40 anni dal governo Craxi/ interviste/15/ Fabio Martini. Ha lasciato un segno che non ha fatto scuola: decidere. Fu un “impopulista”

Parla uno dei più noti e apprezzati notisti e saggisti politici italiani, autore tra l’altro di una recente biografia del leader socialista, Controvento. La vera storia di Bettino Craxi, editore Rubbettino L’esperienza del governo Craxi "resta un segno che non ha fatto scuola: è possibile assumere decisioni difficili, anche impopolari, e non soltanto rinviarle, o cercare un compromesso". Sulle riforme: "servirebbe resettare e compattare tante istanze in una riforma istituzionale organica. La prima bozza del governo Meloni è stata scritta con una approssimazione sbalorditiva, ma non si può affatto escludere che in corso d’opera vengano apportate quelle modifiche necessarie a farne una riforma coerente ed utile. In grado di affidare al primo ministro poteri di guida, ma non certo strapoteri". Fu attento alla comunicazione ma non fece del populismo mediatico, non fu mai un "piacione"

Nel 2023, a 40 anni dal governo Craxi, che cosa resta di quell’esperienza di governo durata quattro anni?

“Resta un segno che non ha fatto scuola: è possibile assumere decisioni difficili, anche impopolari, e non soltanto rinviarle, o cercare un compromesso. Così capitò per la vicenda di Sigonella, così capitò davanti all’urgenza di spegnere l’inflazione a due cifre. Decidere si può. Ma non stiamo parlando di banale decisionismo, inteso come capacità di decidere, perché la decisione per la politica è all’ordine del giorno. No, stiamo parlando di bivi impegnativi. Non a caso, quella capacità ha trovato pochi ed episodici eredi”.

 

 

 

 

Spieghiamolo ai giovani che a quei tempi non erano neanche nati: in che cosa consisteva la novità del governo Craxi? Quali i suoi punti qualificanti?

“Nel discorso col quale il presidente del Consiglio Craxi si presenta alle Camere non contiene aspetti programmatici dirompenti. La novità stava tutta nella guida del governo: per la prima volta dal 1945 andava al leader del secondo partito della coalizione. Il precedente di Giovanni Spadolini aveva riguardato un alleato laico di forza elettorale assai meno rilevante. Ma il peso politico-elettorale-storico che Craxi portava con sé lo aiutarono a prendere strade che non erano state programmate”.

Molti, ricordando quel governo Craxi, si fermano a Sigonella, il punto più alto di affermazione della sovranità nazionale, che suscitò l’applauso alla Camera anche dei comunisti. Oltre Sigonella, che cosa andrebbe ricordato del governo Craxi?

“Nelle rievocazioni, anche da parte di storici, si dimentica spesso la decisione di introdurre la ricevuta fiscale: fu innovazione osteggiata dalle categorie interessate, che trovarono sponda non solo in altri partiti di governo, ma anche nel Pci. Il decreto sulla scala mobile, osteggiato dalla Cgil e curiosamente maldigerita da Confindustria, riportò l’inflazione sotto il livello di guardia. La revisione del Concordato tra Stato e Chiesa”.

Della Grande Riforma, che Craxi agitò come bandiera di rinnovamento dello Stato, quali proposte conservano una validità e attualità? Che cosa andrebbe rilanciato?

“La Grande Riforma craxiana non ha mai preso la forma di un progetto organico e anche dopo, chi ha raccolto quella suggestione nei decenni successivi, non è uscito da un’aspirazione generica. Nel frattempo i poteri che si immaginava di intestare al potere esecutivo, in parte se li sono “presi” i vari presidenti del Consiglio. Certo, servirebbe resettare e compattare tante istanze in una riforma istituzionale organica. La prima bozza del governo Meloni è stata scritta con una approssimazione sbalorditiva, ma non si può affatto escludere che in corso d’opera vengano apportate quelle modifiche necessarie a farne una riforma coerente ed utile. In grado di affidare al primo ministro poteri di guida, ma non certo strapoteri”.

“La nave va”, “l’onda lunga”, il suo frequente citare frasi di Mao di facile impatto: La prospettiva è luminosa ma la strada è a zig zag. O certe sue battute come quella riferita a Andreotti: Prima o poi le volpi finiscono in “pellicceria” . Con Craxi al governo la comunicazione politica ha avuto una accelerazione?

“Sì, Craxi fu attento alla comunicazione, ma non ha mai ceduto al populismo mediatico, anche quello che si poteva esprimere in forme moderate. Non fu mai un “piacione” e non prese decisioni soltanto perché avrebbero potuto essere efficaci soltanto in termini comunicativi. É stato un “impopulista”. Certo, Craxi impresse alla sua azione un tratto personalizzato, al quale l’opinione pubblica non era abituata: la DC non personalizzava mai”.

 

 

 

 

Rapporti con Berlinguer,  furono pessimi. Il segretario del Pci, invece di salutare la novità del primo presidente del Consiglio socialista, lo definì un pericolo per la democrazia. C’erano anche motivi caratteriali nei loro rapporti?

“Sarebbe facile buttarla sul carattere. Tra l’altro erano due timidi. Lo era, evidentemente, Berlinguer ma lo era pure Craxi, sia pure in una modalità ben mascherata. No, i due erano distantissimi sul piano politico. Sin dai primi giorni dell’avvento di Craxi, l’altro comprese che la mission del nuovo segretario del Psi era quella di contestare il primato a sinistra del Pci. Primato fatto di tante cose, come si capì in occasione del decreto sulla scala mobile: quella volta Craxi sottrasse al Pci e al sindacato il potere di veto. Berlinguer lo patì, volle il referendum e il Pci lo perse. Quella è stata certamente la vittoria politica più importante della carriera politica di Craxi. La domanda agli elettori era elementare: italiani volete mantenere il vostro stipendio o accettare che sia diminuito in modo da abbattere l’inflazione? Gli italiani diedero ragione a Craxi e non a Berlinguer”.

 

 

 

 

Tu a Craxi hai dedicato un bel libro Controvento. Se dovessi fare un sintetico profilo del leader, dell’uomo di governo, del Craxi personaggio, quali elementi in particolare metteresti in rilievo?

“La figura politica non si esaurisce nell’azione svolta come capo di governo. Da leader del Psi contribuì in modo decisivo alla battaglia politica per definire la natura del comunismo, chiarendo che i presunti errori erano stati orrori. Con i soldi ricavati dalle tangenti, aiutò le battaglie di libertà dei dissidenti nell’Est europeo e degli esuli dei regimi militar-fascisti in America Latina. É diventato il simbolo del malaffare non perché il Psi “rubasse” più degli altri partiti, ma perché aveva osato sfidare i partiti-guida del sistema e quando arrivò la resa dei conti, divenne oggettivamente un capro espiatorio. Ma, oltre a non trovare una “misura” nel finanziamento illegale del proprio partito, Craxi non capì la portata della questione morale sventolata dal Pci”.

 

 

 

 

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  • Fabio Martini, giornalista, saggista e notista politico, scrive su “La Stampa”. Oltre al libro su Craxi ha pubblicato, tra i più recenti: Nathan e l’invenzione di Roma, Marsilio editore; è autore di Quirinale, i carisma degli outsider. Podcast in 12 puntate per Radio 3.

 

Mario NanniDirettore editoriale

 

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