Lettera al ministro della Cultura
Signor Ministro,
richiamo la Sua attenzione sul problema storico ed etico del luogo dell’Incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860. A riguardo, Le allego la nota che pubblicai su “Storia contemporanea”, n.1/2014, riassuntiva dell’argomento.
La Treccani ha finalmente recepito la verità storica, dopo 150 anni! Credo che lo Stato, in particolare il ministero della Cultura, di questo almeno si tratta, debba intervenire, sia per scongiurare l’avvilente cerimonia in due differenti Comuni per celebrare l’unità d’Italia, sia per la restitutio in pristinum dell’edificio storico di Taverna della Catena, circa il quale, benché protetto da un decreto del ministro dell’Istruzione, esiste una quarantennale (sic!) controversia civile ed amministrativa tra il municipio di Vairano Patenora, esatto luogo dell’Incontro, e i numerosi comproprietari.
Aggiungo il biglietto autografo che mi spedì l’allora presidente della Treccani e del Comitato per il 150° dell’Unità, Giuliano Amato: biglietto preciso, autorevole, considerevole, anche per l’auspicio che “ora la storia sia rispettata“!
Mi spingono a chiederLe d’intervenire il patriottismo risorgimentale e la memoria di mio padre che dal 1960, anno del centenario, con originali ricerche da studioso (alle quali gli storici, professionali e no, in seguito hanno attinto) e infaticabile azione da sindaco operò per ristabilire la negletta verità storica, fondamento delle nazioni serie.
La ringrazio dell’attenzione e Le porgo deferenti saluti,
Pietro Di Muccio de Quattro – Direttore emerito del Senato, Ph. D. dottrine e istituzioni politiche, già parlamentare.
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La nota di Di Muccio de Quattro su Storia contemporanea, il biglietto autografo del’alloral presidente della Treccani Giuliano Amato
“Centosettant’anni dopo, viene ancora ignorato e messo in discussione il luogo dove Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi ricongiunsero il Nord e il Sud e suggellarono l’unità d’Italia. Quel luogo è in provincia di Caserta, ma non nel comune di Teano, bensì di Vairano Patenora, da sempre. Il punto esatto della stretta di mano tra il Re e il Generale è perfettamente conosciuto, come dimostrano tutte le fonti storiche messe in luce e criticamente vagliate, già nel 1960 (!), centenario dell’Incontro, dagli studi di Guido Di Muccio, che pubblicò il “Diario storico-militare della Campagna 1860”, dove, alla data 26 ottobre, è scritto: “A Taverna della Catena S. M. il Re che col suo Quartiere Generale marcia colle Truppe del 4° Corpo, è incontrato dal Generale Garibaldi.”
Le fonti dimostrano “al centimetro” che l’Incontro avvenne all’antico “Quadrivio di Taverna della Catena”, allora e oggi Vairano Patenora. Al contrario, proprio nessuna prova storica sostiene la città di Teano, tralatiziamente ancora indicata per mancanza di acribia da storici e giornalisti corrivi. Mentre gli storici scrupolosi conoscono la verità, la rispettano e la scrivono, da Cortese ad Ansaldo, da Ridley a Montanelli, da Milani a Viarengo, e da ultimo la Treccani. Teano, dove Garibaldi neppure arrivò e Vittorio Emanuele dormì la notte, dista circa dieci chilometri, è un’antica città romana, ha tre volte più elettori di Vairano, è sede vescovile, ha espresso a lungo rappresentanti nazionali e locali. Fama, importanza, peso politico hanno “attratto” la denominazione e fatto conseguire a Teano una gloria fasulla, accanto alle tantissime reali. Ma la colpa del falso storico appartiene intera agli scrittori che per sciatteria e sottovalutazione dell’evento si son copiati l’un l’altro l’errore.
Le celebrazioni del cinquantenario del Regno d’Italia si svolsero a Taverna della Catena. Nel 1911 vi fu eretto il cippo commemorativo, tuttora esistente davanti all’edificio, mentre a Teano fu posta una lapide celebrativa che esattamente riportava “Quadrivio di Cajanello” (ovvero Vairano Patenora) come luogo dell’Incontro. Purtroppo la lapide oggi visibile non è l’originale, bensì un apocrifo. In epoca fascista la lapide originale fu smurata e sostituita con la lapide visibile oggi, contraffatta sostituendo l’inciso che riconosceva Taverna della Catena (ovvero “Quadrivio di Cajanello”) in modo che l’Incontro apparisse avvenuto “a Teano” (da notare che la contraffazione è pure sbagliata in italiano!). Ne esistono le prove inoppugnabili. L’archivio Di Muccio conserva addirittura una foto d’epoca che ritrae la lapide originale con la dicitura autentica. Solo nel 1960, in occasione del centenario dell’Incontro, Teano innalzò una colonna commemorativa in un posto fuori città, inventato dagli amministratori comunali, che stride con le evidenze storiche e già a colpo d’occhio si rivela finto. Taverna della Catena invece, così chiamata perché lì veniva stesa una grossa catena a sbarrare la strada quando il Re Borbone era a caccia, benché incredibilmente deturpata da modifiche edilizie, è tuttora ben visibile. Nel 1967 il ministro della Pubblica istruzione la dichiarò di “interesse particolarmente importante.”
È stato, ancora, lo stesso Guido Di Muccio a scoprire ed evidenziare la sorprendente coincidenza di luoghi tra l’unificazione politica e la prima, nel senso cioè di documentata, adozione della lingua italiana, i cosiddetti “Placiti” (infatti il “Secondo Placito di Teano”, ottobre 963 d.C., tratta della controversia giudiziaria concernente i terreni in Vairano). A distanza di circa nove secoli, dunque, dove fu parlato per la prima volta l’italiano, lì fu unificata l’Italia.
Scrivendo e dicendo la verità, si rende omaggio alla storia e all’Italia. Il valore politico dell’evento non può prescindere dalla sua realtà vera. Che senso può avere celebrare un accadimento nel posto sbagliato? Il punto esatto, individuato oltre ogni ragionevole dubbio, dove l’Italia prese corpo e identità (dal tempo della caduta dell’Impero romano!), dovrebbe essere conosciuto, illustrato, conservato, onorato come merita. Appare avvilente ad ogni sincero patriota uno Stato che invia, nei principali anniversari, sue autorità in “due” differenti comuni a celebrare l’ “unità” della nazione!”