Le cose economiche sono fatti della vita e le vite umane sono interconnesse dalla notte dei tempi. L’interconnessione prese il nome di società, che conserva ancora oggi. La rete che unisce le vite e le azioni, come la rete da pesca, può e deve essere riparata nei punti strappati o usurati, se vogliamo che trattenga il pesce.
Ma i rattoppi devono essere conformi alle corde e coerenti con la trama. L’intervento dei governanti nella società deve perciò essere ispirato alla massima di Edmund Burke secondo cui l’ideale uomo di Stato deve possedere “una disposizione a preservare, contemperata da una abilità a migliorare”.
Mentre accade che la disposizione a preservare tenda ad affermarsi a misura che gli esseri umani scoprano, apprezzino, godano i benefici della loro condizione considerata in sé stessa e in rapporto con gli altri, l’abilità a migliorare non è affatto una qualità simmetrica alla disposizione a preservare né generalizzata come intuitivamente sembrerebbe dacché la spinta a migliorare è connaturata agli individui ed alla società.
La disposizione a preservare riguarda la soddisfazione percepita per lo stato delle cose, l’abilità a migliorare è solo presunta in ogni individuo e perciò, di fatto, tutta da dimostrare. Sennonché il politico, a causa dell’elezione, è portato a riconoscersi generosamente quella qualità oppure a sopravvalutarla. Scambia facilmente l’intenzione di migliorare le cose con la capacità di riuscirci e considera, per ciò solo, ineluttabile il miglioramento intenzionale e impossibile un peggioramento inintenzionale.
L’inflazione e i prezzi sono facce dello stesso fenomeno, come il salario legale e la produttività: sono le cose di cui parla la politica. La concorrenza è la rete da riparare: la politica non ne parla. Intendono abbattere la “speculazione” (“tutti speculiamo”, insegnava Luigi Einaudi); imporre tributi ai “sovraprofitti” (sono misurabili?); calmierare i prezzi (impresa mai riuscita ad alcuno); alzare e abbassare il tasso di sconto (i banchieri centrali sono giostrai di montagne russe); introdurre il salario legale (l’equo salario imposto con legge, albagia di Stato, incrementerà pure il lavoro nero). In realtà i prezzi salgono perché stamparono troppa moneta regalandola persino a tasso zero. I giostrai che imbonivano il popolo mansueto affermando che il “tasso zero” era il meglio, adesso imboniscono il popolo sfiancato assicurandogli all’opposto che il meglio è “tasso cinque”.
Ovviamente, l’inflazione danneggia chi ha un reddito fisso, cioè tutti quelli che non possono aumentare i prezzi dei loro beni e servizi a parità di domanda. Il salario legale, senza aumenti significativi della produttività, resta un’illusione monetaria, se considerato in relazione all’intero sistema economico. “Avviene in un’industria quanto avviene in una squadra di canottieri, che cioè i buoni canottieri non vogliono in squadra gli inabili o i deboli, poiché il risultato complessivo è commisurato in gran parte alla efficienza dell’elemento più inefficace” (Maffeo Pantaleoni).
Diventa perciò cruciale l’efficienza dell’elemento più inefficace, cioè delle imprese marginali e dei servizi pubblici, per accrescere la produttività da poter aumentare i salari reali, così contribuendo a ridurre l’effetto dell’inflazione rapportato ai redditi. È prioritario ed indispensabile metter mano a ricucire la rete che interconnette i fattori: la concorrenza. Essa è il vero motore del benessere economico, che non può essere accresciuto, migliorato, diffuso con provvedimenti vincolistici che la limitino sotto pretesto di eliminarne pretese distorsioni o discriminazioni. Ciò non significa affatto laisser faire ma istituire un sistema di diritto che funzioni con norme generali ed astratte, non già specifiche, ad hoc. È amaro constatare che, invece, è proprio il laisser passer il sistema in atto che consente, in spregio alla vera, ben regolata, concorrenza, di aggirare con deroghe ed esenzioni l’eguale trattamento legale delle attività economiche omogenee, concedendo privilegi, istituendo monopoli, garantendo sinecure.
La legge annuale sulla concorrenza ha esattamente lo scopo di rimuovere le barriere normative alla concorrenza, promuovere l’apertura dei mercati ai piccoli imprenditori, tutelare i consumatori, individuando gli ostacoli che vincolino la libera iniziativa imprenditoriale. La concorrenza è regolata dallo Stato ma tutelata dall’Unione europea, della quale è un pilastro fondamentale. Nondimeno, pare evidente che la concorrenza venga riguardata come un fattore, non come la determinante dello sviluppo economico. Questa dannosa sottovalutazione è il permanente riflesso, benché sfocato, della mentalità anticapitalista rimasta impaniata nei fantasmi del socialismo, annidati in case a destra e sinistra della strada.
Conviene a costoro memorizzare e meditare le immortali parole di Hayek: “Siccome ogni individuo sa poco, e in particolare raramente sa chi di noi sa fare meglio, ci affidiamo agli sforzi indipendenti e concorrenti dei molti, per propiziare la nascita di quel che desidereremo quando lo vedremo”.