Almanacchi e lunari: la grande ombra di Leopardi chiede lumi sull’Italia

Un divertissement, ironico e scherzosamente divinatorio, sull’anno bisestile che verrà, che è già arrivato

Qualche giorno fa, mentre credevo di dormire, come mio solito, il sonno letargico e smemorato dei sogni che farò pure, ma che mi restano quasi sempre impastoiati nel cervello senza incorporarsi ai ricordi, mi è apparsa una figura di giovane uomo piccola e sgraziata, un poco curva e gibbosa, vestita con sobria eleganza di una specie di nera redingote, con sotto una camicia bianca e un gilè, da cui spuntavano pantaloni attillati color crema, dentro neri stivali. Accanto a lui un altro uomo di mezz’età, atticciato e dall’aria dimessa, coperto di una giacchetta di panno da cui si intravedeva un frusto giustacuore. Con un avambraccio sorreggeva un grosso cesto. I due, impegnati in una sorta di contrattazione.

– Allora, signore, desiderate comprarlo o no un bell’almanacco de’ miei, o un lunario istoriato che sembra un breviario da Messa?

– Ora ci rifletto. Ma intanto ditemi: come sarà questo nuovo anno bisestile, infausto come dicono? S’ha da prendere sul serio l’accoppiata bisesto-funesto o son tutte fole per baggiani creduloni? Che ne pensate, voi del mestiere?

– Che dire, illustrissimo, vorrei tanto che così fosse, ma purtroppo è risaputo che sovente le massime indovinano. Ma al postutto non saprei, non mi pronuncio. Dite voi, piuttosto, che siete gentiluomo dabbene e, si vede, ben istruito…

A questo punto, come direbbe Dante, si squarcia il velame di tenebre del sonno, fratello della morte; riconosco i due interlocutori: che sono il “passeggere” (passante) Giacomo Leopardi e il venditore di almanacchi, che proseguono la conversazione.

– Dunque, se ben comprendo, voi non vorreste una vita uguale a un’altra di un anno precedente; preferireste una vita a caso, senza saperne nulla, proprio come nulla si sa dell’anno nuovo che sta per giungere. Dico bene?

– Così è eccellenza.

– E forse, se il bisesto non tiene fede alla sua fama, potremo, chissà, scoprire che è bello l’anno che non si conosce. Almeno a petto di quelli già trascorsi. Dunque datemelo, il vostro almanacco. E che sia de’ migliori! Ma lasciate perdere il messale, di grazia!

– Per servirla, eccellenza! Fanno trenta soldi.

Approfitto della pausa e, rendendomi conto dell’eccezionalità della situazione, mentre il venditore, apparentemente sollevato, si allontana contento del negozio appena concluso, apostrofo il signore.

– Signor conte, lei è un poeta e come tale ha il dono della divinazione. Se non la disturba, saprebbe anticiparmi che cosa prepara il futuro per l’anno 2024?

– Mi dispiace, esimio…

– Carlo, mi chiami pure Carlo.

– Lo sapevo, ma volevo che fosse lei a dirmelo.

-Certo, non pensavo che lei ha quella facoltà…

-Le stavo spiegando che mi duole, ma non mi sento di fare certi affronti all’Ananke. Ah scusi, ella forse non ha tanta familiarità col greco antico.

-Lungi dall’essere bravo come lei, ma qualcosa ricordo. Capisco che la dea del destino potrebbe risentirsi. Almeno però mi lasci chiedere due o tre cose…

-D’accordo, ma non di più.

-Come finirà la guerra in Medio Oriente?

-Ho captato dei commenti degli ebrei (lei sa che io conosco la loro lingua? L’ho perfezionata verso i 18 anni) e sembrerebbe che quel tal Bibi farà di tutto per tirarla alle lunghe. In questo modo pensa di restare al comando, ma invece non supererà l’anno che sta per cominciare.

-E del conflitto russo-ucraino che si può sapere?

-Che si trascinerà ancora a lungo, oltre il 2024. Quei due, Putin e Zelensky, sono ostinati come due muli francesi.

-L’ultima cosa, la più importante: negli Stati Uniti d’America chi vincerà la competizione politica tra quei due anziani, Biden e Trump? Sa, è un risultato che potrebbe condizionare le sorti del mondo…

-Almeno su questo si tranquillizzi! Forse il vecchio Biden alla fine preferirà, o sarà costretto, a passare la mano, (questo non posso rivelarlo), ma quell’altro svergognato non prevarrà. Penso che ciò dovrebbe farle piacere, no? Ora che le ho svelato quello che potevo, ho io un po’ di cose da chiederle. Riguardano fatti per me ancora al futuro ma per lei già successi. Date le mie facoltà io li conosco, ma non so bene come interpretarli. Lei ha l’aria di essere ben informato, le dispiace darmi qualche lume? Anche per noi veggenti talvolta è così difficile…

-La prego, signor conte, non faccia complimenti!

-A parte che il titolo spetta ancora a mio padre, che è il capo del casato, accetto volentieri, un po’ per celia, il nobile appellativo; tanto so che non arriverò mai a poterlo esibire davvero. Dunque: può dirmi perché una femmina dal gradevole aspetto (lo so, non c’entra ma non guasta), con un passato di viaggiatrice professionista per conto dello Stato, debba lanciarsi senza ritegno in campagne denigratorie contro un giornalista e scrittore di valore, un onesto professionista, per difendere l’indifendibile? Mi riferisco all’inviato della Stampa Domenico Quirico e alla ex diplomatica Elena Basile, che sul Fatto Quotidiano si è prodotta in una specie di apologia di ciò che di peggio funesta la vita di voi moderni. Parlo di seguaci di Maometto, quali la Persia (che voi chiamate Iran), la Siria, e i loro sodali Hamas, Hezbollah, Houthi. Soggetti che a me ricordano i turchi di circa un secolo prima che io venissi al mondo, le cui armate giunsero fino alle porte di Vienna. Dunque, perché?

-Caro conte, mi verrebbe di chiamarla don Giacomo, ma non so se posso…

-Faccia pure, non ho di tali preclusioni.

-Be’, certo io non posso entrare nella testa di quella donna; francamente, non vi aspiro neanche. Posso però arguire qualcosa; ideucce alla rinfusa, ma a un ingegno come il suo basta molto meno… Intanto la signora ha un’ambizione sconfinata; ha scritto qualcosa, tra saggistica e narrativa, e pensa di essere chessò, un Leopardi o un Manzoni… Poi è stata una dipendente del ministero degli Esteri e come diplomatica è arrivata a essere ministro plenipotenziario; che detto così pare chissà che ma è un grado al quale giungono quasi tutti i diplomatici. È stata ambasciatrice in due capitali modeste, Stoccolma e Bruxelles, posti ben diversi da quelli occupati da ambasciatori di grado, ossia al vertice della carriera, carriera che lei ha lasciato proprio in questo 2023. Tra l’altro un suo libro è stato anche tradotto in francese quando era ambasciatrice in Belgio. Chissà, forse la cosa potrebbe aver aiutato, ma la mia è solo un’illazione, s’intende. Quando c’è stato il pogrom in cui terroristi palestinesi, incoraggiati dall’Iran e altri paesi complici, hanno compiuto gli orribili massacri e rapimenti in Israele, la signora ha deciso di trasformarsi in opinionista televisiva, prendendo le parti degli arabi e accusando i “perfidi sionisti” e in genere tutto l’Occidente. E quando Quirico, pur con molti distinguo e sfumature a carico degli Stati Uniti e dei loro alleati, ha confermato che il vero paese canaglia è l’Iran, essa lo ha offeso in tutti i modi possibili.  Ripeto, senza capire neanche ciò che egli intendesse davvero. La ex diplomatica ha detto che “senza vergogna” di sottacere le enormi perdite palestinesi, il “bravo giornalista” (là dove “bravo” è, o tenta di essere, ironico) si è cinto la testa dell’elmetto (non di Scipio, ma del guerrafondaio) e approfittando dell’insipienza del lettore medio gli ha spiegato che il vero cattivo è l’Iran.

Tutto ciò, naturalmente, alludendo, senza troppe sfumature, alla solita conventicola (“lobby”, diciamo oggi) ebraica a favore di Israele. E ancora, altri attributivi sarcastici (“l’ottimo Quirico”, “il cristiano Quirico”), subito riportato alla sua reale valenza di “furbone”. Ma anche molto peggio, visto che la “somara commentatrice” (stavolta senza ironia) gli vede spuntare sul viso nientemeno che “una risata satanica”. E poi altro ancora, caro don Giacomo, ma non credo che ciò vada spiegato a un poeta da par suo.

-Come quando essa allude al “Bene calpestato” e alla “Giustizia rinnegata”, vero? Ora ho capito meglio. Passando ad altro: non mi è chiaro il senso di una diatriba (che “prima facie” potrebbe sembrare frivola, ma forse non lo è) sull’uso del genere da dare ai nomi. Ai miei tempi era rarissimo che uno stesso mestiere fosse fatto da un maschio e una femmina; non v’era quindi mestieri (scusi il bisticcio) trovare corrispettivi maschili o femminili delle une o degli altri. Per voi moderni, però, questo ora s’impone e non capisco il senso di certe polemiche. Me lo chiarirebbe, lei?

-Le porto due esempi proprio dei giorni passati. Marco Perissa, un deputato di Fratelli d’Italia, il partito (di destra) della Prima ministra in carica Giorgia Meloni (che chissà perché ama essere trattata da maschio), rivolgendosi alla responsabile del Partito Democratico (di opposizione) Elly Schlein, che notoriamente ci tiene alla sua prerogativa di genere di appartenenza, l’ha chiamata “segretario”. Un’altra parlamentare del PD, Cecilia Guerra, per bilanciare polemicamente lo sgarbo, ha chiamato “signora presidente” il presidente di turno Giorgio Mulé, di un altro partito di destra, Forza Italia. Mulé, stranamente, se n’è adontato. Non capendo (o fingendo di non capire) che se è lecito dare del “segretario” a una donna deve esserlo parimenti trattare da “signora” un uomo. Lei che ne dice, don Giacomo?

 

 

 

-Direi che la logica è stringente. E il secondo esempio?

-Avere l’avallo di un’autorità come la sua in campo linguistico, caro signor conte, capirà che riempie di soddisfazione. L’altro episodio tocca ancora una questione di genere, ma questa volta molto meno sottile. Libero, uno dei giornali della destra più accesa, tracciando un classico consuntivo di fine anno ha definito la premier Giorgia Meloni “uomo dell’anno”. Il fatto ha suscitato un putiferio, fatto di esagerate indignazioni da parte della sinistra e di ipocrite attestazioni di “humour” a destra. Ipocrite perché fatte nonostante che, come ho detto prima, il volersi far chiamare al maschile già oltre un anno fa, quando era entrata in carica, aveva scatenato polemiche dure e per nulla spiritose. Il giorno dopo, accaparrandosi quasi tutta la prima pagina di Libero, e Mario Sechi e Daniele Capezzone, , rispettivamente líder máximo e vice del giornale (o forse viceversa) hanno riempito sesquipedali articolesse per ribadire quanto esagerate fossero le rimostranze dell’opposizione, che la loro era stata tutto un display (una mostra) di ironica giocosità, a disdoro del coté femminista e conformista dei progressisti. Entrambi con uno stile un po’ ruspante: che se è una cifra ricorrente in Capezzone lo è meno in Sechi, che solitamente ha un occhio di riguardo per la lingua italiana; ma non questa volta, giacché non si è accorto che “conformista” e “progressista” rappresentano un ossimoro irreale.

-Basta, basta! Ho capito che avevo capito bene, che non c’è nulla da capire. Semmai da compatire, vedendo come il dibattito politico della nostra Italia sia ridotto a vaniloquio; parafrasando il mio illustre predecessore Francesco Petrarca, a un “parlare indarno”.

 

Carlo GiacobbeGiornalista, scrittore

 

 

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