Un personaggio, tante storie. Publio Fiori, il ritratto di un politico il quadro di un’epoca

Prosegue la serie delle interviste di Maurizio Eufemi, in cui nei ritratti di personaggi politici scorrono le immagini di un cinquantennio di storia italiana

Publio Fiori, classe 1938, è stato consigliere e assessore a Roma, consigliere e capogruppo in Regione, deputato, sottosegretario, ministro dei Trasporti, Vice Presidente della Camera. Subì un grave attentato da parte delle Br nel 1977. Chiamato in causa a proposito della P2 fece causa alla “Repubblica” e fu risarcito.

Lo abbiamo intervistato.

Nel racconto di una vita, molta storia della Dc, le  battaglie di giustizia sociale per i pensionati; d’annata, la lotta alla speculazione edilizia, i giochi interni delle correnti democristiane, l’uscita dal partito in dissenso da Martinazzoli. Un simbolo e una meta: La tunica del candidato, ai tempi dell’antica Roma: la dovevano restituire pulita come gliela avevano consegnata.

Ciao, come stai?

Siamo vecchi, ma combattiamo.

Parliamo di politica?

Non mi va, per il momento non mi va!

Voglio parlare di cose lontane, del tuo avvicinamento alla politica dagli anni CinquantaQuando hai cominciato ?

Appena nato…

Che significa, la famiglia ?

Ho cominciato con l’Azione Cattolica nella parrocchia di Cristo Re di Viale Mazzini, sui problemi sociali. Sono nato a via Oslavia.

Chi c’era con te?

L’assistente spirituale era padre Caporale. Quello che mi ha spinto fu la famosa marcia dei baschi verdi nel 1948.

Fu organizzata dai comitati civici, una marcia famosa guidata da Luigi Gedda; decine di migliaia di giovani marciò attraversando Roma e arrivò a piazza San Pietro dove ci fu la benedizione del Papa Pio XII.

Ci fu questa grande mobilitazione che fu fatta nel 1948 (il 12 settembre del 1948 in occasione dell’80 anniversario della Gioventù italiana azione cattolica (Giac); furono 100.000 i partecipanti con ogni mezzo che giunsero a Roma. L’azione politica dei Cattolici di quegli anni si svolgeva prevalentemente nelle parrocchie.

Era il luogo di formazione della classe dirigenti…

Poi c’erano i comitati civici che rappresentavano il ponte tra la chiesa e la politica. Presidente era Luigi Gedda, presidente romano era Salvatori. Aveva una sede in via del Gesù dove mi cooptò ed entrai a far parte del comitato civico romano.

Hai studiato in Prati?

Ho fatto tutta la mia vita scolastica al “Mamiani”,  il percorso scolastico dalla prima media al terza liceo classico di Via delle Milizie.

Al comitato civico ci fu qualcuno che mi presentò il Dott Tognon, che era il segretario della sezione Dc di via Brofferio, vicino a Piazza Mazzini dove andai ad iscrivermi.  Avevo 16 anni.

Mi iscrissi alla sezione. Quando si stava in campagna elettorale o comunque per qualunque motivo uscivo di scuola dal “Mamiani” e passavo in sezione; mi davano un secchio di colla e i manifesti ad attaccare con un amico i manifesti elettorali della Dc nel quartiere.

La Dc di quel periodo come la ricordi ? Chi erano i riferimenti?

In sezione entrai in contatto con Paolo Cabras, delegato del movimento giovanile a Roma, il quale mi cooptò e mi fece entrare nel comitato direttivo del comitato romano. Facevamo degli incontri con Fanfani, soprattutto, perché in quel tempo Cabras era fanfaniano. Alla prime elezioni politiche si presentò insieme a Clelio Darida, erano entrambi fanfaniani, poi Paolo Cabras andò più a sinistra mentre Darida rimase fanfaniano.

Oltre questi ?

Giorgio Pasetto di cui sono stato amico. Si andava in vacanza a Anzio, nella sua città, poi diventammo amici e cominciammo a lavorare insieme politicamente anche se all’epoca era limitato su Anzio dove fu sindaco. Diventai amico di Giorgio perché lo conobbi da Bartolo Ciccardini.

Che rapporti avevi con Bartolo?

Dopo “Terza generazione”  Ciccardini fece “Europa 70” insieme a Zamberletti e realizzò nella sede di via 4 novembre un movimento giovanile molto bello, molto grande. Lì c’era Giorgio Pasetto. Poi Giorgio fu sedotto da Galloni e andò con la “Base”.

Negli anni sessanta hai fatto la scelta professionale. Sei andato all’avvocatura dello Stato?

Nel ‘64 ho vinto il concorso. Avevo 26 anni.

Ero avvocato. Mio padre aveva uno studio dal 1930 . Mio nonno, Publio, era cancelliere capo della corte di Appello di Roma. Inizio a fare l’avvocato nello studio di papà. Poi ad un certo punto andai a dirigere lo studio a Milano del professor Delli Santi, uno studioso di urbanistica, il primo a studiare il diritto in questa materia,  allora poco conosciuta.

Mentre ero a Milano, mi arrivò la notizia che avevo vinto il concorso all’avvocatura dello Stato per procuratore dello Stato con sede a via dei Portoghesi. Poi dopo tre anni feci l’esame di avvocato dello Stato e fui trasferito a Napoli.

Nel frattempo a Milano avevo conosciuto un gruppo di professionisti, di imprenditori che avevano fondato una associazione: il cips (centro italiano politiche sociali.

Chi c’era?

Di uomini politici nessuno.

Il capo era l’avvocato Bellini e un altro personaggio importante era l’ingegnere Ancarani, i quali si opponevano al ’68, a tutto quello che stava succedendo; c’era l’occupazione delle scuole e delle università, i primi scontri forti, violenti, San Babila!

Loro mi dissero “perché non apri a Roma un centro cips”?

Lo aprii a Roma in viale Carso. D’accordo con Bartolo aprimmo un centro a Roma di cui ero responsabile.

Quindi avevi un rapporto stretto con Bartolo?

Strettissimo. Lì conosco e comincio a frequentare Celso De Stefanis.

Il grande protagonista del congresso di Firenze del 1959?

Quello che su ordine di Fanfani attaccò Segni e Fanfani lo ripudiò! Di fatto entrai a far parte di un gruppo politico Dc moderato perché c’era Bartolo che era stato presidente delle Acli  e poi fu eletto alla Camera nel 1968 e presentò una proposta di legge per il presidenzialismo.

Una linea di modernizzazione dello Stato?

Un’ attenuazione dell’intervento dello Stato nell’economia,  una riduzione delle partecipazioni,  avevo seguito molto gli articoli di Sturzo sul quotidiano Il Giornale d’Italia dove attaccava le partecipazioni statali e sosteneva la moralizzazione della vita pubblica.

Le prime esperienze amministrative locali quali sono state?

Mi preparo per presentarmi alle elezioni comunali di Roma del ‘67 e sembra tutto a posto. L’ultima notte della presentazione Signorello mi toglie dalla lista.

Perché Signorello ti cancella dalla lista?

La verità è che la Dc romana non gradiva che io, ipotetico rappresentante di un certo mondo milanese,  fossi eletto a Roma, poi perché avevamo fatto un bellissimo lavoro e c’era il rischio che potessi essere eletto.

La scusa fu che avevo fatto l’ intervista al Giornale d’Italia. Andai a pranzo con il direttore  Alberto Giovannini in un ristorante sull’Appia dove stava la tipografia e li organizzai una campagna contro il decentramento amministrativo voluto e gestito da Bubbico : lo  accusavo di non essere un vero decentramento democratico, ma solo e semplicemente amministrativo.

I partiti sceglievano i consiglieri circoscrizionali che erano gli uomini di serie B rispetto al partito e poi continuavano a governare i partiti; c’era distribuzione del potere di gestione, ma non la gestione democratica. Questo fu il pretesto. Ma la realtà fu quella.

Non mi presentai, ma continuai a fare politica. Mi organizzai in sezione. Cominciai a cercare iscritti. Mi presentai al congresso romano. Presi parecchi voti. Da solo, con Bartolo, ci affermammo, niente di che, ma con una presenza viva.

Un gruppo di qualità?

C’era Ettore Massaccesi. Era una cosa di livello.

Cominciammo a fare tesserati in tutta Roma . Ci trovammo con un gruppo che a livello di partito aveva un significato.

Ci fu una crisi comunale e ci furono poi le elezioni anticipate. Frequentando il comitato romano entrai in rapporti con Amerigo Petrucci. Mi chiamò e mi disse: “Se ti presenti così ti rifanno fuori. Perché non hai un capo! Io non ti posso ospitare, però siccome c’è Taviani che sta tentando di fare un gruppo, posso chiedere a lui di presentarti come tavianeo”. Così successe. Taviani mi presentò a Gaspari e a Pennacchini che era sottosegretario alla Giustizia e divenni il candidato ufficiale dei tavianei a Roma. Il colpo che mi consentì di avere un ottimo successo elettorale, un colpo di fortuna, fu che Pennacchini organizza una cena. C’era anche Del Prete, il segretario di Gaspari. Eravamo una ventina, c’era anche il notaio Cavallaro, consigliere comunale uscente ed ex assessore. Mi disse:  “Sono amareggiato. Sono un moderato della destra cattolica che ha preso tanti voti; ho tantissimi clienti poi sono reduce dalla Libia. Questa volta Cabras ha imposto la mia cancellazione dalla lista. Ti voglio fare un regalo, Ti regalo i miei voti. Avevo preparato 50 mila buste da mandare ai miei amici. Quelle buste sono pronte. Invece di votare Cavallaro, scriverò votate Publio Fiori come se votaste me!” Il problema erano i tempi. Mancavano tre giorni alle elezioni. ! Bisognava stampare il biglietto, imbustare 50 mila biglietti e affrancare 50 mila buste e poi allora non c’erano i cap.

Bisognava trovare i cosiddetti ripartitori dipendenti delle poste che facevano tanti mucchi a seconda dei centri conoscendo a memoria gli indirizzi in modo che la posta arrivasse a destinazione in tempo utile.

E come si procedette?

Mia moglie organizzò nello studio di Cavallaro una catena di montaggio dove cinquanta ragazzi volontari prepararono il materiale, lo imbustarono e il mio amico delle poste Infantino mi portò sei ripartitori che cominciarono a fare i pacchi per le zone di distribuzione dove avrebbero consegnato la posta in giornata.

Rimaneva il problema dei francobolli.

Infatti. Il notaio mi aveva detto: “Ti do il materiale ma non i soldi della spedizione, tròvati i soldi!”, C’era il problema dei francobolli. A chi li chiedo!

Bartolo mi dette 50 mila lire. Dissi tra me e me “Per risolvere il problema vado al partito, a Piazza del Gesù dal segretario amministrativo nazionale, Filippo Micheli”.

Andai e dissi: “Sono Publio Fiori, vorrei parlare con Micheli”. Il segretario amministrativo c’ha da fa’! Fu la risposta dell’usciere. Per scoraggiarmi mi dissero che era impegnato  – erano le 10 – e che sarebbe uscito la sera tardi!

Mi metto pazientemente in attesa , seduto ad aspettarlo. L’usciere dopo tre ore capì che non me ne sarei andato e mi fece entrare.

“A Fiori, ma che vuoi? ” mi apostrofò Micheli. Raccontai la storia:

“Ho bisogno di 500 mila lire perché sono candidato,  non posso perdere questa occasione e chiedo al partito di finanziarmi”. Micheli si commosse. Mi fece l’assegno con la ricevuta per il contributo elettorale. Era tutto nei tempi.

Come andò a finire?

Presi 18 mila voti a Roma nel 1971.

Presi più voti di tutti gli assessori. Mi trovai con Darida sindaco, ma non si riusciva a fare la giunta. Darida fu costretto a fare il monocolore. Mi dettero l’Onmi (Opera Nazionale Maternità e Infanzia di Roma in Via del Laterano) e mi fece assessore al provveditorato. Incominciai così. Mi diedero l’Onmi perché avevano arrestato Petrucci. Per prima cosa feci un servizio di controllo su tutti gli istituti dove stavano i ragazzini. Ogni gruppo era costituito da un pediatra, un assistente sociale, un neuropsichiatra infantile e un medico generico.

Questi cominciarono a fare ispezioni, ma trovarono situazioni disastrose anche perché non pagavamo. In teoria il Comune avrebbe dovuto dare a questi istituti di suore 100- 200 lire  a bambino, ma manco glieli davamo. Cominciai a girare gli istituti e mi resi conto che non potevano campare così. Chiesi medici psichiatri e fondi.

Il sindaco mi disse “Guarda, non ti posso dare niente”. Allora feci una conferenza stampa e mi dimisi perché non c’era controllo. Non c’era volontà di controllo.

Non c’erano i mezzi per fare le politiche. Il sindaco si irritò. Alla fine mi diede dieci medici scolastici, io aggiunsi dieci assistenti sociali che avevo all’Onmi. Accroccammo una struttura. Cominciammo a fare le ispezioni, ma mancavano i soldi per pagare gli arretrati, aumentare le rette e pagare.

Puoi controllare, mandare gli specialisti che vuoi, se però metti in condizione gli istituti di vivere!

Allora usai lo stesso sistema che avevo usato per i soldi in campagna elettorale. Chiamai il ministro del Tesoro Emilio Colombo. Mi rispose,  ci vedemmo immediatamente. Illustrai il problema. “Mi deve aiutare”. Portai la documentazione. Mi disse “Quanto ti serve?”. “Con 300 milioni pago tutti i debiti, trattano bene i bambini, mangiano,  le suore sono contente, e cosi le ispezioni le posso fare a ragion veduta”.

Colombo chiamò il banchiere del Banco di Napoli Ferdinando Ventriglia. Gli disse: “Questa è la situazione, fai una apertura di credito all’Onmi di 300 milioni”. “Fanno l’apertura ma chi li ripaga – dissi – chi li ridà i soldi”. Rispose “Non ti preoccupare”.

Sì, mi dai i soldi, ma le garanzie? Questo il mio interrogativo.

Cominciammo ad operare. Un bel successo.

E nel frattempo, a livello politico che succede?

Nel frattempo Taviani scioglie la sua corrente e aderisce ai dorotei e io da tavianeo mi ritrovo doroteo. A Roma mi ritrovo con Petrucci che era capo dei Dorotei. Cambiano i rapporti. Questo nel 1973.

Però Petrucci ti aveva dato la soluzione elettorale con Taviani

Visto il successo che avevo avuto con l’Onmi a Roma, Petrucci mi dice “Guarda,  si fa una giunta, un monocolore, è provvisoria, perché non si riesce con il Psi, tu fai l’assessore ai lavori pubblici”. Era il 1974. Cominciano le grandi battaglie per il risanamento delle borgate.

Una tua grande battaglia la distinzione tra edilizia di necessità e speculazione!

Facemmo l’aerofotogrammetria delle borgate. Chi sta nella fotografia viene sanato e fornito con gli allacci alle utenze di acqua gas luce telefono, chi costruisce al di fuori viene demolito e bloccammo così la espansione irrazionale.

Nel frattempo mi capita la grana Armellini. Il sindaco mi manda una ordinanza di demolizione per due palazzi di 8 piani costruiti da Armellini dietro Piazza dei Navigatori. (Via Mantegna ndr)

Se noi vogliamo essere coerenti come partito,  da una parte aiutiamo gli abusi di necessità, ma dall’altra dobbiamo dare un segnale che colpiamo la speculazione. Diedi ordine di demolire i palazzi: succede Il finimondo. Giunte contro giunte. Intervennero tutti e di tutti i tipi. Cominciarono a demolire, ma facevano finta, le imprese romane … andai a vedere sul terrazzo, si procedeva con il piccone piano piano, ma così non si può fare.! Chiamai il direttore, una brava persona . Al mio “Voglio demolire” mi disse “c’è un solo sistema: la palla d’acciaio. Ce n’è una sola, sta a Genova”.  Dissi: “Stanotte la faccia venire a Roma!”

Il giorno dopo alle sei la palla d’acciaio cominciò a demolire e demolimmo un fabbricato di otto piani. Per dirti…

Quando si vogliono fare le cose, si fanno!

Non c’è dubbio. Questo diede uno stop alla speculazione pesante. La gente cominciò a capire che era cambiata la musica.

Intanto maturano le condizioni per le elezioni regionali del 1975.

Petrucci e Vittorio Sbardella mi volevano far fare l’esperienza degli ospedali riuniti. Risposi: Ragazzi non ho l’esperienza, sono giovane, ho trenta anni!

Allora mi dissero: Ti candidiamo alla Regione: capolista Maria Muu e io numero 14 in lista. Maria Muu si lamentò con Petrucci, ma nei miei confronti fu correttissima. Risulto primo. Vengo eletto con 72 mila voti di preferenza a Roma e provincia. C’era Rolando Rocchi con il suo gemello di sinistra di Velletri, Gallenzi.

Mi fanno capogruppo alla Regione. Comincio a lavorare, ma mi rendo conto che non si faceva nulla.

Ma le regioni erano agli albori

Il Presidente era Palleschi, socialista. Non se ne usciva. Parlai con tutti. Nel 1975 io avevo vinto, ma la Dc aveva perso; c’era stato il successo delle giunte rosse. A Roma alla regionali vinse il Pci. Così non va bene. Cambia la società, c’era stato il ‘68, i giovani non ci seguono più. Noi siamo impelagati in cose di altro genere, nel potere.

Ebbi uno scontro con Petrucci. Mi disse “Sei un fenomeno elettorale, ma ancora non capisci la politica”.

Ruppi con Petrucci. Presentai al congresso regionale di partito una mia lista che passò e prese il quorum, entrai in direzione cominciai a fare politica da semplice consigliere regionale e fare battaglie politiche.

D’accordo anche con Rolando Rocchi e con altri cercammo di mettere insieme un gruppo anche perché nel mio discorso alla Regione spiegai le ragioni del dissenso e accusai formalmente i socialisti di non essere all’altezza della loro storia; si andò alla giunta di sinistra. Con il mio discorso di rottura portai la Dc alla opposizione perché ero convinto che la Dc alla opposizione forse avrebbe ritrovato i valori di riferimento e si sarebbe forse allontanata dai progetti di potere. Si sarebbe rigenerata.

Così cominciai a lavorare politicamente, solo che nel ‘77 vengo aggredito dalle Brigate Rosse.

Mi ricordo!

Il 1977 era il periodo più tragico di attentati, bombe, paura diffusa. A marzo ‘78 durante la strage di via Fani e rapimento di Moro ero ancora a letto!

Fui colpito da 10 colpi di mitra.

Ero armato, tirai fuori la pistola e risposi, ma c’era dietro uno nascosto con la skorpion che non avevo visto e che mi ha sparato una raffica alle gambe e al bacino.

Poi si va al ‘79 dove mi presento alle elezioni politiche, dove comincia un’altra storia.

In quel periodo di violenze di terrorismo sanguinario, perché diventi obiettivo? Che giudizio dai?

Il vero obiettivo eravamo noi, la classe intermedia della Dc perché capii che si erano resi conto che dovevano cancellare la Dc; volevano terrorizzare i quadri. Quando mi spararono avevano fatto la scelta; decisero di non sparare ai vertici ma ai quadri intermedi per allontanare la gente dal partito.

Quell’evento ti ha segnato?

Sono stato fortunato perché nessun proiettile ha colpito organi vitali anche se ho due proiettili ancora dentro che è più pericoloso toglierli che lasciarli.

Poi sei entrato in Parlamento nel 1979. Che cosa ricordi di più della Commissione Finanze? Hai fatto sempre grandi battaglie di giustizia sociale sulle pensioni d’annata.

Mi battevo perché ai pensionati fosse riconosciuto il diritto dell’adeguamento della pensione.

Il lavoratore finché è in servizio percepisce gli aumenti sia di salari sia di stipendi sia nazionali sia aziendali. Questi adeguamenti rappresentano il 2 – 3 per cento annuo, il pensionato non li percepiva e non li percepisce. Dopo 10 anni si ritrovava il 10 – 20 per cento in meno.

Cominciai a battere il terreno  con una interpellanza chiedendo l’adeguamento delle pensioni a quelli in servizio.

Vennero dietro parecchi deputati e presentai un emendamento che prevedeva l’adeguamento. Venne da me il ministro del Tesoro Siniscalco e mi disse “Guarda, questo non possiamo farlo se passa questo emendamento salta la finanziaria” . Io risposi che secondo i miei calcoli le cose non stavano in quel modo. Venne anche Fini, mi disse: “Pensaci bene” . Non rinunciai all’emendamento. Spiegai l’emendamento nei 2 – 3 minuti concessi da Casini. Feci un appello spiegando ai deputati della maggioranza le ragioni di giustizia. Fu bocciato per 27 voti. Anche qualcuno della opposizione votò contro. Era voto segreto. Ci fu grande polemica sui franchi tiratori. De Michelis in una intervista fece esegesi dei franchi tiratori riferito a Publio Fiori! Ma Io non ero franco tiratore. Io parlavo liberamente e invitavo a farlo. Non volevamo essere franchi tiratori.

La battaglia sulle pensioni d’annata l’hai fatta anche negli anni Ottanta!

Con il governo Andreotti, quando Cirino Pomicino era ministro alla Funzione Pubblica nel 1988 riuscimmo a far approvare uno stanziamento di 4000 miliardi per dare un contributo per gli adeguamenti ai pensionati. Fu una grande vittoria.

Fu una bella battaglia parlamentare! Hai fatto anche azione molto forte contro le lobby? Sollevasti il problema dei registratori di cassa.

C’era un problema, il ministro delle Finanze Bruno Visentini era stato presidente del gruppo CIR (Olivetti). Mi opposi perché ritenni che fosse un regalo ai gruppi imprenditoriali che avrebbe aggravato il problema del commercio senza risolvere quello della evasione.

Fu un’altra battaglia, forse la più importante, che era quella di far approvare in commissione Finanze un decreto che esentava dalle tasse il provvedimento della fusione di Enimont. Mi opposi; venne da me il mio amico collega Mario Usellini che era responsabile fiscale. Disse: il partito mi dice di chiederti di cambiare posizione perché se non c’è l’esenzione fiscale questa cosa salta ed è un dramma per molti motivi. Risposi “Se il segretario politico Forlani mi chiama e me lo chiede io obbedisco “, ma Forlani non ha mai chiamato.

Allora parlai con Formica, ministro delle Finanze. Sono contrario – dissi – e voto contro anche contro il parere del mio partito. “Se voti contro, voto contro anch’io; che pensi, che il Psi va a destra della Dc?” rispose.

E così Il decreto saltò tutto. Poi scoppiò il casino generale.

In commissione capirono che era una cosa sbagliata copriva altre vicende. Formica chiamò i capigruppo e il decreto non venne approvato dalla Commissione.

Furono dei bei momenti di battaglie parlamentari!

Anche sulla vicenda Mediobanca con la privatizzazione ci fu un odg votato per dare un indirizzo ai parlamentari. Ho fatto tanti anni di vita parlamentare sempre in battaglia.

Eravate una bella squadra in commissione finanze con molte competenze e specializzazioni.

Il lavoro era molto eccitante. C’era gente che capiva i problemi della finanza.

Chi ricordi con più simpatia della squadra Dc in commissione?

Renzo Patria, Mario Usellini e Luigi Rossi di Montelera.

Nei giorni scorsi ho letto un articolo – intervista di Lino Jannuzzi su Lotta Continua con Leonardo Sciascia intorno al caso Donat- Cattin dopo la tragedia Moro, è drammatica nelle previsioni di Sciascia in cui paventa i pericoli per il sistema con la caduta della Dc.

Tutte le vicende che si sono sviluppate testimoniano che chi voleva mettere l’Italia in difficoltà era convinto che doveva colpire la Dc. Perché la Dc? Tutti sostenevano e sostengono che con la Dc c’era stata una grande instabilità di governo, ed è vero, ma nessuno dice che in realtà c’era una grande stabilità politica, perché cambiavano i presidenti del Consiglio, cambiavano i governi, ma restavano le alleanze, soprattutto le linee strategiche di politica internazionale, di politica finanziaria, di politica economica, di politica industriale. Il periodo della Dc ha garantito la stabilità politica e la stabilità economica.

I due grandi attacchi fatti alla Dc: il terrorismo e la vicenda P2

Una mattina mi sveglio e un giornale riporta il mio nome tra gli iscritti alla P2. Io mai iscritto alla P2. Nel 1979 avevo incontrato Gelli che mi fece invitare ad una colazione. Parlammo. Mi spiegò. Non potevo aderire per tanti motivi ma soprattutto non volli aderire perché c’era la scomunica per gli iscritti da parte della chiesa, essendo io cattolico. Mi disse che l’episcopato tedesco stava elaborando il nuovo codice canonico e aveva eliminato la scomunica.

L’ha eliminata,  ma il nuovo codice non è stato ancora approvato. È una proposta.

L’anno successivo eliminò la scomunica della massoneria.

Lo pregai di non insistere.

Mi inviò una lettera in cui scrisse che era dispiaciuto, teneva alla mia amicizia, prendeva atto e rispettava la mia decisione.

Questa lettera portava una data che era posteriore alla data di iscrizione come risultava nell’elenco. Per cui era chiaramente falsa la iscrizione nell’elenco! Chiamai il direttore di “Repubblica” che insisteva e gli dissi “Smettetela perché altrimenti sono costretto a citarvi in giudizio”.

Il giorno dopo pubblicarono la notizia “tra i piduisti eccellenti Publio Fiori”.

Allora citai “la Repubblica”, il redattore e la redattrice, una donna. Loro si costituirono con un gruppo di avvocati famosi, uno studio che difendeva sempre “Repubblica.

Il tribunale dichiarò che non ho appartenuto alla P2 e condannò  “Repubblica” a risarcirmi di 90 milioni di lire e alla pubblicazione dell’estratto della sentenza sulla stessa “Repubblica”. Il giornale non ha appellato questa sentenza per come era chiara, per non correre il rischio di una nuova sconfitta. Mi ha versato i 90 milioni più i 10 di spese dell’avvocato. Ha pubblicato l’estratto.

Ha smesso di rompere e ho avuto giustizia. Dopo quattro anni!

Poi l’hanno smessa. Qualcuno ci ha ancora provato, gli ho mandato la sentenza dicendo: “Smettila altrimenti sono costretto a farti una citazione”. Allora si sono fermati!

Sei un deputato di Roma centro, hai avuto la fortuna di svolgere le funzioni in Campidoglio alla Regione a Montecitorio ai Ministeri e non fare i trasferimenti dal collegio lontano e il pendolarismo. La famiglia l’hai meno penalizzata di altri?

Ho penalizzato la famiglia! Specialmente adesso dopo tanti anni che posso riflettere sul passato con serenità ho questo senso di colpa di avere trascurato la famiglia e i figli. Finisci per non goderla. L’ho trascurata; sempre in giro, sempre in campagna elettorale, c’erano le preferenze, c’erano i problemi, c’erano le riunioni di corrente. Mi porto questo senso di colpa di avere trascurato moglie e figli.

Hai trovato una famiglia comprensiva?

Una moglie non solo comprensiva, ma che mi ha in parte sostituito ed è stata presente – Lei molto, – con i figli. Mi ha sostituito in molte cose.

Se torniamo indietro, arriviamo a luglio del 1993 quando segretario era Martinazzoli il quale lavorava per accordo con il Pci. Non si capiva il tipo di accordo.

Non era la linea morotea, che voleva creare un’ alternativa per evitare la degenerazione di un partito troppo al potere. Lui voleva fare qualcosa di diverso che non ho ben capito. Anziché il Congresso fece una Assemblea all’Eur a luglio 1993 dove nasce la stella Rosy Bindi con l’alto patrocinio di Padre Sorge. Li fu chiarissimo di un rapporto di tipo diverso con il Pci. Cosa talmente chiara che subito io Casini e Mastella lasciammo la Dc.

Hai visto le vicenda di Mannino durata 30 anni e Darida ex Guardasigilli a San Vittore, poi prosciolto e risarcito? Sono state tragedie umane! Già da allora c’era il problema del rapporto tra Pm e Gip. E poi Mafiopoli e Tangentopoli ? Dopo trenta anni emerge la verità ?

La Dc è stata attaccata  su tutti i fronti e da tutti punti di vista. Con la P2,  per la prima volta nella storia della Repubblica il capo del governo non è stato un Dc, ma venne Spadolini. Fu un attacco chiaro alla Dc, ai suoi uomini più rappresentativi.

La cosa a cui tengo molto: dopo 50 anni di vita politica, nove legislature, comprese Comune e Regione, due volte sottosegretario, una volta ministro e una volta vicepresidente della Camera, il mio certificato penale è pulito come quando ho iniziato a fare politica!

In cinquanta anni di vita politica ci sono molti rischi?

Non ho condanne, non ho avuto procedimenti penali, non ho carichi pendenti. Quindi, come dicevano gli antichi  romani, quelli che si presentavano li chiamavano candidati perché consegnavano loro una tunica bianca, candida,  da restituire alla fine del mandato, pulita come gliela avevano data.

È bella questa rappresentazioneE la Dc romana che ricordi ti ha lasciato?

Non mi ha lasciato un cattivo ricordo. Perché la dc romana era in una grande città, con grandi interessi. Ognuno aveva il suo spazio politico i suoi punti di riferimento, il suo elettorato, le categorie, gli ordini professionali.

C’era un pluralismo di azione?

La Dc si era organizzata molto bene, però poi aveva prevalso il tesseramento. Il limite, il punto di crisi del partito; quando tu concentri tutto sul tesseramento è chiaro che va a scapito dei programmi, dei valori e dei rapporti con la gente perché ti preoccupi solo di tessere di segretari, di maggioranze. ecc..

È stato il limite morale, non della Dc romana, ma di tutte la Dc. Quando ci incontravamo con i colleghi delle altre regioni nei congressi nazionali, nei sotterranei del palazzo dei congressi o del Palasport si facevano i conteggi delle tessere e ti accorgevi che tutti avevano questo problema; ognuno doveva portare al capocorrente un certo numero di tessere. Quindi si apriva la caccia alle tessere, ai padroni delle tessere, a chi riusciva a mettere centinaia di tessere. La selezione della classe dirigente ad un certo punto non fu più fatta per una meritocrazia politica e morale, ma per una capacità di aggregare tessere.

 

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