Semplificare la burocrazia? É come sgrassare il colesterolo

Nel dotto articolo “Semplificare è complesso” (Corriere Economia, 25 settembre) il professor Sabino Cassese ha spiegato da par suo che “non basta una legge né un tratto di penna” per semplificare le procedure burocratiche. Ed ha dato al Governo, al ministro per la pubblica amministrazione Zangrillo in particolare, “tre consigli per iniziare l’opera”.

Volendo ridurre l’articolo all’essenziale, sembra di poter dire che Cassese, il guru della scienza amministrativa, mette in guardia legislatori e governanti dal confidare nelle virtù taumaturgiche di nuove norme e regolamenti. Fa capire che le procedure amministrative non sono binari separati che vanno dritti alle loro mete, bensì sono “convergenti parallelamente”, direi io parafrasando la reminiscenza morotea quanto mai calzante. In altri termini, seppur più espressivi ed adeguati alla cosa ma meno eleganti, le procedure amministrative sono intrecciate come serpi in amore a primavera. Non puoi sopprimere la cattiva e salvare la buona.

Insomma, tutto si tiene e nulla si risolve a colpi d’accetta qui e là: “La parola e il concetto di semplificazione presentano in modo troppo semplificato un problema estremamente complesso, suggerendo soluzioni elementari.” Sconsolatamente arguto, il Maestro giunge ad una conclusione paradossale, che tuttavia esprime la machiavelliana verità effettuale: “Inesorabilmente, per ogni operazione di semplificazione vi saranno almeno tre nuove complicazioni producendo un saldo negativo.”

La pubblica amministrazione, nel suo insieme, non è una macchina bensì, al contrario, “un organismo che ha complicati sistemi di omeostasi.” Così il bersaglio è centrato e demolito, sebbene con un parolone inusuale che deve essere spiegato perché racchiude tutto il senso dell’articolo e forse dell’intero pensiero di Cassese sull’effettiva riformabilità delle procedure amministrative e, soprattutto, sull’essenza stessa della burocrazia, che giustifica appieno lo scetticismo del professor Cassese.

Devo ricorrere inevitabilmente al vocabolario Treccani, che della voce “omeostasi” dà questa definizione: “L’attitudine propria degli organismi viventi a mantenere in stato d’equilibrio le proprie caratteristiche al variare delle condizioni esterne.” E magari a riacquistarle se momentaneamente compresse, così da poterla assimilare anche ad una “resilienza burocratica”, come piacerebbe a me. In tutti gli apparati amministrativi di ogni ordine e grado s’annida un organo particolare, efficace ed efficiente in special modo e tuttavia ignoto agli organigrammi ufficiali: l’UCAS, Ufficio Complicazione Affari Semplici, che ha il compito di svolgere quella funzione omeostatica individuata da Cassese ovvero di esercitare la resilienza burocratica evocata da me.

La burocrazia, pur quando istituita con le migliori intenzioni e reali motivi, ha vita propria perché la sua “natura creata” non ha più nulla a che vedere con la “natura creante”. La burocrazia, il potere degli uffici, funziona come funziona perché non può proprio funzionare diversamente. Infatti opera in regime di monopolio e non è vivificata dalla concorrenza. Perciò rimane impaludata come l’acqua stagnante. Lentezza, inefficienza, macchinosità appartengono al suo codice genetico, a prescindere dalle capacità personali dei burocrati, i migliori dei quali sono spesso i primi a soffrirne.

Siamo forse l’unico Paese al mondo che ha da lustri, sotto vari nomi, un ministero per riformare i ministeri. È servito a qualcosa? Sconforta che il ministero della riforma burocratica, umoristicamente denominato talvolta ministero della funzione pubblica, o magnifica la sua opera riformatrice, cioè snellente, della quale pochi si accorgono, o critica la burocrazia della quale pur è posto a capo, se non altro in funzione di promozione, vigilanza, supervisione. Purtroppo la burocrazia veloce non esiste, come la Ferrari con le ruote quadrate.

L’unico antidoto contro la burocrazia consiste nell’istituirne il meno possibile, lo stretto indispensabile. Invece accade il contrario. Gli altri rimedi sono palliativi.

L’assetto burocratico non è indipendente dalle idee politiche. Per qualità e quantità la burocrazia è figlia legittima dello Stato illiberale, che sostituisce indebitamente la direzione pubblica alla cooperazione volontaria, il diritto amministrativo, che è pseudo diritto cioè regole di organizzazione, al diritto privato che invece è vero diritto cioè norme generali ed astratte. Non si può chiedere più intervento statale e meno burocrazia, più spesa pubblica e meno uffici amministrativi, più assistenzialismo e meno impiegati. Il primo provvedimento da adottare riguardo alla burocrazia sarebbe l’abolizione del ministero che ne porta il nome. Anche come puro valore simbolico avrebbe un grande significato.

L’amara verità è che, generalmente parlando, gli uffici pubblici giovano più agli impiegati che alle funzioni. Come i ministeri contro la siccità non generano pioggia, così sburocratizzare la pubblica amministrazione equivale a sgrassare il colesterolo.

 

Pietro Di Muccio de Quattro

 

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