C’è stato un tempo, ha raccontato Romano Prodi, in cui si credeva che con il XX secolo la storia avesse raggiunto il suo apice, un tempo in cui Francis Fukuyama sentì di poter proclamare nel suo emblematico libro La fine della storia (1992). Un mondo utopico di pace, sotto la guida di un’indiscutibile superiorità della democrazia liberale degli Stati Uniti d’America. Un libro dopo il quale è “solo” cambiato il mondo.
In un incontro organizzato dall’Accademia delle Belle Arti di Roma e da La Fenice Urbana – Scuola di Rigenerazione Urbana Sostenibile, Romano Prodi è stato invitato a parlare dei problemi dell’Europa in un mondo nel caos, dove, ha dichiarato Giuseppe Soriero, presidente dell’Accademia di Belle Arti, “i giovani non si rassegnano alle guerre e provano un forte impulso verso la pace”.
Un mondo fratturato tra “West and Rest”
“Ci troviamo in una situazione molto dura”, ha affermato Prodi. “Siamo davanti a un mondo bipolare, in cui la tensione fra sistemi democratici e totalitari sta aumentando, le differenze si estremizzano e si spostano sempre di più sul piano ideologico”. È necessario continuare a nutrire speranze in una possibile uscita pacifica, ricordando sempre – ha ricordato l’ex premier – che la democrazia è un valore prezioso che “non può essere esportato con la forza, poiché farlo porta solo a tragedie”.
Negli ultimi anni si sono formati due grandi blocchi e si è diffusa l’idea del “West and Rest”: l’Occidente democratico contro tutti gli altri. Una tendenza che Prodi ha definito pericolosa, specie nella situazione di grande divisione del “blocco occidentale”. Non esistono alternative al “rapporto necessario” tra Europa e Stati Uniti e il deterioramento di questo legame è qualcosa che non possiamo più permetterci.
Europa e Stati Uniti, un legame necessario
Ai tempi di Bush – padre e figlio – e Clinton, tra Stati Uniti ed Europa c’era una profonda cooperazione, l’idea consolidata che esistesse la necessità di “trovare convergenze nei momenti difficili”. Per Obama, ha affermato Prodi, “Copenaghen e Singapore erano la stessa cosa” e l’attenzione iniziò a spostarsi verso le nazioni del Pacifico con l’accentuarsi del conflitto tra Usa e Cina.
Il merito di Biden – che pure ha mantenuto una “posizione economica identica a quella di Trump” – è stato di realizzare la coesione che ha portato alla difesa dell’Ucraina di fronte all’aggressione della Russia. Ora con Trump si apre una nuova fase, poiché “Trump per l’Europa è un nemico, dichiarato” sia da un punto di vista politico che economico.
La sua scelta di porsi come un “concorrente” dell’Europa provoca grossi problemi, perché la necessaria cooperazione fra Stati Uniti ed Europa storicamente non ha alternative. La banca centrale europea ha poteri limitati e, ha affermato, l’aumento delle tariffe sarebbe un disastro, perché darebbe inizio a una reazione a catena che coinvolgerebbe tutti. L’Unione europea non ha altre opzioni: vive di esportazione e non avendo energia “o esportiamo o moriamo”.
Un residuo di imperialismo
Per l’Europa “la politica estera deve essere come un ponte che disciplini il passaggio indicando le regole del traffico”.
L’Ue ha permesso al continente di vivere tre generazioni di pace, di cui è divenuta “strumento e simbolo”. Una volta possedeva un ruolo di equilibrio tra la Cina e Stati Uniti, ma col passare del tempo è stata relegata a un ruolo sempre più marginale. Eppure, da un punto di vista economico, l’Europa potrebbe ancora permettersi un ruolo di primo piano, esibendo unita un prodotto interno lordo pari a quello della Cina. Cosa ha provocato questa perdita di rilievo?
Per Prodi la risposta è una: la divisione. È il “residuo di imperialismo” che ancora permea la cultura di molti Stati europei che, avverte, erode l’Europa dall’interno. Senza un esercito comune e una politica estera coesa, l’Unione europea ha perso capacità di azione sui grandi problemi della contemporaneità. Senza un esercito, ha sostenuto l’ex presidente del consiglio, l’Europa è priva della possibilità di essere una forza di mediazione.
L’esigenza oggi è quella di affermare la propria presenza sullo scacchiere globale e serve per questo un’azione politica unitaria, anche fiscale ed economica. A questo scopo andrebbe rimosso anche il diritto di veto. L’unanimità non è più funzionale ed è urgente passare a un voto di maggioranza.
“L’Europa è ancora il miglior pane che sia mai stato preparato, ma allo stato attuale è ancora mezzo cotto e mezzo crudo e non piace a nessuno. Divisi non abbiamo la forza di imporci in nessuno dei teatri che contano. Non abbiamo bisogno di diventare una super potenza, dobbiamo solo imparare a usare bene e insieme le nostre risorse. Non si tratta di ingigantire la spesa unitaria, ma di fare una spesa comune”.
Quello che è in gioco, ha avvertito, sono “la sopravvivenza e il futuro”; poiché non esiste la possibilità di restare fuori dalle grandi sfide del mondo, è tempo di compiere scelte che contano.