Il via libera che il mutismo della Commissione Europea ha dato all’Irlanda introduce una normativa unilaterale, discriminatoria e sproporzionata. Un sistema che spacca il mercato unico europeo e criminalizza prodotti della nostra civiltà mediterranea. Così si penalizza l’Italia che dell’agroalimentare fa giustamente una bandiera. Il governo si attivi subito contro gli health warning sul vino e porti il tema alla Corte di Giustizia Ue”.
Micaela Pallini è la prima donna nonché la prima romana ad essere stata eletta presidente di Federvini, la branca di Confindustria che riunisce tre comparti produttivi – vini, spiriti e aceti – con un giro d’affari di 25 miliardi di euro. L’imprenditrice è poi Ceo dell’omonima azienda familiare fondata nel 1875 (pronta, nel 2025, a festeggiare il 150o compleanno) che esporta mistrà e limoncello in 45 Paesi, ma produce anche sambuca, amaro e sciroppi di frutta. Ed è preoccupata per la direzione che l’Europa sta imboccando nel settore agroalimentare: “Non informazione ed educazione bensì imposizioni”.
Ci spieghi cosa è successo esattamente: in che consiste la “breccia irlandese” che si è appena aperta mettendo a rischio il settore vitivinicolo ?
E’ un percorso lungo e tortuoso che riguarda le etichette sugli alimenti in generale e sulle bevande alcoliche in questo caso, su cui si vorrebbe scrivere che nuocciono gravemente alla salute o che provocano il cancro. Da tempo assistiamo a tentativi da parte dell’Ue di bandire tout court l’alcol piuttosto che invitare alla moderazione nel consumo. C’è un approccio di demonizzazione che equipara un bicchiere di vino a un pacchetto di sigarette e che non ha basi scientifiche. A febbraio il Parlamento Europeo si è espresso contro l’inserimento di health warnings per il vino. Ma nonostante questa presa di posizione molto chiara, sono proseguiti i tentativi in quella direzione.
Finché Dublino ce l’ha fatta?
Sei mesi fa l’Irlanda ha presentato un progetto per questo tipo di etichette. E nonostante ci fossero i pareri contrari di dieci Stati Membri Ue – l’Italia per prima con un documento circostanziato, poi seguita da Francia e Spagna – la Commissione non si è pronunciata fino alla scadenza del periodo di “stand still”, che equivale al nostro silenzio assenso. Pertanto, adesso il Parlamento irlandese potrebbe legiferare in tal senso, anche se il percorso non è completato: c’è un passaggio entro 60 giorni presso l’OMC (Organizzazione Mondiale per il Commercio). Ma la scelta della Commissione ha suscitato grandi perplessità.
Lei vede un’inerzia dell’organismo presieduto da Ursula Von der Leyen o piuttosto una forte azione di lobbying da parte di Paesi con una cultura alimentare diversa, come quelli anglosassoni o nordeuropei?
Purtroppo, siamo più nella seconda situazione. C’è un chiaro segnale da parte di Paesi, soprattutto nel Nord Europa, che conducono una lotta senza quartiere all’alcol, senza distinguere tra consumo e abuso, per ragioni salutistiche che però, lo ripeto, non sono suffragate da evidenze mediche. Il via libera dato all’Irlanda introduce una normativa unilaterale, discriminatoria e sproporzionata. Un sistema che spacca il mercato unico europeo e criminalizza prodotti della nostra civiltà mediterranea.
Vino, carni rosse, Nutriscore. Perché l’Europa a tavola preferisce terrorizzare anziché convincere?
Già il sistema a “semaforo” verde, giallo e rosso per i cibi rappresenta una forma non di informazione ed educazione alimentare bensì di imposizione. Ma per l’alcol l’approccio è ancora più drastico e criminalizzante: nuoce alla salute, punto. Senza distinzioni di quantità. E questo salutismo draconiano – giustificato con la lotta a malattie come obesità, tumori e disturbi cardiocircolatori – viene esteso alla carne rossa e ai latticini.
Si penalizza la dieta mediterranea, dopo che per decenni è stata esaltata come elisir di lunga vita?
Si penalizza l’Italia, che dell’agroalimentare fa giustamente una bandiera. La dieta mediterranea prevede l’educazione alla varietà, molta frutta e verdura, l’uso di proteine vegetali, l’olio d’oliva al posto del burro. E il bicchiere di vino ne fa parte. Trasformarla da caposaldo della salute in spauracchio è un’accelerazione molto forte. E lo vediamo accadere su vari tavoli per imporre stili di vita diversi dai nostri.
Cosa – e soprattutto quanto – rischia il settore vitivinicolo con l’introduzione di questi health warning?
Un danno importante per prodotti che rappresentano la nostra cultura da millenni. Dietro una bottiglia c’è chi lavora la terra, coltiva la vite, investe sul territorio, racconta una storia che è la nostra storia. Poi è difficile fare una stima dei danni economici perché siamo solo ai prodromi della partita. Ma vedo anche un problema commerciale: apporre etichette diverse per l’Irlanda ostacolerebbe la libera concorrenza delle merci che è un caposaldo del mercato europeo.
Cosa chiedete al governo? C’è ancora modo di intervenire nel prossimo passaggio all’OMC?
Chiediamo al governo intanto di tutelare i nostri interessi nella sede dell’OMC. E di portare il tema alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea attraverso un’attività di raccordo con gli altri Paesi che spinga e rilanci la nostra posizione. Purtroppo la Commissione finora è stata sorda e non ha rispettato la decisione del Parlamento Europeo: un segnale chiaro della direzione di marcia che intende seguire. Proprio per questo. Chiediamo all’esecutivo di attivarsi quanto prima e studiare ogni azione possibile contro una norma che contrasta con il buon senso e la realtà.
Federica Fantozzi – Giornalista