Ucraina, la guerra avrà impatti anche sul Centrasia. Pietrobon: “Competizione tra grandi potenze è in una nuova fase”

La guerra in corso in Ucraina ha avuto impatti in tutta l’area europea, in particolare per quanto riguarda il prezzo del gas e del grano. Ma l’Europa non è l’unica area geografica colpita dalle conseguenze di questo conflitto: anche il Centrasia, osservato dagli analisti geopolitici ad inizio 2022 per le rivolte del Kazakistan, potrebbe vivere delle conseguenze. Ne parliamo con l’analista geopolitico Emanuel Pietrobon.

La guerra russo-ucraina influirà sulle forniture di gas nel Centrasia?

Il disaccoppiamento economico-energetico dei mercati europeo e russo ha avuto e sta avendo implicazioni per le repubbliche centroasiatiche, i cui prodotti energetici stanno avendo difficoltà a raggiungere il Vecchio Continente. Una Russia indebolita e privata di sbocchi è un’ Asia centrale indebolita e privata di sbocchi, sebbene su scala minore. Ad ogni modo, se i governi reggeranno l’impatto nel breve termine, approfittando del momento per accelerare le loro agende di diversificazione, il concomitante spostamento massiccio della Russia verso l’Asia, trainato per l’appunto dal disaccoppiamento dall’UE, potrebbe avere ricadute positive anche per gli –stan.

Quali altri materiali sono a rischio con il conflitto?

La guerra in Ucraina ha ricordato sia all’Occidente sia al resto del mondo che Russia non significa soltanto petrolio e gas. La Russia è un produttore-esportatore mondiale di una vasta gamma di prodotti-chiave, tra i quali alimenti di natura cerealicola come il grano, bricchette, fertilizzanti, metalli, nickel e oro. Una situazione simile riguarda l’Ucraina, granaio d’Europa e del Medio Oriente, che nell’anteguerra soddisfaceva il 18% della domanda mondiale di olio di semi di cotone, di cartamo e di girasole, il 13% di mais, il 12% di orzo e l’8% di grano e frumento segalato. Chiaramente, con le esportazioni dall’Ucraina ferme a causa della guerra e con quelle della Russia parzialmente bloccate dalla “guerra economica totale” in corso, tutte quelle nazioni che si affidavano a questi due mercati sono oggi costrette a fare fronte al caro-prezzi e alla scarsità di beni. Se tale stallo dovesse protrarsi, con l’aggravante della mancanza di strategie di sostituzione delle importazioni e di aumento della produzione domestica, l’Unione Europea dovrebbe prepararsi ad un ritorno dell’immigrazione illegale ai livelli di metà anni Dieci.

Quanto pesa la vicinanza russa sul mercato energetico?

La Russia è il classico “vicino scomodo” che esercita un’influenza sui più piccoli, economicamente come politicamente, e militarmente come energicamente. Con l’eccezione del Turkmenistan, che ha trovato nella Repubblica Popolare Cinese una sponda essenziale per smarcarsi dalla Russia – al costo, però, di essere risucchiato in una sfera di influenza persino più pervasiva della precedente –, gli altri -stan subiscono e percepiscono la vicinanza con la Russia. Le guerre, comunque, sono produttrici di fenomeni uguali e contrari. Applicato all’attualità, ciò significa che gli -stan potrebbero decidere di investire in diversificazione per evitare un eccessivo rallentamento della ripresa post pandemica, ad esempio aumentando le esportazioni di beni energetici verso l’UE attraverso la rotta Caspio-Caucaso-Nero e riesumando ambiziosi progetti di interconnessione come il gasdotto TAPI e il corridoio Asia centrale-India.

Quali partnership si prospettano per gli Stati europei?

La guerra in Ucraina ha catalizzato il processo di disaccoppiamento multisettoriale dell’UE e della Russia, in particolare nell’ambito energetico. Trovare soluzioni ai prodotti energetici made in Russia sarà tutt’altro che semplice: siamo dinanzi a quella che il politologo Salvatore Santangelo ha definito una situazione di “accerchiamento energetico”, dato che la Russia, in un modo o nell’altro – via joint ventures o sodalizi diplomatici –, è legata da assi adamantini alla maggior parte di coloro ai quali l’Italia e l’UE si stanno rivolgendo per sostituirla. Algeria, Libia, Azerbaigian, Kazakistan, Venezuela, Iran; tutti mercati influenzati in modo medio-alto dalla Russia e che ad essa devono rispondere in ultima istanza. Se la Russia volesse sabotare l’agenda di emancipazione energetica dell’UE, in sintesi, non avrebbe alcun problema.

La crisi ucraina potrebbe diventare la miccia per future rivolte-simili alle recenti- nell’area degli -Stan?

La vera domanda è: potrebbe o lo sarà? La competizione tra grandi potenze è da tempo entrata in una nuova fase, che vede le “periferie al centro”, pertanto è legittimo attendersi l’accensione di nuovi fuochi ai margini degli spazi imperiali. Emblematico e preconizzatore di ciò che sarebbe accaduto in Ucraina è stato proprio il cadere nell’instabilità del Kazakistan a inizio 2022. Per quanto riguarda lo spazio post sovietico, la guerra in Ucraina ha gettato dei semi, semi della discordia, di cui si vedranno i frutti più in là nel tempo. Proteste pacifiste, marcatamente filoucraine, hanno attraversato l’Urss da parte a parte, in particolare la Georgia ma anche il Kazakistan e l’Uzbekistan, raggiungendo persino una realtà, che non è post sovietica ma postcomunista, come la Mongolia. In breve, abbiamo una possibile macro-tendenza in divenire che andrà monitorata e seguita: la germinazione dei semi della zizzania piantati da Putin in persona nello spazio post sovietico, che hanno aumentato i livelli pre-esistenti di polarizzazione sociopolitica – anche all’interno della stessa Russia – e di russofobia. Perché conta? Perché trattasi di un malessere e di fratture strumentalizzabili, utili per condurre operazioni di destabilizzazione di intensità variabile – da una breve-ma-intensa sedizione in stile Kazakistan 2022 ad una rivoluzione colorata come Euromaidan.

Quello che succede nell’Est Europa ha fatto passare “in secondo piano” quanto stava accadendo in Kazakistan, ad oggi com’è la situazione?

In Kazakistan la situazione continua a essere tesa, sebbene l’accelerazione della riforma strutturale della società e la guerra in Ucraina abbiano spostato i riflettori da altre parti. Penso che ci siano i margini per considerare la sedizione di inizio gennaio come l’evento spartiacque del trentennio di indipendenza: un’insurrezione di portata nazionale che ha accelerato il superamento della Prima repubblica, che ha mostrato quanta povertà e quanto malessere vi fossero dietro la vetrina luccicante del boom economico e che ha costretto la “bella addormentata” dell’Asia centrale a fare i conti con l’inevitabile competizione tra grandi potenze. Dalla riforma costituzionale a mezzo referendum dipenderà il futuro del progetto di (ri)costruzione nazionale di Tokayev e, a latere, dell’intero Kazakistan: se faro di stabilità, sviluppo e progresso dell’Asia centrale come è stato fino al 2021, o se problematica polveriera né più né meno diversa dagli altri–stan.

 

Francesco Fatone – Pubblicista

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