40 anni dal governo Craxi/ interviste 11/ Ugo Finetti Liberarsi dal “dipietrismo storiografico”. Craxi sdoganò il presidenzialismo

Intervista al Direttore di "Critica Sociale", saggista, scrittore e dirigente politico. Gli anni ’80 furono un periodo di successo per l’integrazione europea e l’eurosocialismo. Craxi sdoganò nella sinistra il tema della riforma della Costituzione e in particolare il presidenzialismo che erano fino ad allora considerati temi di "destra", anzi di "estrema destra". Chi parla di Caf e critica Craxi perché dopo la caduta del comunismo non si è alleato con i comunisti contro la DC, ha una visione "romanesca" come se Craxi fosse nato nel 1976. Craxi e Berlinguer? Entrambi operarono per dar vita a una sinistra di governo in un quadro di collaborazione con la Dc. Berlinguer più brutalmente di Craxi scartò l’alternativa di sinistra: nemmeno con il 51 per cento. La solidarietà nazionale – come sottolineato dallo storico del "Gramsci", Silvio Pons – fu l’esperienza più positiva del Pci. Il malore di Nilde Iotti mentre si discuteva nella direzione Pci sul maggioritario.

Il 2023 sono trascorsi 40 anni dal governo Craxi. Che cosa resta di quell’esperienza di governo durato quattro anni?

Craxi a Palazzo Chigi significa che il Psi rappresenta una sinistra italiana di governo a cui è riconosciuto il ruolo di leadership. In precedenza il centro sinistra – prima con il Moro-Nenni e poi con il Rumor-De Martino – vide il Psi svolgere un ruolo propulsivo con conquiste importanti che segnarono una svolta nella vita civile e sociale dell’Italia, ma che si conclusero con una “ritirata” dei socialisti. Il Psi finiva per apparire un partito “subalterno” nel senso che non era stato in grado di dare una risposta concreta e vincente di fronte alle criticità economiche alternativa a quelle della Dc.

 

 

 

Craxi segna il passaggio del Psi da “riformatore” a “riformista”. “Riformatore” significa il Psi che ancora nella Carta dell’Unificazione con il Psdi nel 1966 e poi fino al Progetto socialista del Congresso di Torino del 1978 (con Craxi vincolato all’alleanza con la sinistra socialista) è tutto nazionalizzazione e programmazione, superamento del capitalismo e “socializzazione dei mezzi di produzione”. Dopo il congresso di Palermo del 1981 e con la Conferenza di Rimini del 1982 non c’è il passaggio da un “programma massimo” (“la transizione al socialismo”) a quello “minimo” (la “governabilità”). C’è il Psi che, abbandonata la fuoriuscita dal capitalismo, promuove un programma di riforme e di governo nel quadro dell’”economia sociale di mercato” contro una precedente egemonia conservatrice.

Negli anni Ottanta abbiamo un Psi che affronta le criticità economiche con sue proposte vincenti.Il principale lascito del governo Craxi è quello di una sinistra italiana che assume la guida dell’esecutivo dimostrando capacità di affrontare crisi ed emergenze tra euromissili, scala mobile, riforma del Concordato e rilancio economico con l’ingresso nel G7 e ruolo di protagonista nell’integrazione europea.

Spieghiamolo ai giovani che al tempo del governo Craxi non erano neanche nati: in che cosa consisteva la novità del governo Craxi? Quali i suoi punti qualificanti?

Oggi il principale ostacolo che hanno i giovani è il fatto che a partire dall’insegnamento fino ai principali mass media prevale quel che è stato definito “dipietrismo storiografico” ovvero la demonizzazione degli anni ’80 divulgati come anni di “riflusso”, di “chiusura nel privato”, di “edonismo reaganiano”, ecc. C’è il luogo comune di rappresentare la storia dell’Italia repubblicana in ascesa fino agli anni ’70 e poi come un baratro involutivo. In sostanza si segue il grafico elettorale comunista per cui da quando il Pci comincia a perdere voti nelle consultazioni politiche (dal 1979 in poi) il declino del Pci è identificato con un generale declino del Paese.

In particolare, gli anni che videro Pertini al Quirinale e Craxi a Palazzo Chigi sono dipinti, persino da storici cosiddetti socialisti, come il peggior periodo dell’Italia repubblicana: “restaurazione conservatrice”.

Addirittura, abbiamo manuali in cui si esalta l’opposizione comunista al decreto sulla scala mobile equiparandola agli scioperi dei minatori inglesi nel 1984 e 1985 contro la Thatcher, quando in verità il provvedimento di Craxi era concordato con un ampio schieramento sindacale (da Cisl e Uil fino alla Lega delle Cooperative) e, dopo un intervento di Sandro Pertini, ritenuto accettabile per il Pci non solo da Giorgio Napolitano, presidente dei deputati comunisti, ma persino da Tonino Tatò, già dirigente della Cgil e principale collaboratore di Berlinguer. Sottoposto poi a referendum popolare riscosse l’approvazione della maggioranza degli italiani. Ma per una diffusa storiografia è insegnato ai giovani come esempio di autoritarismo e repressione antioperaia.

 

 

 

Quella che è stata derisa come la “Milano da bere” era in realtà un’Italia “craxiana” che era riuscita a gettarsi alle spalle terrorismo e crisi economica e tornava a crescere, a modernizzarsi, a essere protagonista in campo europeo e sulla scena internazionale.

– Molti, ricordando il governo Craxi, si fermano a Sigonella, il punto più alto di affermazione della sovranità nazionale, che suscitò l’applauso alla Camera anche dei comunisti. Oltre Sigonella, che cosa andrebbe ricordato del governo Craxi?

Intanto Sigonella non deve oscurare il complesso della vicenda dell’Achille Lauro a cominciare dal fatto che l’Italia in sole ventiquattro ore ottenne che tutti gli Stati arabi del Mediterraneo chiudessero i porti ai sequestratori e spinse Arafat a intervenire per farli arrendere. Questa è la testimonianza del ruolo di protagonista che il governo Craxi svolgeva in quell’area indipendentemente dagli Stati Uniti.

 

 

 

A ciò si aggiunge soprattutto come si sviluppò la politica italiana in campo europeo. Gli “anni di Craxi” furono un periodo di successo per l’integrazione europea e l’eurosocialismo. Con Mitterrand e Craxi i socialisti ridimensionavano i due principali partiti comunisti occidentali e a loro si affiancavano Gonzales, Soares e Papandreu che traevano Spagna, Portogallo e Grecia da dittature parafasciste. Insieme agli storici capifila della socialdemocrazia europea – i tedeschi di Willy Brandt e gli svedesi di Olof Palme – i leader del Partito socialista europeo, sull’onda dell’elezione diretta del Parlamento di Strasburgo dal 1979, riuscirono ad animare negli anni Ottanta la migliore stagione dell’integrazione europea con la guida di Delors a Bruxelles e assumendo un ruolo significativo rispetto al bipolarismo USA-URSS. In particolare, il Consiglio europeo presieduto da Craxi aprì la strada alla moneta unica.

Della Grande Riforma, che Craxi agitò come bandiera di rinnovamento dello Stato, quali proposte conservano una validità e attualità?  Che cosa andrebbe rilanciato?

Per prima cosa Craxi sdoganò nella sinistra il tema della riforma della Costituzione e in particolare il presidenzialismo che erano fino ad allora considerati temi di “destra”, anzi di “estrema destra”.  La proposta della “Grande riforma” ha portato la sinistra italiana finalmente ad affrontare il problema del rinnovamento istituzionale e a superare il tabù dell’intoccabilità della Costituzione del 1948.

Il dibattito si bloccò in Parlamento nella contrapposizione tra la DC favorevole al maggioritario e il PSI per il presidenzialismo. Sull’onda di “Mani Pulite” vi fu l’avvento del maggioritario, ma con l’architettura costituzionale costruita sulla proporzionale. Oggi: o si torna al proporzionale oppure bisogna “aggiornare” tutto il sistema di contrappesi e di garanzie.

Per esempio, la battaglia per la delegificazione, la polemica sul Parlamento che perdeva tempo a fare leggi sui molluschi eduli lamellibranchi o sulla eviscerazione degli animali da cortile, invece di far procedere con atti amministrativi? Il Parlamento continua in questo andazzo?

Credo che l’intervento più urgente riguardi il tema della giustizia. L’autonomia della magistratura si basa sull’autodisciplina. É noto che affidata al CSM non funziona. Persino personalità come Luciano Violante lo ammettono e propongono altri organismi appositi. Siamo al punto di un diffuso squilibrio e arbitrio che , secondo Sabino Cassese, ormai il magistrato italiano al pari del Re Sole, Luigi XIV, proclama: “Lo Stato sono io”.

Il modus operandi del governo Craxi prevedeva riunioni preparatorie, in organismi istituiti ad hoc, come il consiglio di Gabinetto. Un metodo che poi è stato abbandonato. Sarebbe ancora valido?

Craxi voleva un governo forte ed era consapevole dei limiti della leadership Psi. Quindi puntò sulla direzione collegiale coinvolgendo direttamente anche quanti in precedenza lo avevano avversato come Spadolini, Andreotti e Visentini riuscendo a stabilire un clima di collaborazione e anche di amicizia. Per valutare la qualità e l’azione complessivamente positiva del governo bisogna infatti tener presente la composizione. Ad affiancare Craxi per il Psi c’erano De Michelis, Formica, Amato, Signorile. Per la Dc c’erano anche Forlani, Donat-Cattin, Scalfaro e Goria.

Chi parla di Caf e critica Craxi perché dopo la caduta del comunismo non si è alleato con i comunisti contro la DC, ha una visione “romanesca” come se Craxi fosse nato nel 1976. Ignora il suo ventennio precedente. Craxi fu tra gli artefici del primo centro-sinistra prima a livello di giunta universitaria dell’Unuri e poi al Comune di Milano. L’alleanza promossa dal socialismo resosi autonomo dal Pci dopo il ’56 con cattolici popolari e liberaldemocratici è una costante di tutta la sua azione politica.

Rapporti con Berlinguer: furono pessimi. Il segretario del Pci, invece di salutare la novità del primo presidente del Consiglio socialista, lo definì un pericolo per la democrazia. C’erano anche motivi caratteriali nei loro rapporti?

Come il Caf anche il “duello a sinistra” è una chiave di lettura per me arrugginita. Tra Berlinguer e Craxi, storicamente, più che “duello” ci fu “staffetta”: Berlinguer fu il “dominus” degli anni Settanta, Craxi degli anni Ottanta. Entrambi operarono per dar vita a una sinistra di governo in un quadro di collaborazione con la Dc. Berlinguer più brutalmente di Craxi scartò l’alternativa di sinistra: nemmeno con il 51 per cento. La solidarietà nazionale – come sottolineato dallo storico del “Gramsci”, Silvio Pons – fu l’esperienza più positiva del Pci. Ma Berlinguer gettò la spugna di fronte a integrazione europea (lo Sme), euromissili e perdita di voti. Dal 1979 fino al 1991 la storia del Pci è una lotta interna contro i “miglioristi” di Napolitano e all’esterno contro il Psi di Craxi costellata da giudizi negativi di Berlinguer sui partiti socialdemocratici europe

 

 

 

Come si potrebbe definire o descrivere lo stile di governo del presidente del Consiglio Craxi

É stato particolarmente innovativo nella comunicazione. Un linguaggio schietto e diretto. Non ha temuto di essere “antipatico” come efficacemente ha titolato Claudio Martelli il libro su di lui. Ha rifiutato il ruolo di imbonitore, di buonista, di venditore che è invece stata la nota dominante a destra e a sinistra nella cosiddetta Seconda Repubblica.

Qual è la cosa meglio riuscita del governo Craxi?

Indubbiamente la lotta all’inflazione che aveva ereditato a due cifre e il ruolo dell’Italia sulla scena internazionale. La polemica sull’”esplosione del debito pubblico” è surreale se si considera come lo si è incrementato successivamente. Con Craxi non c’è stata alcuna politica dei bonus e si è puntato sulla tenuta dell’”economia reale” e, in un quadro di deindustrializzazione, sul sostegno al terziario e all’ammodernamento infrastrutturale.

Aggiungerei anche la forte crescita elettorale del Psi che sfiorò il 15 per cento (mentre negli anni Settanta era sotto il 10 per cento) e la creazione, tra Dc e Pci, di una solidale area liberalsocialista di oltre il 20 per cento dell’elettorato italiano.

E quella non realizzata o rimasta incompiuta perché non ci fu più tempo o perché non era possibile?

Torniamo al tema della “Grande riforma” bloccata dall’ostruzionismo di DC e PCI che fecero quadrato sul maggioritario. Una scelta contraria alla lettera e allo spirito della Costituzione. Mentre nella Costituente vi furono voci favorevoli al presidenzialismo come Calamandrei, il maggioritario era identificato con il regime di Mussolini. L’Assemblea Costituente nel settembre 1947 votò in proposito un preciso documento (primo firmatario il giovane deputato comunista Antonio Giolitti, passato al Psi dopo i fatti di Ungheria del 1956) che escludeva il maggioritario. Per Togliatti, infatti, il sistema proporzionale era una condizione fondamentale per la scelta della “via italiana al socialismo”. Nilde Iotti che era presidente della Camera, quando Berlinguer nel 1983 propose in Direzione di schierarsi con la Dc a favore del maggioritario, ebbe una reazione talmente indignata che – stando al drammatico verbale della riunione – si sentì male, non riuscì a continuare l’intervento e venne soccorsa. Sono argomenti di cui si parla poco. Comunque sia, dopo tutti questi anni, i vari tentativi sono falliti e non siamo ancora arrivati a una conclusione.

 

 

 

Cenni biografici

Ugo Finetti, giornalista, già capogruppo socialista in Comune di Milano con Carlo Tognoli sindaco dal 1980 al 1985 e poi vicepresidente della Regione Lombardia fino al 1992. Dal 1993 al 2009 in Rai caporedattore e direttore di programmi. Successivamente Presidente dell’Istituto per la Scienza della pubblica amministrazione (ISAP) di Milano e Direttore di “Critica Sociale”. È vicepresidente del Centro Studi Grande Milano. Tra le sue pubblicazioni “Libro bianco sulla crisi socialista”(1972), “Il dissenso nel Pci”(1978), “La partitocrazia invisibile” (1985), “La Resistenza cancellata” (Ares,2003), “Togliatti e Amendola. La lotta politica nel Pci” (2008), “Storia di Craxi. Miti e realtà della sinistra italiana”(Boroli, 2009), “Botteghe Oscure. Il PCI di Berlinguer e Napolitano” (Ares 2016).

 

Gianluca Ruotolo Analista politico

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