Non è la prima volta che i magistrati scioperano: anche in passato sono stati costretti a ricorrere a questa scelta dolorosa, ma questa volta è stato diverso, perché mai come ora attacchi e delegittimazioni che da oltre trent’anni si susseguono ininterrottamente, si sono tramutati in disegni di legge di riforma della Costituzione al fine di minare quello statuto di autonomia e indipendenza che in essa è delineato.
Da oltre trent’anni, infatti, il leit motiv sul tema “Giustizia” è stato – ed è – quello di un’asserita “guerra” fra magistratura e politica, laddove, invece, c’è una parte che attacca ed un’altra che prova a difendersi (o, meglio,a difendere l’assetto costituzionale che ne delinea lo statuto di autonomia e indipendenza). Con questa astensione dal lavoro i magistrati hanno inteso protestare contro il disegno di legge sulla c.d. “separazione delle carriere”: una protesta legittima, a Costituzione vigente, contro una riforma che non risolverà in nulla i veri problemi che riguardano l’amministrazione della giustizia e che, fatalmente, finirà col portare la magistratura requirente sotto l’egida del potere esecutivo. Perché, in realtà, la separazione delle carriere non è che un pretesto, una sorta di “specchietto per le allodole”, dal momento che la separazione esiste già nei fatti, come dimostrano le statistiche. Quello che effettivamente si vuole è una riforma che consenta alla politica di controllare la magistratura, di limitarne autonomia e indipendenza, attraverso il controllo del P.M.
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Flick, Alpa, Coppi
Non sono solo io a dirlo: lo sostengono anche illustri giuristi come il prof. Flick o grandi avvocati come Guido Alpa e Franco Coppi. D’altro canto è sufficiente leggere in trasparenza le dichiarazioni dei tanti politici e giornalisti che la sostengono per rendersene conto.
Quando si afferma che i magistrati, con i loro provvedimenti, debbono “collaborare” col governo, o che qualsiasi loro decisione che sia sfavorevole ad un politico di maggioranza integra, per ciò stesso, una decisione politica che si connota come “eversiva” (Gasparri docet) e si sostiene che tale situazione è destinata a finire proprio grazie alla riforma della “separazione delle carriere”, non si fa altro che affermare che scopo vero della riforma non è altro che la limitazione dell’autonomia e indipendenza della magistratura, la quale dovrà necessariamente mostrarsi“collaborativa” col governo, non intralciarne l’attività,essere, in definitiva, prona ai suoi voleri.
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Si pensi, per un attimo, alle polemiche più recenti, innescate dalle decisioni dei giudici in materia di immigrazione, che hanno portato esponenti di governo a definire i giudici (nel migliore dei casi) “non collaborativi”, nel peggiore “eversori dell’ordine costituzionale” ed hanno spinto la maggioranza a cambiare la normativa sulla competenza nella speranza di trovare, finalmente, un giudice compiacente (senza, peraltro, riuscirci).
Salvini e Dal Mastro delle Vedove
O, ancora, si considerino le dichiarazioni dei tanti politici sui casi Salvini e Dal Mastro: nel primo caso si è salutata la sentenza di assoluzione di Salvini…criticando aspramente la Procura di Palermo (in particolare il Procuratore Lo Voi e l’Aggiunto Marzia Sabella) per avere promosso l’azione penale in unprocesso che – è stato detto – “non avrebbe mai dovuto nascere” (dimenticando, però, che fu il Parlamento a concedere l’autorizzazione a procedere e che, in ogni caso, appartiene alla fisiologia del processo che il giudice possa assolvere anche a fronte della richiesta di condanna del P.M.); nel secondo caso censurando,altrettanto aspramente, la decisione del Tribunale di Roma che ha riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato, osando andare, ancora una volta, contro le richieste della Procura, questa volta favorevoli all’imputato. E, in entrambi i casi, prospettando come “soluzione finale” la riforma della separazione delle carriere, rispetto alla quale proprio quelle due decisioni suonano come colossale smentita dell’assunto di partenza, ossia l’appiattimento dei giudicanti rispetto alle Procure (in un Paese in cui le assoluzioni sfiorano il 50% dei casi).
Non è questa la sede per entrare nel merito della riforma. Sulla sua pretestuosità è sufficiente richiamare le parole del prof. Coppi: “Non ho mai avuto l’impressione che un giudice abbia pronunciato una sentenza solo perché intendeva rispettare il collega dell’accusa e solo perché appartenenti al medesimo ordine. Il problema vero è che un magistrato sia intellettualmente onesto”. La verità, quella non detta ma che traluce dalle dichiarazioni dei sostenitori della riforma, è in realtà avere una magistratura prona alla politica, un po’ come quella che durante il ventennio partecipava alle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario rigorosamente in camicia nera e salutava romanamente il duce. Dimenticando, però, che siamo ancora in democrazia e che chi è oggi al governo, potrebbe stare all’opposizione domani, ed allora, sì, invocare un “giudice a Berlino” che sia autonomo e indipendente dal potere politico.
Si dirà: ma la magistratura è al minimo storico, quanto a credibilità, presso l’opinione pubblica. Vero. A ciò hanno indubbiamente contribuito gravi errori commessi in passato, come ci ricorda la triste vicenda Palamara. Ma anche – e soprattutto – trenta e più anni di continue delegittimazioni e di accuse infamanti, quali quelle di qualificare come “eversive” alcune iniziative e decisioni solo perché non gradite o sfavorevoli alla politica. Goebbels, uno che se ne intendeva, sosteneva che “la propaganda crea la verità”, ed è una lezione che molti, ahimè, mostrano di aver appreso. Di qui l’amaro paradosso del Presidente Parodi di qualche giorno fa.
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La magistratura argine al populismo e sovranismo
Viviamo, purtroppo, in tempi di populismo e sovranismo imperanti. Addirittura esponenti dell’establishment americano si prendono il lusso di intervenire nelle vicende interne dell’Europa – e del nostro Paese – per favorire svolte sovraniste o per chiedere – essi pure – una limitazione dei poteri della magistratura, troppo indipendente per i loro gusti (come traspare, del resto, da alcune misure autoritarie ed illiberali già adottate dal neo presidente Trump anche in materia di giustizia). Anche per questo è stato necessario che i magistrati palesassero il loro malessere, in maniera massiccia, per difendere le proprie prerogative, che sono, poi, le prerogative dei cittadini e dei loro diritti, le prerogativedi una democrazia liberale.
Magistratura fatta di “Toghe rosse”?
I magistrati non sono “toghe rosse”. Le sole toghe rosse sono state quelle insanguinate dagli attentati mafiosi e terroristici. I magistrati difendono il presidio di legalità nei confronti di chiunque, così come sancito in Costituzione, e proprio per questo corrono il rischio di essere delegittimati. Come ricorda Piero Calamandrei nel breve episodio che segue. “Il figlio del miliardario, che guidava a velocità pazzesca la sua macchina da corsa, ha preso male una curva e ha sfracellato contro il muro un passante che andava per i fatti suoi sul marciapiede. Il padre corre dal primo avvocato in città: l’essenziale e che il figliuolo, che è “un po’ vivace, ma in fondo è un buon ragazzo”, non vada in prigione. “Avvocato, si ricordi: noi non badiamo a spese!”
Infatti l’avvocato si dà da fare per tacitare con un forte indennizzo la famiglia dell’ucciso; e ci riesce. Ma c’è quel fastidio dell’istruttoria penale che continua ad andare avanti per conto suo. Allora il miliardario redarguisce severamente il difensore: “Avvocato, gliel’ho detto: questa istruttoria che continua è uno sconcio. Glielo faccia intendere al giudice istruttore: la nostra famiglia non bada a spese!”. L’avvocato non sa come spiegargli che la giustizia non è una merce in vendita: quel giudice istruttore è una persona per bene… Allora il cliente salta su sdegnato: “Ho capito, ho capito, lei non me lo vuol confessare: abbiamo avuto la sfortuna di cadere in mano di un giudice criptocomunista!”.
Roberto Tanisi – magistrato. Presidente di Tribunale e Corte d’Appello