Dopo quella di Gianni Bisiach anche la collezione Sergio Zavoli è ora custodita e consultabile presso l’archivio storico della Presidenza della Repubblica. Un evento di straordinaria portata storica e pedagogica, grazie alla soprintendente dell’Archivio del Quirinale Marina Giannetto.
Testimone di mezzo secolo di storia d’Italia, autorevole giornalista radio-televisivo italiano,- entrato alla RAI nel 1947, dove si distinse per il taglio dei suoi documentari radiofonici: da “Scartamento ridotto” a “Notturno a Cnosso”, Premio Italia nel 1954 e nuovamente nel 1957 per “Clausura”, la celebre inchiesta di cui venne realizzata nel 2001 una versione televisiva -, Sergio Zavoli, passato alla televisione nel 1968, realizza decine di documentari, inchieste-reportage e video-interviste memorabili, come il racconto dell’attività di Franco Basaglia nel manicomio di Gorizia; “Diario di un cronista”(del 2001), ove in 55 puntate riprendeva le sue inchieste più significative per ripercorrere cinquant’anni di giornalismo attraverso gli appunti di un diario simbolico; “Processo alla tappa” (dal 1962 al 1970), 8 edizioni dedicate al Giro d’Italia e ai suoi protagonisti; “Viaggio nel Sud” (1992); “Nostra padrona televisione” (1994); “Credere, non credere” (1995). “Viaggio nella giustizia” (1996); “C’era una volta la prima Repubblica” (1998); “Viaggio nella scuola” (2001).
Bene, oggi tutto questo, ma altro ancora, è gelosamente custodito presso l’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica.
Di cosa parliamo?
Di una raccolta costituita da un consistente archivio documentario, tantissimi documentari, centinaia di inchieste-reportage e video-interviste, ma anche centinaia di fotografie di scena.
In particolare -ricorda una nota dell’Archivio della Presidenza della Repubblica- Zavoli ha firmato una serie di inchieste che hanno fatto la storia del giornalismo televisivo e del nostro Paese, come “Nascita di una dittatura” (del 1972), Premio Saint-Vincent per il giornalismo, dove, in sei puntate dedicate all’Italia degli anni che precedettero l’ascesa del fascismo, raccoglieva 55 testimonianze rese cinquant’anni dopo la marcia su Roma; “La notte della Repubblica” (1989-1990), grande inchiesta sul terrorismo degli anni ‘70 e ’80, e in cui le interviste ai protagonisti, inseriti nei rispettivi contesti politico-culturali e socio-economici, documentano, favorendone la comprensione, gli “Anni di piombo”.
La Collezione Zavoli da oggi entra dunque a fare parte dell’ingente patrimonio documentario, fotografico e multimediale custodito dall’Archivio storico della Presidenza della Repubblica grazie ad un accordo stipulato con la Rai e ad una donazione da parte della Famiglia, d’accordo, entrambi, a rendere consultabili anche tramite il “Portale storico della Presidenza della Repubblica” i contenuti della Collezione, che vengono progressivamente pubblicati, una volta resi disponibili in formato digitale.
Semplicemente meraviglioso
Parliamo di un patrimonio audiovisivo fatto di reportage-documentari che hanno aperto a Zavoli, storico inviato della Radiotelevisione Italiana, la strada della giornalismo d’inchiesta e divulgativo. “Un patrimonio storico -precisa il sito ufficiale della Presidenza della Repubblica- che ha assunto la funzione di storytelling visivo costruito con taglio giornalistico e rigorosa attenzione alla qualità delle fonti, che ha svolto il ruolo di archivio diaristico per immagini, il cui ordito è tessuto da storie, eventi e personalità del mondo della politica, delle istituzioni, dell’economia, della cultura, dello spettacolo, dello sport – di oggi e del passato anche remoto”.
Proprio nei giorni scorsi nella sala convegni dell’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica si è svolto un incontro di studio nel centenario della nascita di Sergio Zavoli, alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, in cui è stata presentata da Marina Giannetto, sovrintendente dell’Archivio, la “collezione Sergio Zavoli”. Anche qui parliamo di una collezione di grande valore storico, che copre l’intero arco temporale dell’attività giornalistica di Zavoli, e che va dal 1950 al 2020, anno della sua morte.
L’incontro di studio -precisa la nota della Fondazione Murialdi- si è articolato con gli interventi del prof. Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Nuova Antologia-Giovanni Spadolini, di Giuseppe Filippetta, già direttore della Biblioteca “Giovanni Spadolini” e del prof. Luciano Zani, professore emerito di storia contemporanea dell’Università La Sapienza e componente del comitato scientifico della Fondazione Murialdi. Un intervento questo del prof. Zani di una forza emotiva e di un coinvolgimento al di sopra di ogni immaginazione, che ci riporta l’immagine di un Sergio Zavoli maestro indiscusso di giornalismo e di parole scritte.
Quasi iconico il paragone che il prof. Zani fa di Zavoli mettendolo a confronto con un altro grande protagonista della storia moderna, che è Renzo De Felice.
“Se dovessi scegliere, tra altri, un termine che unisse le personalità di Renzo De Felice e di Sergio Zavoli, direi la curiosità, e forse un pizzico di invidia, sicuramente non di alterigia, dello storico, nei confronti di un linguaggio giornalistico chiaro, conciso e sintetico. La curiosità, per un giornalista, è un tratto assolutamente necessario, ma anche lo storico non era affatto un uomo sigillato tra libri e archivi, attaccato alla sacralità del documento, come a volte lo si è dipinto. Le interviste, ci ripeteva spesso De Felice, difficilmente sono utili a ricostruire i fatti storici, e perciò vanno prese con le molle, trattate con distacco e prudenza, ma sono preziose nel ricostruire atmosfere, restituire un clima e un contesto. Tutto dipende dall’intervistatore, dalla serietà, dalla proprietà, e, perché no, dalla scaltrezza delle domande. Qui è la bravura di Zavoli, che ha colpito tutti gli storici del Comitato di consulenza della Nascita di una dittatura, e De Felice in particolare. Quindi l’incontro tra i due era scritto e credo che abbia accentuato l’interesse dello storico per i giornali, la radio e la televisione come mezzo privilegiato per allargare la platea dei lettori. E, se me lo consentite, anche come un mezzo per uscire dall’isolamento in cui un certo ambiente accademico di sinistra intendeva relegarlo”.
Bellissima questa analisi, inviterei gli studenti delle scuole di giornalismo a leggerla per intero.
Il prof. Zani dice molto altro a proposito di Zavoli: “Fu De Felice a scrivere la prefazione alla versione scritta della trasmissione, fu lui, in una lunga intervista di Ezio Zefferi per il “Radiocorriere” del 5 novembre 1972, a dire di Zavoli cose molto forti: il ciclo di trasmissioni è giornalistico solo nella forma televisiva e nell’uso come fonte delle interviste – tutte di grande interesse e quella ad Amadeo Bordiga addirittura un unicum e in questo è “ottimo giornalismo, di alto livello, sia per il ritmo della trasmissione, sempre sostenuto, mai affrettato, spesso drammatico, sia per l’utilizzazione del materiale filmato, spesso inedito e sempre efficace, sia per la rappresentatività e l’interesse dei personaggi intervistati”.
Sostanzialmente -riconosceva Renzo De Felice– Zavoli ricostruisce “le vicende trattate in termini il più rigorosamente possibile storici, sia con un continuo sforzo di tener presenti tutti gli aspetti della realtà del tempo e il loro evolversi e di approfondirne le cause immediate e remote, sia con un altrettanto continuo ricorso alle varie “fonti” in maniera da offrire allo spettatore una ricostruzione la più completa e la più attendibile possibile e, al tempo stesso, di dare ad esso la possibilità di farsi una “propria” idea dei diversi punti di vista e delle rispettive “ragioni” delle forze e degli uomini che allora furono i protagonisti della crisi dello Stato liberale, di come essi vissero, anche psicologicamente, quegli avvenimenti e di come li giudicarono allora e li giudicano oggi, a mezzo secolo di distanza”.
C’è qui in questa analisi che ne fa Zani un’ammissione di colpa per quello che forse non è mai stato raccontato prima, e cioè che “il lavoro di Zavoli è una ricostruzione non solo storicamente valida, ma di grande valore educativo e morale, un atto di fiducia nella capacità dello spettatore di partecipare criticamente alla ricostruzione della realtà che viene fatta davanti ai suoi occhi sulla base sia delle acquisizioni della più recente storiografia sia dell’esposizione-dibattito dei punti di vista dei vari protagonisti di quelle vicende”.
Il prof. Zani non ha nessun dubbio: “É evidente che tra il grande storico e il grande giornalista è nata una straordinaria sintonia. Aggiungo una mia ulteriore valutazione personale, che mi deriva sia da come ho visto l’evoluzione della scrittura giornalistica di De Felice, sia dai commenti che negli anni successivi (nel ’72 ero studente di De Felice e stavo scrivendo la tesi), scambiai con lui e con altri allievi, come Luigi Goglia, quello di noi che ha prestato la maggiore attenzione all’iconografia: credo che l’esperienza con Zavoli, che pure viene dopo le prime collaborazioni al “Corriere” spadoliniano, e ovviamente prima di quelle al “Giornale” di Montanelli, abbia agito da stimolo su De Felice ad ampliare l’uso dei mezzi di comunicazione comparendo in prima persona. Nonostante che De Felice, all’opposto di Zavoli, non fosse un oratore brillante – volete mettere la voce straordinaria di Zavoli con quella o troppo bassa o un po’ stridula, se non un po’ balbuziente, di De Felice? – coinvolse anche noi giovani allievi, soprattutto in trasmissioni radiofoniche”.
Ma secondo la lezione che Zani tiene all’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica c’è un’ultima cosa, apparentemente marginale, che unisce De Felice a Zavoli,ed è “la curiosità e l’attenzione per le figure minori, i gregari, quelli che Zavoli immortalava nei processi alle tappe del Giro d’Italia (non me ne perdevo una!), quelli che per De Felice, proprio perché marginali, irregolari, perfino al limite del risibile e del folclore, erano voci fuori dal coro che aiutavano a illuminare zone buie del coro: “anche negli episodi più piccoli, più marginali, c’è la spiegazione di tante cose, non solo di allora ma direi anche di oggi”, una frase dello storico che credo il giornalista Zavoli avrebbe sottoscritto”.
Questo forse il passaggio più commovente della relazione di Zani, che ricorda ai presenti di essere anche vicepresidente dell’ANRP, una delle associazioni che curano memoria e storia delle varie prigionie nella Seconda guerra mondiale “Zavoli, il poeta Zavoli, ha vissuto con grande partecipazione emotiva l’esperienza della Seconda guerra mondiale, non direttamente, perché riuscì a sottrarsi alla chiamata alle armi dei giovani della sua classe da parte della RSI, ma tornando nella sua Rimini bombardata e sfregiata nelle persone e nelle cose. In tante poesie ritorna il tema della guerra e tornano le farfalle, come quando scrive: mentre alle cieche obbedienze della guerra/non bastasse l’orrore di una condanna/dei costretti a morire, scelti dal caso./”E come potevamo noi cantare…”,/se per chiudere la partita occorreva contare/”un numero sterminato di farfalle”, disse Aurobindo,/si posasse, indifferentemente,/su milioni di persone:/i vinti uccisi e i vincitori addormentati,/confusi coi vecchi e le madri,/i padri e fratelli/nelle stragi civili lasciate in mezzo mondo”.
Potremmo andare avanti ancora per molto, ma gli spazi non ce lo consentono. Vi suggeriamo per questo la lettura integrale della lectio magistralis del prof. Zani su Zavoli, perché scoprirete anche voi uno Zavoli non sempre così ben raccontato.
Intanto la RAI gli dedica e gli intitola la Sala degli Arazzi.
“Non ho mai pensato che il merito del giornalista fosse far dire alle persone quello che mai nessuno era riuscito a fargli dire, bensì riuscire a fargli dire ciò che avrebbero sempre voluto dire”.
Così Sergio Zavoli parlava del suo lavoro nel filmato d’archivio che ha aperto l’altro giorno la cerimonia per l’intitolazione al giornalista, in occasione dei 100 anni della nascita, della Sala degli Arazzi, da sempre dedicata agli eventi e alle conferenze stampa più importanti del servizio pubblico, a Viale Mazzini a Roma.
“Intitolargli la Sala degli Arazzi è anche un modo per avere questo eccezionale uomo d’azienda, come compagno di percorso e di ispirazione dell’evoluzione che la Rai servizio pubblico deve compiere per essere contemporanea e universale. Sono convinta che il lavoro e la figura di Sergio Zavoli incarnino al meglio lo spirito di una Rai dei cittadini per i cittadini- dice la presidente della Rai Marinella Soldi nel corso della cerimonia cui hanno preso parte la vedova del giornalista Alessandra Zavoli, la figlia Valentina e in platea, fra gli altri, Walter Veltroni, Simona Agnes, Giorgio Assumma, l’amministratore delegato dell’azienda Roberto Sergio, il direttore generale Giampaolo Rossi, molti direttori delle varie aree del servizio pubblico fra i quali Maria Pia Ammirati (Rai Fiction), Paolo Petrecca (Rai News), Angelo Mellone (intrattenimento daytime) e Luca Milano (Rai ragazzi).
Sergio Zavoli “è stato una colonna per il servizio pubblico e la Rai gli sta rendendo grandi meriti – ha detto all’ANSA Alessandra Zavoli -. Sono molto contenta di questa intitolazione, è un po’ come renderlo eterno e rendere eterna la sua presenza dentro la casa Rai in cui ha vissuto tantissimi anni”.
Poi ci sarà “sempre con il patrocinio della Rai il premio intitolato a lui su cui stiamo lavorando. È un riconoscimento per il giornalismo d’inchiesta e per la cultura, nel segno del suo lavoro che aveva alla base “il rigore, la linea dritta, la trasparenza, l’onestà, i fatti sempre prima delle opinioni.
“Quella di Sergio – ha ripetuto più volte la moglie Alessandra– è stata una vita lunga, piena e felice. Non avrebbe potuto desiderare di più. Cultura, passone, rigore, spirito di servizio e un’idea etica dell’informazione. La tv per lui era un mezzo straordinario di promozione della crescita culturale della società”.
“Papà – ha detto la figlia Valentina – amava dire che la cultura è quel bene dell’umanità che quando si moltiplica accresce il suo lavoro. Lui ha sempre dato voce a chi non l’aveva, cercando di separare i fatti e le opinioni. Quando si passerà da questa sala si rinnoverà quel patto”.
Un’attività e un esempio che, ha sottolineato la Presidente Marinella Soldi, sono inscindibilmente legati alla essenza del servizio pubblico.
“Rilevanza, qualità, credibilità, innovazione: queste parole chiave del servizio pubblico sono nel cuore di tutto ciò che Zavoli ha fatto per la televisione e la radio. La grande curiosità, l’apertura al mondo, il rifiuto delle spiegazioni superficiali lo hanno portato ad indagare luoghi, eventi e situazioni poco illuminati o critici del nostro Paese e della nostra storia: dai conventi di clausura ai manicomi, dalla dittatura fascista agli anni di piombo. Sempre dalla parte del pubblico, senza protagonismo. Forte di una cultura profonda, ma capace di farsi comprendere da chiunque”.
“Ho avuto il privilegio di conoscere Sergio Zavoli, quando era presidente della Commissione di Vigilanza Rai e poi Senatore. È stato un onore per me, perché Zavoli rappresenta il vero giornalismo: rigoroso, intelligente e dall’analisi acuta ed approfondita”. Così lo stesso Amministratore Delegato della Rai Roberto Sergio ha ricordato Sergio Zavoli in occasione dell’intitolazione della Sala degli Arazzi.
“Uomo di grande rettitudine ed onestà intellettuale – prosegue Roberto Sergio – ha saputo incarnare in maniera esemplare l’istituzione giornalistica e rappresenta un modello di equilibrio, competenza e serietà professionale di elevata e rara caratura, cui dovranno ispirarsi anche le nuove generazioni di giornalisti. Sergio Zavoli, fra i tanti incarichi ricoperti, è stato anche un altissimo manager della nostra azienda, in qualità di Presidente nell’era di un altro gigante delle nostre istituzioni, Biagio Agnes, che fu Direttore generale della Rai. Sotto la guida di questi due titani del giornalismo la Rai visse una ‘aurea aetas’, cui spero che la nostra amata azienda possa presto ritornare”.
È il passato, che ritorna prepotentemente attuale.
Pino Nano – Giornalista. Già capo redattore centrale Rai