Economia

Bonanni: l’albero della Repubblica rischia di ammalarsi

Intervista a tutto campo all’ex Segretario Generale della Cisl Raffaele Bonanni, docente, vice presidente del Comitato referendario per l’abrogazione del “Rosatellum”. Chi governa non può fare tutto quello che vuole. I partiti sono diventati comitati elettorali. Privati cittadini attraverso partiti personali scalano lo Stato

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Politica

Matteotti europeista. Intervista a prof. Mirko Grasso: lezione ancora valida

Intellettuale moderno, raffinato giurista, colto socialista che guarda all’Europa (quando molti vedono l’Italia, troppi l’Unione Sovietica). Sulla morte di Giacomo Matteotti, ucciso a pugnalate dalla Ceka fascista il 10 giugno del 1924, lo storico Mirko Grasso – membro della Fondazione Ernesto Rossi – Gaetano Salvemini – intende sgombrare il campo dagli aspetti torbidi del delitto. L’autore del libro “L’oppositore”, che sarà presentato il 19 marzo alla Camera dei Deputati, dice a Beemagazine: “La tragica morte di Matteotti si spiega come l’epilogo alto e drammatico di una battaglia lunghissima condotta per la democrazia. L’onorevole socialista non è un martire, un pellegrino del nulla (come lo chiama Antonio Gramsci). Il delitto del 10 giugno non si configura come un evento isolato ma è la logica conclusione di un percorso umano, intellettuale e politico”. Professore, il delitto però rimane centrale Sì, ma è inutile andare a cercare motivazioni ulteriori o piste che non trovano riscontro nei documenti. Nell’epoca dei complottismi va di moda ad esempio la pista del petrolio Il deputato socialista è pronto a denunciare la corruzione dietro l’affare Sinclair, la convenzione tra il governo fascista e la compagnia petrolifera americana per il monopolio della ricerca petrolifera. Una vicenda che coinvolge anche Arnaldo Mussolini, il fratello del Duce É una pista suggestiva, ma non c’è documentazione. Non troveremo mai un bigliettino in cui Mussolini dice: “Fatelo fuori”. Bisogna piuttosto chiedersi perché Matteotti fa quella fine. Perché? Perché è stato un grande oppositore del regime, un profondo antifascista: non solo quando diventa deputato dal ’19 in avanti. Nei dieci anni precedenti Matteotti si dedica a un’attività intellettuale di respiro europeo: conosce le democrazie, i sistemi detentivi garantisti, i termini del dibattito intorno all’emancipazione delle classi proletarie. Nulla di più diverso dalla cronaca tricolore di quelli anni La sua visione europeista è incompatibile con

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Politica

Verso le Europee/ Alemanno al congresso del nuovo partito di Rizzo: vaghi sogni di rossobrunismo?

Sarà per la testa rasata, che fa un po’ fascista, o per il fascino dell’ex pugile che richiama i bei tempi di Primo Carnera. Fatto sta che al congresso del nuovo partito di Marco Rizzo, comunista da sempre e sovranista da un giorno, è intervenuto anche Gianni Alemanno: l’ex sindaco di Roma con la croce celtica al collo. Se provi a definirlo “rossobruno o fasciocomunista”, l’ex genero di Pino Rauti salta sui rostri: “Farneticazioni della stampa di sistema”. Non sarà amore, ma manco un calesse: “Dobbiamo creare fronti comuni per liberare l’Italia dalla sudditanza”. In platea, curiosi, siedono rappresentanti di Cina, Russia, Cuba e Venezuela, oltre a duemila compagni. Qualcuno – forse per timore del centralismo democratico – sussurra: “Le camice nere di Togliatti”. “Allora l’amnistia è servita davvero a qualcosa”, scherza un altro. Rizzo e Alemanno, il rosso e il nero, l’alleanza la tengono in forse: per ora vale la strategia dell’attenzione. Quella della tensione non ha retto alla fine dei furori ideologici del secolo breve: “Non ci faremo ancora imbrogliare per scontrarci gli uni contro gli altri come nel ‘900, mentre gli uomini del Potere continuano a fare tutti i loro accordi consociativi alle spalle del Popolo”. Ci voleva il Congresso di democrazia sovrana e popolare, con quelle vaghe idee di socialismo, perché Alemanno (ri)scoprisse lo spirito di Colle Oppio: privatizzare i gioielli di famiglia non è il miglior attributo di uno Stato forte e la crociata contro il reddito di cittadinanza non è certo una carezza ai fratelli d’Italia (quelli poveri, s’intende). Il leader della destra sociale, si vocifera, è lui: su quella letale si sono già pronunciati altri. Per uno che in gioventù è stato accusato (poi prosciolto) di aver lanciato una molotov contro l’ambasciata sovietica, la partecipazione all’evento è più del compromesso storico: sa di

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Politica

PCI, oltre 100 anni da Livorno la lezione perenne di Concetto Marchesi a una sinistra senza più b. Dove per “b” s’intende bandiere

Benvenuti in terra di banditi e marinai dove chiunque è ben accetto (tranne i fascisti e i pisani), scherzano gli abitanti. A Livorno gli ebrei hanno sempre potuto girare liberamente, senza essere mai stati rinchiusi in un ghetto. In quel porto franco, dove il “dé suona”, uomini e donne sanno che l’unica attività che si fa reclusi, almeno dagli anni ’50 del ‘900, è giocare a calcio nel ‘gabbione’: il famoso campo recintato da rete metallica per evitare che il pallone finisca in mare. Tutto inizia in quella città, la più moderna della Toscana, il 21 gennaio del 1921: al teatro Goldoni. Viene il sospetto che non vi sia più traccia dello striscione ingiallito – “proletari di tutto il mondo unitevi” – issato sopra la volta della struttura Ogni anno – rito laico di una sinistra in cerca di identità – ci si chiede cosa salvare di quel congresso maledetto, dove un gruppo di giovani socialisti abbandona i compagni e sfila in corteo sotto la pioggia verso l’altro teatro livornese, il San Marco, per fondare il “Partito Comunista d’Italia”. Sono stufi dei riformisti e dei massimalisti: tutti parolai, dicono.  Bisogna “fare come in Russia”: la rivoluzione, la dittatura del proletariato. Concetto Marchesi allora ha 43 anni e l’entusiasmo di un ventenne: “Il socialismo è finalmente calato sulla terra”, scrive. Quel sovversivo colto, a 18 anni in galera per aver difeso gli anarchici e a 37 ordinario di letteratura latina, fiuta che si volta pagina. Il biennio rosso è finito con una rivoluzione messa ai voti (ghigliottinata dalla prudenza dei sindacalisti moderati della Cgil), mentre i fascisti si stanno prendendo l’Italia con il manganello e l’olio di ricino. Il sol dell’Avvenir, scrive, è a Mosca dove Lenin ha conquistato il potere e sconfitto la reazione. Marchesi frequenta nei suoi studi la

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Mondo

La rivoluzione (neo) liberista e poco liberale di Milei. Storia di un presidente con la motosega che guarda alla scuola di Chicago

Libertario di estrema destra, soprannominato “el loco”, cioè il matto per il suo carattere aggressivo, Javier Milei, istruttore di sesso tantrico con la passione per il Ménage à trois, ha stravinto le elezioni in Argentina con la promessa di prendere a colpi di motosega lo Stato. In un Paese dove il debito pubblico supera i 400 miliardi di dollari, mentre il tasso d’inflazione è stabile sopra la soglia del 140%, il sosia di Mick Jagger si è presentato agli argentini con il proposito di scardinare, rompere, fracassare la grande piovra: il sistema peronista. Milei, fedele al Vangelo di Robert Nozick, l’anarco capitalista che sognava lo “stato minimo” e amava ripetere che “un sistema libero dovrebbe permettere all’individuo di vendersi in schiavitù”, ha in serbo per la seconda economia del Sudamerica la cura più antica del mondo, il salasso: chiudere la Banca centrale, cancellare l’assistenza sociale e sostituire la valuta argentina, il peso, con il dollaro. Sempre in omaggio a Nozick, secondo cui “le tasse del lavoro non sono altro che lavoro forzato”, il neo presidente argentino sostiene che “lo Stato è un’organizzazione criminale che si finanzia attraverso le tasse prelevate con la forza”. Secondo l’ex conduttore radiofonico, esperto di telepatia e con la sorella astrologa, i poveri devono avere il diritto di vendere parti del proprio corpo, i gay di sposarsi, i fricchettoni di fumare tutta l’erba che desiderano: un “ultra liberale” lo ha definito qualche commentatore. Peccato che sempre Milei si opponga ad aborto, femminismo ed educazione sessuale e abbia scelto come vice Victoria Villarruel: cattolica tradizionalista, “anti-gender”, ma soprattutto negazionista del terrorismo di Stato della giunta militare che tra il 1976 e il 1983 ha ucciso 30 mila dissidenti, in larga parte giovani, in quella che è passata alla storia come “guerra sporca”: rapimenti notturni, torture nelle caserme,

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Mondo

Se la politica del doppio standard allontana la pace

Partecipava a molti festival musicali in giro per il mondo con il suo fidanzato messicano. Era solare, aveva scelto per professione la sua passione: i tatuaggi. Di Nicole Shani Louk, la ragazza tedesca trucidata dai terroristi di Hamas a soli 22 anni, rimane l’immagine di un corpo seminudo e con la gambe spezzate, portato via dagli agenti del terrore: la speranza di ritrovarla ancora viva, poi la tragica certezza di una esistenza troncata, tutta una vita da immaginare. Di ciascuno ostaggio, nelle mani dei tagliagole dal 7 ottobre, conosciamo l’identità e i sorrisi, i sogni e le speranze. L’Occidente rivendica il primato della vita sulla morte, dando un volto alla sua umanità ferita. Dopo migliaia di morti nei bombardamenti su Gaza, i ministri degli Stati europei assicurano che i camion di aiuti hanno già attraversato il valico di Rafah, ripetono che il nemico non è la popolazione civile. Tra le macerie delle case nella Striscia, più pungente dell’odore del fosforo bianco, c’è il miasma del doppio standard: quello che giudica il poema a seconda del poeta, gioca con l’abaco e riduce le vittime di un massacro a un puro fatto numerico. Ogni giorno il piombo israeliano uccide 420 bambini, le forze di difesa dello Stato ebraico massacrano decine di palestinesi bersagliando scuole e ospedali. Opinionisti da talk show proclamano il diritto di Israele a difendersi, ricordando la mattanza nei kibbutz dove i macellai di Hamas hanno sgozzato i bambini. Nel campo profughi di Jabalia un raid israeliano ha ucciso almeno 50 persone, creando un cratere enorme, i medici dell’ospedale indonesiano di Gaza raccontano quello che hanno visto: “Qui arrivano con gli arti amputati, la testa squarciata, pezzi di cervello visibili. Un bambino che ha meno di un anno è irriconoscibile dal volto, ha la pelle danneggiata: ha perso tutti”. Un

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Mondo

George Habash, storia della nascita di un terrorista. E della tragica metamorfosi da medico a macellaio

Alla fine di ogni guerra i soldati tornano a casa sperando che quello che hanno visto e fatto non rimanga con loro per sempre. Gli spettri sono però duri a morire: agitano il sonno, insanguinano la pace. È più facile vincere la guerra che avere ragione di un fantasma, dice un antico proverbio arabo. Lo conosceva, forse, il dottor George Habash, fondatore del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, un’organizzazione terroristica che ha massacrato donne e bambini in nome della lotta al sionismo. Dalla sparatoria all’aeroporto di Monaco all’attentato nella sinagoga di Amburgo, dal massacro di Fiumicino sino alla bomba sullo Swissair: la lunga scia di sangue degli Anni Settanta e Ottanta porta la firma di un uomo che ha scelto il terrore come arma per dare libertà al suo popolo. I delitti di un terrorista spietato, “robe da belve” anche secondo l’opinione dei palestinesi di Al Fatah, sono opera di un medico che prima del 1967 lavora in una clinica di Amman: uno che dorme in corsia, non si fa pagare le visite e compra le medicine ai poveri. “Come può un uomo che ha speso il suo intero patrimonio per gli ultimi diventare un macellaio?  Cosa può provocare una simile metamorfosi?”, chiede Oriana Fallaci guardando il capo del Fronte di liberazione dritta negli occhi: “Cosa è successo nel 1967?”. Habash risponde, per una volta abbandonando gli schemi dell’analisi marxista, senza sovrastrutture: “Non fu un ragionamento, temo. Non fu Marx che già conoscevo. Fu un sentimento”. Le parole si fanno confuse, le frasi frammentate. “Venne il 1967…e loro furono a Lidda.. e non so come spiegarmi .. ciò che significa questo per noi… non avere più una casa, né una nazione, né qualcuno cui importi.. Ci costrinsero a fuggire… È una visione che mi perseguita e che non

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