Attacchi ibridi: dall’intelligenza artificiale ai social, chi entra a gamba tesa nelle campagne elettorali

L’ultimo caso è quello della Romania, con l’annullamento del primo turno delle presidenziali. Ma in generale si tratta di fenomeni che richiedono profonde riflessioni da parte della politica, della cultura e della comunicazione

Al netto di ogni necessaria – e per ora sospesa – attenzione scientifica alla pronuncia della Corte costituzionale romena di annullamento del primo turno delle presidenziali a motivo della “non naturale” avanzata del candidato di estrema destra filo-putiniano Georgescu, fino a quel momento quasi del tutto sconosciuto al popolo, resta il fatto della prima risposta di un ordinamento costituzionale europeo all’intervento pervasivo delle piattaforme digitali e dell’Intelligenza artificiale.

Si tratta, dunque, di un riconoscimento della pericolosità potenziale dell’attacco “ibrido” alle democrazie, portato da “entità esterne”, dunque ancora più minaccioso per la sovranità dello Stato di quanto non possa essere un attacco portato da un competitor interno in un confronto politico, ma sicuramente altrettanto dannoso dal punto di vista dell’alterazione del processo di formazione di un’opinione politica.

Vedremo se questa pronuncia scuoterà le classi dirigenti europee – in America, con l’avvento di Elon Musk nel giro del potere presidenziale sembrerebbe proprio di no- inducendo ad una diversa consapevolezza del mutamento delle regole d’ingaggio nella lotta ai nemici della democrazia liberale.

L’uso delle piattaforme digitali

Intanto c’è un aspetto di questa vicenda su cui andrebbe posta una riflessione che fino ad oggi è parsa insufficiente. Parliamo dell’uso delle piattaforme digitali private da parte delle istituzioni pubbliche. Beninteso: non s’intende discutere del ruolo, importante, assunto dalle piattaforme digitali proiettate verso l’assunzione di ulteriori immensi margini di espansione dalla loro portentosa evoluzione tecnologica, argomento che sta nutrendo una vasta letteratura multidisciplinare e che, per il costituzionalista, si incentra particolarmente sulla libertà di manifestazione del pensiero sancita dall’art.21 della Costituzione.

Più semplicemente ci poniamo la domanda che rimbalza proprio dalle pagine di X, il medium di proprietà del multimiliardario Elon Musk.

Elon Musk al comizio di Donald Trump tenuto a Butler, in Pennsylvania - Foto LaPresse
Elon Musk al comizio di Donald Trump tenuto a Butler, in Pennsylvania – Foto LaPresse

“X”, che veniva valutato nei rating  delle agenzie specializzate a metà 2024  come una piattaforma capace di catalizzare l’attenzione di 250 milioni di utenti giornalieri, ha rappresentato uno dei cardini della campagna elettorale di Trump, attraverso modalità che non hanno lesinato ruvidezze, fake, faziosità lontane  dal dovere della verità che si addice a strumenti di informazione.

E infatti una piattaforma in sé non rappresenterebbe uno strumento d’informazione ma un tramite per consentirla: è evidente, però, che, se quel tramite diventa strumento di lotta partigiana, che erige paratie stagne al confronto e alla dialettica, negandosi al “plurale” per esaltare il solo pensiero del padrone di casa, allora quella piattaforma con l’informazione non ha davvero più nulla da condividere.

La carta stampata uccisa dai social

Ma c’è di più: con il tramonto della carta stampata e l’obsolescenza- almeno rispetto alle giovani generazioni- della televisione che, per restare nel mondo americano, per la prima volta nella storia delle elezioni presidenziali ha svolto pochissimo ruolo nell’orientamento del voto devolvendolo tutto ai social, le piattaforme digitali assumono un peso definitivo nella formazione dell’opinione pubblica.

Musk spazio
Elon Musk, patron della Tesla

Si tratta dell’esercizio di influenza che, per la portentosa pervasività delle piattaforme social, è in grado di raggiungere capillarmente ogni cittadino e determinare un flusso di consenso capace di spostare significative quote di elettorato in favore di un candidato presidente negli Stati Uniti. Secondo le analisi di istituti di ricerca indipendenti sui dati delle conversazioni nelle chat ospitate dalle piattaforme social americane, infatti, sarebbe stato facilmente possibile prevedere la vittoria di Trump prima del voto del 4 novembre.

Stando a  DataMediaHub le citazioni favorevoli a Donald Trump raggiungevano la numerosità complessiva pari a cinque volte superiore a quelle che propendevano per la candidata Kamala Harris.

La comunicazione mascherata da informazione

Ci domandiamo, allora, se in questa venefica mistura di comunicazione mascherata da informazione, la presenza stessa di una figura istituzionale che la adoperi come strumento di diffusione delle proprie posizioni, seppure utilizzando propri e riconoscibili brand, non possa generare, soprattutto nell’utenza meno attrezzata a cogliere le differenze tra comunicati ufficiali delle istituzioni e commenti del tycoon padrone della piattaforma, l’equivoco di una qualche legittimazione.

Donald Trump Kamala Harris
Il dibattito tv tra Donald Trump e Kamala Harris visto a Portland, nel Maine

Insomma: è vero che ignorare la comunicazione mediante i social potrebbe essere interpretato come un moderno gesto luddistico e per ciò stesso destinato a fallire. Tuttavia il problema dell’indistinguibilità  tra l’autorevolezza della comunicazione ufficiale e l’inattendibilità di tutto il resto permane  e qualche cosa bisognerà pur fare per difendere la prima dallo strangolamento della seconda. Senza distinzione, alla fine, diventa del tutto inutile e addirittura autolesionistico un intervento come quello della Corte Costituzionale romena.

 

Pino Pisicchio – Professore di Diritto Pubblico comparato. Già deputato in numerose legislature. Già presidente di Commissioni parlamentari, capogruppo, sottosegretario. Saggista

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