Ricorda qualche episodio in cui Bonaiuti ha deciso di testa sua, senza prima ascoltare Berlusconi, credendo magari di interpretarne il pensiero, ma mettendolo in sostanza di fronte al fatto compiuto?
Sì. Fu in occasione delle elezioni politiche del 2006, dei dibattiti in tv, e la colpa fu della par condicio, che Berlusconi detestava in linea di principio con questo semplice argomento: un partito del 30 per cento non poteva essere messo alla pari di una formazione con il 3 per cento. Bonaiuti dovette poi gestire in prima persona insieme a Bruno Vespa il confronto in tv tra Prodi e Berlusconi. Il leader di Forza Italia subì tutto questo. Lo studio televisivo era asettico, grigio, anche la scenografia aveva tinte così grigie e tristi. Nulla di paragonabile all’azzurro di Porta a Porta.
Facciamo un passo indietro, al famoso gruppo degli Otto. Com’era il clima interno? Erano tutte rose e fiori, si discuteva, si litigava?
In genere si discuteva, ognuno diceva la sua, poi si faceva sintesi. Ma quando si fa sintesi, può capitare che qualcuno si adonti perché la sua opinione non è stata valorizzata quanto meritasse. Per cui può esserci una reazione. Accadde una volta che Renato Brunetta arrivò a una riunione del mattinale scuro in volto. Era così arrabbiato che lanciò, come un discobolo, la sua borsa sul tavolo delle riunioni travolgendo tutto quello che c’era sopra: documenti, cartelle, penne, tutto finì in terra lasciando basiti i presenti.
Diede una spiegazione di questo suo gesto?
No, e non credo che qualcuno glielo abbia chiesta.
Ha qualche ricordo particolare, magari un aneddoto, della sua vita di giornalista di Canale 5?
Sì, certo. Era il 1989, ero cronista a Parlamento in, la rubrica politico-parlamentare di Canale 5. Ciriaco De Mita era stato defenestrato da presidente del Consiglio e nominato presidente della Dc. Andai a intervistarlo nella sede di Palazzo Sturzo, all’Eur. Avevo il microfono di canale 5, ben visibile, lui mi guardò mentre mi avviavo a fargli la prima domanda, e tuttavia con molta freddezza mi domandò: per quale tv lei lavora? (ignorava a bella posta il microfono e la scritta canale 5).
Io gli risposi: per canale 5
E lui: che cosa è Canale 5?.
La più grande rete televisiva privata italiana, risposi.
E lui, con il suo tipico accento, mi disse: ah! È una televisione!?!
(Questo avveniva un anno prima della legge Mammì, così osteggiata dai ministri della sinistra Dc, De Mita in primis, come questo aneddoto rivelatore conferma, che si dimisero in blocco dopo l’approvazione. Avevano tutti il cognome che cominciava con la M:(Mannino, Martinazzoli, Mattarella, Misasi, più un quinto che si chiamava Carlo Fracanzani NdR)
Questa è una domanda per il politico Lainati, deputato per due legislature in Forza Italia e due legislature nel Popolo delle libertà: Lei considera riuscito o parzialmente fallito il progetto berlusconiano di fare di Forza Italia un partito liberale di massa?
Forza Italia, diciamocelo, è stato sostanzialmente un partito liberale di massa, soprattutto nel campo economico, della libertà d’impresa, nella liberalizzazione dalle pastoie burocratiche, e per le battaglie condotte contro il giustizialismo allora imperante.
Se dovessi indicare due tre elementi che hanno frenato, annacquato e frustrato i progetti di ammodernamento dell’Italia che si proponeva Berlusconi, quali indicheresti?
Vediamo: in primis citerei quella che chiamerei la logica di coalizione. In un’alleanza di vari partiti dove è necessario trovare sempre una sintesi, che talvolta è purtroppo al ribasso, Berlusconi era costretto a farsi, come diceva lui stesso, concavo e convesso, pur di assecondare gli alleati di governo che spesso avevano impostazioni e obiettivi non coincidenti se non divergenti su tanti temi.
Un esempio clamoroso?
Ciò che accadde nel 2005. Berlusconi governava ininterrottamente dal 2001 e confidava di portare la legislatura al 2006 e il governo più longevo del dopoguerra…..
Ma?
Ma Berlusconi non aveva fatto i conti con l’allora vicepremier Marco Follini. (Udc), che volle una verifica, un riequilibrio interno di governo. Insomma aprì la crisi, per portare a casa due ministri in più. Berlusconi non capì, liquidò la manovra di Follini come cosa di democristiani, ma dovette piegarsi e fare un altro governo. E il record (parola particolarmente cara a Berlusconi, che l’ha predicata e praticata con successo nella sua vita di imprenditore televisivo, calcistico e anche di politico) sfumò.
Lei poi a un certo punto, per dissensi con Forza Italia se ne andò insieme ad altri deputati in un nuovo raggruppamento, con Denis Verdini, per sostenere il governo Renzi (con cui Berlusconi aveva rotto sentendosi tradito dopo il patto del Nazareno), e aderì al gruppo parlamentare Alternativa popolare di Angelino Alfano, anch’egli deluso dal Cavaliere e in rotta con lui. Fu una scelta facile la sua, dopo tanti anni di fedeltà a Berlusconi?
Lei parla di dissensi?! Mi cacciarono, eppure avevo partecipato alla fondazione di Forza Italia
Fu cacciato? Possibile?
È la verità. Fui licenziato da dipendente di Forza Italia (nel 2016), mentre ero in aspettativa non retribuita, perché una legge (introdotta dal governo di Enrico Letta toglieva rimborsi elettorali ai partiti; oltre a me furono licenziate 80 persone. Feci una causa di lavoro. Mi rivolsi al tribunale per salvare almeno il posto di lavoro, e facendo causa chiaramente son dovuto uscire dal gruppo parlamentare di Forza Italia passando al gruppo di Alfano.
E la causa? Come andò a finire?
La persi.
A proposito di Alfano: ho sempre trovato ingenerosa la definizione che Berlusconi diede di quello che pure era stato il suo delfino. Lo definì “un uomo senza quid”. Che ne pensa?
Sono d’accordo con lei. Una ben strana definizione per un uomo, come Alfano, che era stato ministro degli Esteri, ministro dell’Interno, ministro della Giustizia (suo fu il lavoro per ottenere il famoso Lodo che doveva preservare le alte cariche dello Stato da indagini e processi durante il loro mandato). Oltre a tutte questi prestigiosi incarichi, Alfano fu il leader di Forza Italia. Perciò quella definizione non ha una sua logica.
Ora tocchiamo un tema un po’ scivoloso. Berlusconi e i suoi delfini. Il Cavaliere ne ha fabbricati tanti, sembrava avere la smania di nominarne uno ogni tanto (e mai una donna, benché le donne le amasse): cominciò con Fitto, incoronato delfino durante l’inaugurazione della Fiera del Levante, poi i rapporti si guastarono fino all’irreparabile (anche per una battutaccia di Berlusconi sul padre democristiano di Fitto); poi Alfano; poi Giovanni Toti, poi Stefano Parisi, mandato allo sbaraglio e scaricato in poco tempo e in malo modo. Come spiega questa sindrome di creare delfini e poi depotenziarli, delegittimarli fino a scaricarli?
Me lo spiego così: fin dal ’94 ho avuto la netta sensazione che non ci sarebbe mai stato un delfino di Berlusconi. Questa figura, mettiamola così, non era prevedibile né compatibile con l’aver creato una forza politica diventata la prima del Paese. Come aver una macchina stratosferica e poi lasciarla guidare a un altro. Credo che ci fosse anche una spiegazione psicanalitica: il rapporto tra Forza Italia e il suo creatore era un rapporto di consustanzialità tale, se non di medesimezza, da non permettere l’esistenza di figure “altre” nella guida del partito.
Allora, chi si è sentito investito del ruolo di delfino, si è illuso?
Credo di sì, non conosceva abbastanza la personalità di Berlusconi
Epperò, c’è un personaggio in cui Berlusconi ha sempre riposto la massima fiducia, ma che non ha mai potuto indicare come delfino, per ragioni anagrafiche (erano coetanei): Gianni Letta. Però su di lui Berlusconi ha detto una frase che non ha mai speso per nessuno: Letta è un dono che Dio ha fatto all’Italia. Più di una volta ha pensato a lui come a un possibile presidente della Repubblica, ma si è sempre fermato per timore di obiezioni che fosse un personaggio a lui troppo contiguo. Non conoscono evidentemente l’indipendenza intellettuale e morale di Gianni Letta, che non per caso gode dell’apprezzamento e della stima dell’intero universo politico.
Berlusconi conobbe Gianni Letta nel 1987. Aveva lasciato da poco la direzione del giornale romano Il Tempo. Letta divenne, per l’imprenditore Berlusconi ancora lontano dalla politica, il ministro plenipotenziario presso le istituzioni (parlamento, governo, partiti). C’è il lavoro di Letta nella fase preparatoria che portò all’approvazione della prima legge di sistema del mondo radio televisivo, la legge Mammì, che stabilì il duopolio tv pubblico privato. Suscitando l’ira dei cinque ministri della sinistra Dc che uscirono dal governo (il sesto Andreotti). Furono sostituiti con una operazione lampo.
Domanda secca e risposta altrettanto secca: nel mercato politico di oggi c’è qualcuno che si potrebbe immaginare come un delfino, e quindi successore, di Berlusconi?
Tajani. Non è nato ieri, ha fatto un lungo cammino politico dentro Forza Italia, sempre accanto a Berlusconi, e ha avuto prestigiosi incarichi nelle istituzioni europee.
Concludiamo con il tema con il quale abbiamo cominciato: mi può indicare, a suo parere, le ragioni principali per le quali Berlusconi sarà ricordato?
La sua discesa in campo ha rivoluzionato la politica italiana. Ha inciso per 30 anni, dettando l’agenda politica. Ha cambiato lo stile di comunicazione, diretto e personale, e soprattutto chiaro e comprensibile da tutti, bruciando il politichese. Ma se il Berlusconi politico può essere, legittimamente, oggetto di discussione, è però innegabile ciò che ha costruito il Berlusconi imprenditore televisivo e innovatore del settore, oltre a considerare i successi nel settore del calcio.
Potrebbe indicare, a beneficio dei governanti di oggi, alcune cose attinenti allo stile di governo, al metodo di governare e di affrontare i problemi e le emergenze, che erano nelle corde del Berlusconi uomo di governo?
Indicherei : la concretezza, il decisionismo ( che non era solo tipico di Craxi), l’ansia di liberare da lacci e lacciuoli burocratici la piccola e grande impresa e la libertà di iniziativa economica; la capacità e fermezza nell’affrontare le emergenze: pensiamo a quella determinata dal terremoto dell’Aquila, o all’emergenza dei rifiuti a Napoli. Poi c’era un’altra situazione anomala che affrontò ma con scarsi risultati: il duello con la magistratura. Per lui si trattava di un’altra emergenza, anche se non usò mai questo termine: ma fin dal ’94 dal famoso invito a comparire, spacciato come avviso di garanzia, e finito sulla prima pagina di un autorevole giornale, nel pieno di un convegno internazionale sulla criminalità, si dovette rendere conto che un fronte di battaglia si era aperto su di lui e contro di lui, e chissà quando sarebbe stato chiuso. Mai, hanno poi dimostrato i fatti.
Il Lainati politico, comunicatore, giornalista si fa prendere qualche volta dalla nostalgia?
Più che nostalgia, resta il disappunto per essere stato messo fuori gioco proprio da quelle persone con le quali, nel partito e in parlamento, avevo lavorato per più di 20 anni. Una cosa traumatica e profondamente ingiusta ma perfettamente in linea con il cinismo e la brutalità della politica.
Mario Nanni – Direttore editoriale