Reportage in Grecia: Egnazia, Laghi Prespa tra storia naturale e ambiente. Parte II

Seconda parte. La prima è stata pubblicata venerdì 5 aprile

Testo:  Maurizio Menicucci

Foto: Francesco Cabras

Leggi qui la prima parte

Ai piedi di Krina, una lunga passerella galleggiante ci conduce ad Agios Achilleios. L’isoletta ha dieci famiglie residenti, un piccolo monastero omonimo a sovrastar le case, numerose sacre rovine e una chiesa del 1000, bella e diroccata. Seduta su un muretto, la giovane Elisavet Manou intona canzoni malinconiche, accompagnandosi con uno stumento a cinque corde. “Non è un mpousouki, ma un mandolino”, mi ammonisce severa. Mi ha letto nel pensiero.

 

Mentre Francesco scatta foto, le cito Teocrito, il poeta greco cantore della vita campestre, e lei mi guarda stranita. Nella vita, ci dice, fa il medico a Patrasso e vorrebbe venire in Italia. Non a curare; a cantare. Conosciamo qualcuno che le organizzi una tournée? Forse sì, visto che suona e canta anche il rebetiko, un tipo di musica popolare greca oggi molto contaminata dal blues.  In ogni caso, l’idillio, nel senso di quadretto bucolico, resta notevole. Lo completano, tenendo l’isola pulita come un prato inglese, una cinquantina di strani bovini, nani e con piccole corna, caratteristici del Prespa, nonché oggetto di grande attenzione zootecnica, e alcuni bufali d’acqua, che si vuole eredi di quelli arrivati in Grecia dalla Persia con l’esercito di Serse.

Il giorno dopo, giriamo intorno al Lago Piccolo e, lasciata la macchina nella borgata di Microlimnì, imbocchiamo un sentiero a mezza costa che mena al punto più interno e stretto del Piccolo Prespa, verso il territorio albanese. È certamente il tratto più isolato e suggestivo del lago. La fascia di acquitrini, fitta ed estesa, reclama passi lenti e meditati e fotocamera pronta. Al tramonto, gli aironi bianchi nascosti tra le canne si levano all’improvviso, come fantasmi irritati, schiaffeggiandole rumorosamente.

Ma gli orsi? A dispetto dei cartelli sparsi un po’ dovunque, un ristoratore di San Germano, ci racconta che sono rari, e non si sono mai verificati incidenti. Però, parlando con altri, scopriamo che, forse per minimizzare il problema, non ha detto la verità. Le aggressioni ci sono state, ma da parte dell’uomo. Almeno quattro esemplari, tra cui un cucciolo, uccisi a fucilate, negli ultimi due anni, nella provincia di Florinas. Le associazioni che lo proteggono, Arktouros e Callisto, partner nel progetto europeo LIFE Bear-Smart Corridors tra Olanda, Italia (Parco Maiella) e Grecia, sono molto preoccupate e stanno moltiplicando gli sforzi – e i cartelli – per indurre gli allevatori a metodi più dolci contro l’intraprendenza dei plantigradi.

Le due zoologhe del parco ci dicono che nella provincia dovrebbero essere una settantina – pochi, insomma – e molto schivi. La tentazione di andare a cercarli, però, per noi è forte. Se provassimo in alto, dove il disturbo è pari a zero, allora, forse… Detto, fatto, ci avventuriamo su per una strada bianca, verso le pendici che fanno da cortina ai laghi. Dopo venti minuti, arriviamo all’ennesima chiesetta. È tutta in legno, come al solito, perfettamente curata dalla pietà popolare. Attorno, nessun segno di vita umana. Saliamo ancora un po’, fino a un pratone panoramico. Due caprioli si rifugiano nel bosco, ma i rami spogli non riescono a nasconderli. Aguzzando lo sguardo per seguirli sul versante di fronte, Francesco crede di scorgere qualcosa che si muove. Scruto anch’io, ma non vedo nulla. Lui inquadra il punto con il teleobiettivo, e finisce per ricredersi. “È solo un cespuglio mosso dal vento”.

Ripartiamo con l’auto, ma dopo dieci metri mi blocca: “È lì”. Punta la fotocamera, scatta una sequenza, poi me la passa. Lo vedo. È un orso, gigantesco, probabile sia un maschio, inspiegabilmente in forma per essere appena uscito dal letargo. La groppa argentata ben in evidenza, scende lentamente verso di noi, che ci avviciniamo un po’, ripetendoci l’un l’altro a mezza voce: se carica, buttiamo via la camera, che può sembrargli un’arma, e ci sdraiamo proni, senza muovere un muscolo. Ma non ce ne sarà bisogno.

Dicono che gli orsi hanno occhi deboli. Questo, però, ci ha visto benissimo anche se siamo a duecento metri. Si ferma qualche secondo con il muso per aria, forse perché in realtà quel che ‘vede’ è il nostro odore. Quindi si volta, ci osserva e caracolla via senza fretta, sparendo dietro a una costa rocciosa, in fondo alla valletta che lo separa da noi. Ci avviciniamo di una cinquantina di passi e sediamo su un sasso, aspettando che ricompaia, ma lui non lo fa, e non proprio è il caso di accorciare ancora le distanze. Abbiamo una mezza dozzina di immagini, anche se sgranate, ma sono un documento, e quando ritorniamo a San Germano, tutti vengono a guardarle e a complimentarsi.

 

Foto di Francesco Cabras

 

C’e gente, qui, che davvero non l’ha mai visto in carne e pelo, per non parlare di tanti fotonaturalisti, che invano gli fanno la posta da anni. Siamo stati fortunati, sì, però, agli occhi dell’orso, possiamoci anche vantare una benemerenza: abbiamo letto un libro, Storia di un Re Decaduto, di Michel Pastoreau, che parla proprio di quando, prima che la Chiesa lo detronizzasse in favore del leone cristiano, l’orso era stato per millenni il monarca pagano della foresta. Quella di latifoglie, ovviamente. Se non l’avete letto, è inutile togliervi il piacere di farlo, magari come prologo a una visita di questa Macondo dei Balcani.

 

Tuttavia, per quanto isolati, spopolati e indenni da inquinamento, anche sui laghi Prespa, incombono i pericoli del nostro tempo. La neve, che una volta copriva la regione da novembre a marzo, ora non cade più e, come abbiamo visto, l’altezza dell’acqua è calata di due o tre metri in dieci anni e continua. Ma la causa non è solo il riscaldamento globale. C’è anche il fatto che il turismo non basta a sostenere l’economia. Così, gli agricoltori accampano il loro diritto a irrigare e le tre nazioni che si dividono i bacini li devono assecondare, altrimenti le ultime decine di giovani rimasti se ne andranno a cercare fortuna altrove.

Nella locanda di San Germano, una foto del 1918 mostra tutti i maschi di ritorno dalla guerra. “C’erano tremila residenti – racconta l’oste – ora sono duecento”. La sfida è mantenere in equilibrio tutto, natura ed economia, uomo e animali, con investimenti e progetti di sviluppo rurale e turistico sostenibile, e l’Unione Europea l’ha raccolta. Ma non sarà facile, perché, come rifletteva Athanasios Porfyris a Igoumenitsa, la tradizione punta sempre i piedi contro i cambiamenti. E se gli esperti avvertono che i laghi Prespa, senza razionalizzare il prelievo idrico, potrebbero diventare l’Aral dell’Europa, non tutti gli abitanti sembrano così convinti dell’allarme. Vangelis, che da marzo a ottobre ritorna da Salonicco ad Agios Achilleios, nella casa di famiglia trasformata in un piccolo albergo, trova conforto ai timori climatici nella storia dei luoghi.

“È vero, negli anni 60, le case, che ora sono lontane, erano lambite, e dopo le piogge, anche semisommerse dall’acqua. Però lì sotto, a pochi metri dalla riva, c’è un intero villaggio. Questo vuol dire che le preoccupazioni sono esagerate, i laghi Prespa hanno sempre fluttuato su e giù. Oggi loro massima profondità è una cinquantina di metri, ma probabilmente in qualche periodo non tanto remoto possono essersi ridotti a una palude, così come ci sono le tracce di livelli molto alti, anche ottanta metri più di adesso. Alla fine, la natura sistema ogni cosa”.

Una convinzione molto simile al fatalismo, che nella storia turbolenta delle terre del Prespa, fino al secolo scorso in bilico tra albanesi e serbi, greci e turchi, cristiani e islamici, e oggi incerta tra passato e futuro, potrebbe essere l’unica, vera tradizione con cui la tutela dell’ambiente, che è il vero tesoro di questi luoghi, dovrà fare i conti.

 

 Maurizio Menicucci – Giornalista, autore di noti reportage per la Tv  e riviste specializzate,  su temi naturalistici, ambientali, archeologici

Francesco Cabras – Fotografo e regista. Ha al suo attivo numerose mostre personali. È autore di documentari, videoclip musicali e video arte. www.francescocabras.com

Guarda la gallery completa:

 

Per capire l’arte ci vuole una sedia | | “Bisogna immaginare Sisifo felice”
Per capire l’arte ci vuole una sedia

Cédric Charron in Peak Mytikas (On the top of Mount Olympus). Ph.: ©Hanna Auer     Read more

Calabria Italia, il nuovo libro di Santo Strati. L’orgoglio e il riscatto di una gente tenace

“Calabria - Italia”, è l’ultimo libro del direttore di “Calabria Live”, il giornalista calabrese Santo Strati, Vincitore del Premio Rhegium Read more

Domani si apre la Biennale di Venezia. Chiuso il padiglione di Israele

Se chiudere un padiglione alla Biennale di Venezia è un gesto politico anche l’arte allora è (sempre) politica. Ci vorrebbe Read more

Per capire l’arte ci vuole una sedia: rubrica di Floriana Conte | | Noi credevamo: reportage da un viaggio in Calabria
Per capire l’arte ci vuole una sedia

Isabella ha 24 anni, di mestiere fa la regina, aspetta tra tre mesi il suo quinto figlio. Suo suocero Luigi Read more

Tags: ,
Articolo successivo
Marlon Brando, un divo tormentato. Apocalypse now e l’orrore della guerra
Articolo precedente
Reportage di un viaggio in Grecia: Egnazia, i laghi di Prespa, tra storia e ambiente. Parte I

Menu