diventerà stragrande maggioranza, con sempre maggiori problemi di distruzione dell’ecosistema e del paesaggio terrestre, per contaminazione, per degrado irreversibile. Tutto, probabilmente, diventerà un dedalo, un formicaio, irregolare, con isole di paradisi fortificati e inaccessibili e viuzze maleodoranti, attorniate di circonvallazioni veloci e straniate; la vita delle immense periferie, dove i numeri prenderanno il posto dei nomi, degli slums, delle baraccopoli, sarà isolata dai quartieri bene, di benessere e di sfarzo, circondati da mura, da sbarre , da cancelli, con tutti i servizi e le comodità, che ne fanno (e ne faranno) i luoghi dell’umanità cerebrotonica, sempre più distante da quella viscerotonica della sottocultura mediale, del cibo spazzatura, della violenza (e quindi della repressione). Il futuro delle megalopoli, cioè del quasi tutto, è quello di parametri di libertà e di privacy per pochi. E della sorveglianza e della punizione per le stragrandi folle, dette