Gli scatti di Dorothea Lange: un tuffo nella storia d’America

Passeggiando in questo scrocio d’estate per Torino, enormi gigantografie appese sotto gli ampi portici della città invitano a visitare la mostra di Dorothea Lange (Camera di Torino). Lange, un nome noto ai più, la fotografa che ha documentato in bianco e nero la realtà degli anni trenta americani

Dorothea Lange, Racconti di vita e lavoro

Una protagonista della fotografia del XX secolo in 200 scatti

19 luglio-8 ottobre 2023 Camera di Torino

Passeggiando in questo scrocio d’estate per Torino, enormi gigantografie appese sotto gli ampi portici della città invitano a visitare la mostra di Dorothea Lange (Camera di Torino). Lange, un nome noto ai più, la fotografa che ha documentato in bianco e nero la realtà degli anni trenta americani.

La mostra in Via delle Rosine non delude le aspettative; i visitatori restano ad osservare lungamente ogni scatto. Una mostra che non delude. Essa è organizzata in sezioni (Madri migranti, Verso sud, Sono un americano, Giungla, In città) e le foto sono corredate da indicazioni che sono le note diaristiche della stessa fotografa; queste permettono oggi di dare un nome e una storia alle persone ritratte.

La mostra ripercorre il lungo viaggio della Lange con il secondo marito, l’economista Paul S. Taylor attraverso gli Stati del Sud degli USA. È l’anno millenovecento trentacinque, da questo anno la fotografa viaggia con Paul sulle strade polverose, verso  i villaggi rurali e lungo i campi degli Stati del Sud. Sono questi gli anni della Grande Depressione. Lei scatta foto e lui, Paul, documenta con numeri e statistiche la realtà di quegli anni di fame e di miseria. Gli anni ruggenti sono ormai un ricordo, il crollo di Wall Street ha cambiato tutto; Roosevelt ha un lungo cammino da fare per rimettere in piedi l’America con il suo New Deal; anche il presidente si fa scattare foto che lo ritraggono sorridente e in viaggio attraverso gli Stati d’America pronto a rassicurare, ad affrontare l’emergenza del lavoro e della casa, a stringere mani. Bisogna salvare il sistema bancario nazionale (Emergence banking Act, 1933), indennizzare gli agricoltori (Agricultural Adjustment Act); rifinanziare le ipoteche (Home Owners’ Loan  Act); promuovere i primi passi verso uno Stato sociale (Social Security Act 1935) e dare una svolta alle politiche fiscali (Wealth Tax Act). .

La siccità e le inondazioni mettono in ginocchio la vallata del Mississippi. Le piantagioni di cotone, di tabacco, i campi di carote, di piselli e di mais sono le ormai i temi che interessano alla Lange, i veri soggetti delle foto di Dorothea sono i braccianti, gli uomini, le donne, i bambini e le loro mani screpolate, i loro visi calmi e fieri. La fotografa non chiede loro di mettersi in posa, scatta dove coglie il particolare significativo, la molla della relazione empatica tra chi guarda e chi è ritratto.

“Madri migranti”, fiere e composte, come la famosissima Florence Owens Thompson, trentadue anni e sette figli, che pare quasi un’icona della madre di ogni tempo; questa foto è in molti libri di storia ed è rimasta impressa nella mente di studenti di diverse generazioni.

Ancora lo scatto dello sceriffo che si gode il sole e alle sue spalle si delinea la prigione con enormi sbarre alle finestre del pianterreno; taglio centrale per la foto del giovane uomo in pantalone da lavoro (il classico jeans con bretelle) che con il sacco di tela raccoglie i coleotteri che distruggono il cotone.

Particolare è la foto di tre contadini: un uomo al centro e due donne alle sue spalle curvi sulle zolle: la loro posizione costruisce un triangolo i cui vertici sono i coloro copricapi: bianchi per le donne poste dietro e nero per l’uomo davanti. La Lange non ama le foto borghesi con i personaggi messi in posa davanti all’obiettivo ma le azioni di vita e di lavoro che colgono la realtà della vita di questi sconosciuti; la fotografa riesce a concentrarsi su posizioni che costruiscono forme e linee geometriche tra i personaggi e con lo spazio circostante: altro esempio è la fotografia di una raccoglitrice di pomodori: la schiena della donna è perfettamente in linea con l’orizzonte lontano.

I suoi scatti sono moderni, focalizzano particolari che “narrano”. Lei è anni luce distante fotografia tradizionale. La sua attenzione ormai punta su inusuali dettagli narrativi e scatto dopo scatto documenta il mondo rurale americano del Sud.

Certamente la sezione della mostra “I am american” è molto interessante e anche poco nota infatti documenta il ricollocamento di nippo-giapponesi nel campo di detenzione Manzanar Relocation Center. È la WRA (War Relocation Autority) che ha commissionato alla Lange e ad altri fotografi di documentare il “collocamento” in questo campo (ma non è l’unico); ma Dorothea e suo marito, Paul S. Taylor sono contrari a questa politica del governo americano tanto che il lavoro fotografico sarà fortemente limitato e addirittura le sue foto saranno secretate per molti anni.

 

 

 

È una storia da nascondere. Dotothea non può scattare foto sensibili: filo spinato e altri elementi che indichino la reclusione e così tra i suoi scatti troviamo solo ritratti di bambini e di “nonni” in abiti decorosi ma le immagini comunque parlano ugualmente: i cartellini- etichetta al collo di giapponesi costretti a partire sono eloquenti, così come gli abiti di foggia americana indossati, i libri e i giornali che questi cittadini nippo-americani leggono. Essi aspettano di essere portati via e poi reclusi: Ma questi non sono cittadini americani?  Qual è la loro colpa? La loro unica colpa è di essere giapponesi.

In questo momento storico, con la seconda guerra mondiale che sta per concludersi, i cittadini di etnia giapponese diventano i nemici: vanno segregati.

Uno scatto mostra da lontano un esterno un quartiere con abitazioni fotocopia; un’altra, invece, l’interno di un negozio che frettolosamente svende le proprie merci: obbligo di partenza entro 7 giorni.

Lasciano le loro case, le loro professioni, i loro mestieri per diventare prigionieri del loro stesso Stato e alla fine della guerra saranno risarciti con cifre ridicole e un biglietto di autobus.

L’attacco alla base navale di Pearl Harbor (7 dicembre 1941) ha rotto un equilibrio e questi cittadini giapponesi di seconda classe possono rappresentare una minaccia agli Stati Uniti: ma, come mai non subiranno analoga sorte i cittadini giapponesi contadini delle isole Hawaii (più vicine geograficamente al Giappone)?

Accade forse perché i cittadini di San Francisco e di altre città ricche erano economicamente più scomodi?

Questa pagina di storia americana assolutamente ignobile è pressoché sconosciuta, i libri di storia non ne fanno menzione.

Attraverso questi duecento scatti in bianco e nero, si snoda la narrazione dei grandi eventi e delle storie individuali; americani che vivono un’esistenza dura ma sono fieri e sereni come antichi guerrieri.

 

Nadia Iezzi  – Redattrice

Orizzonti provinciali ma problemi anche nazionali

Caro direttore, durante le crisi economiche, sociali, e culturali,  sul palcoscenico politico di solito salgono coloro che tendono a "distruggere Read more

Tolleranza e questione islamica

Mentre impazza la campagna elettorale per il Parlamento dell’Unione Europea, può essere utile qualche noticina sul tema della tolleranza verso Read more

Storie e personaggi. L’eccentrico barone La Lomia

"Io ho la gioia di credere e penso che la vera nascita sia la morte. Noi siciliani abbiamo il culto Read more

Il Ramadan e la chiusura delle scuole

C’è stato un tempo – se più o meno felice, decida naturalmente il lettore – in cui il primo giorno Read more

Articolo successivo
Per capire l’arte ci vuole una sedia: la rubrica di Floriana Conte | | “L’arte non è una faccenda per persone perbene”: Mostre, teatro e Performance Art
Articolo precedente
Biennali. Sogni dell’arte e Sfide della realtà.Un libro di Vittoria Biasi ed Edwige Bilotti

Menu