In Italia abbandona la scuola uno studente su sei mentre 15 ragazzi su cento sono vittime di bullismo. Alla fine dello scorso anno ben 83 mila ragazzi sono stati bocciati perché non hanno raggiunto la soglia minima delle presenze. Moltissime famiglie non sono in grado di supportare la motivazione allo studio dei propri figli. La competizione prevale sulla formazione e a farne le spese sono quelli che la scuola dovrebbe proteggere: i più deboli.
Dagli scrigni di Montecitorio spunta fuori un progetto di legge, prima firmataria l’onorevole Irene Manzi (Partito Democratico), che intende introdurre due nuove figure professionali in aula per prevenire le difficoltà scolastiche: il pedagogista e l’educatore scolastico. La premessa è semplice: la scuola non è un esamificio. “È il luogo dove si forma la personalità dell’individuo. Qui si incontrano diverse storie, diverse provenienze sociali e familiari, diverse modalità relazionali di cui ogni persona è portatrice”, spiega l’onorevole.
Per riuscire a educare – e non solo a dare voti – serve armonia tra le componenti della comunità. “Pedagogista ed educatore accompagnano e sostengono l’opera della scuola nel rapporto tra i genitori, gli studenti e i docenti, affinché le relazioni educative siano al centro attraverso un intervento sistemico”, afferma Manzi. Gli studenti non devono seguire tutti gli stessi percorsi, ottenere gli stessi risultati, essere trattati allo stesso modo. L’obiettivo del progetto di legge è trasformare l’omologazione in equità: “Crescita personale e sociale, progetto di sé, futuro, educazione del singolo e di tutta la comunità educante”, spiega la deputata.
Al pedagogista tocca elaborare la strategia di inclusione di ciascuno studente, l’educatore lo aiuta invece a superare in concreto le difficoltà. Per iscriversi nell’apposito albo serve la laurea specifica, essere cittadini italiani e non aver riportato condanne penali che comportino l’interdizione dai pubblici uffici. Non c’è spazio per l’improvvisazione. “Tali ruoli, per la loro complessità, devono essere affidati a figure professionali con funzioni specifiche che non coincidono con le competenze dei docenti, i quali sono muniti di titolo di studio idoneo a trasmettere saperi”, spiega Manzi.
Il Belpaese spende per l’istruzione 8.514 euro per studente, il 15 per cento in meno delle grandi economie europee (circa 10 mila euro). Lo stipendio netto di un docente varia dai circa 1300 euro iniziali ai 1800 a fine carriera. Quasi 30 mila insegnanti hanno chiesto di lasciare in anticipo il lavoro: molti di loro a causa delle aggressioni fisiche e verbali che rischiano di dover affrontare ogni giorno in aula. Piero Calamandrei ammoniva già nell’Italia di ieri: “La scuola a lungo andare è più importante del Parlamento, della Magistratura e della Corte Costituzionale”. È qui che si rimuovono gli ostacoli che impediscono ai cittadini di domani di essere davvero uguali. Come Costituzione comanda.
Andrea Persili – Giornalista