Turchia, il Terremoto ha fatto tremare anche Erdogan. Lo farà cadere?

Corruzione, impopolarità e autocrazia: tre elementi che sono stati accentuati dagli eventi dello scorso 6 febbraio quando la provincia Sudest della Turchia è stata rasa al suolo da uno degli eventi sismici più potenti che il Paese ricordi. Il tutto a pochi mesi dalle elezioni politiche

È notte fonda quando a confine tra la Turchia e la Siria la terra inizia a tremare. Le immagini consegnate alla cronaca sembrano uscite da un brano biblico: case che crollano come castelli di carte creando intorno a loro polveroni, persone che hanno visto tutti i loro aver persi nel giro di qualche ora e vigili del fuoco impegnati nelle ricerche dei tantissimi dispersi. Il numero delle vittime ha continuato a crescere nei giorni successivi al sisma, una scossa talmente potente da spaccare la terra.

 

 

Un terremoto che colpisce-metaforicamente-anche i palazzi del potere di Ankara, visto che in Turchia questo giugno si andrà alle elezioni. Il presidente turco Erdogan dovrà, nel corso dei prossimi mesi, far fronte alla situazione critica nel Sudest del Paese. Un problema che si lega anche ad altre criticità della Turchia che minacciano la posizione dello storico leader.

Nel Paese è in corso una delle più importanti crisi economiche della storia causata dall’inflazione. Lo scorso novembre l’aumento dei prezzi ha superato l’80%, una situazione non troppo dissimile dagli anni Ottanta e Duemila dove il tasso di inflazione ha raggiunto livelli anche più alti rispetto a quelli attuali. Bisogna tenere conto inoltre che la lira turca nell’ultimo anno ha perso circa il 30% del suo valore rispetto al dollaro.

Uno scenario preoccupante nel quale si vedono continui cambi di vertice nella Banca centrale, la principale istituzione economica turca ha avuto cinque governatori negli ultimi otto anni: un chiaro segno dell’ingerenza del governo turco nei confronti della Banca-tanto che si è iniziato a parlare di Erdoğanomics. Una crisi economica che ora è aggravata dal sisma del 6 febbraio e dagli ingenti costi degli aiuti nei prossimi mesi-ed anni-per ricostruire una parte del Paese.

A crollare, oltre all’economia, è anche la popolarità di Erdogan

Il presidente turco è riuscito a vincere le elezioni del 2018 con il 52% dei voti ma negli ultimi quattro anni la sua popolarità è calata ed ora il rischio è di vedere minacciata anche la sua permanenza nelle istituzioni. Nel corso degli anni Erdogan ha sempre cercato tramite riforme di rafforzare la figura del presidente, a pagare è stata la democrazia turca.

Nel 2014 la Turchia iniziò il percorso per diventare una repubblica presidenziale

Non sono mancate critiche per una pericolosa svolta autoritaria da parte di Erdogan nel corso degli anni: tra gli eventi più significativi ci sono state le proteste del 2013 a seguito della chiusura del quotidiano Zaman e il fallito golpe nel 2016 da parte delle Forze armate turche. Erdogan è uscito ancora più vittorioso dai numerosi tentativi di farlo fuori e con la riforma del 2017, in accordo con i nazionalisti del partito Mhp, è riuscito infine a completare il passaggio a repubblica presidenziale della Turchia.

Le accuse rivolte dall’opposizione al capo di Stato turco sono tante: dalle continue censure alla stampa lontana dal suo partito, passando per una progressiva islamizzazione del paese, fino ai numerosi tentativi di eliminare ogni suo avversario politico con artifici giudiziari. Critiche che non sono mancate neanche all’interno dell’Akp,; parte dei membri del partito di Erdogan non hanno mai visto di buon occhio la trasformazione da partito liberal conservatore a formazione nazionalista ed islamica.

C’è poi il doppio volto nella politica estera del capo di Stato turco: nel conflitto russo-ucraino si è proposto come improbabile mediatore tra le due parti arrivando a garantire la conclusione sull’accordo per il grano. Un ruolo che ha quasi oscurato quanto stava accadendo sul confine greco, che ha quasi portato al conflitto tra i due Paesi della Nato. Inoltre nel corso degli anni il turanismo e il panturchismo sono rimasti capisaldi del pensiero di Erdogan, facendo temere ai vicini future escalation di tensione sui confini o volontà di riappropriarsi di territori appartenenti all’Impero ottomano.

Ora lo scontro sarà interno, in un contesto per lo più ostile ad Erdogan che ha anche provato a posticipare le elezioni o ad estromettere dei candidati avversari dalla corsa: basti pensare al sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, considerato da tanti il candidato anti-Erdogan per eccellenza, che è stato condannato a due anni e sette mesi di carcere per insulti a funzionari elettorale e con una successiva sentenza è stato addirittura bandito dalla politica. Ad opporsi al Sultano ci sarà il “Tavolo dei Sei”, una grande coalizione composta da partiti con idee diverse ma unite da un solo obiettivo: chiudere l’epoca Erdogan e riportare la Turchia ad un assetto pre-riforma. Una formazione capace di cambiare la storia delle prossime elezioni ma che potrebbe “annullarsi” una volta arrivata al governo per via delle troppe divergenze ideologiche.

Dopo venti anni di governo l’Akp è seriamente minacciata, il terremoto ha fatto emergere le contraddizioni di un Paese alle porte dell’Europa che sta andando verso l’autarchia da anni, la sentenza passa al popolo turco che dovrà scegliere se riporre la fiducia nell’attuale presidente ancora una volta o cambiare rotta dopo due decenni che nel bene e nel male hanno condizionato la storia del Paese. Un fatto curioso in vista del voto: fu la gestione del terremoto del 1999 di Izmit ad aprire la strada ad Erdogan e all’Akp e potrebbe essere la risposta alla crisi generata dall’ultimo sisma a sancirne la caduta.

 

Francesco FatoneGiornalista

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