Reportage di un viaggio in Grecia: Egnazia, i laghi di Prespa, tra storia e ambiente. Parte I

Oggi pubblichiamo la prima parte di un affascinante reportage di viaggio, che è anche un racconto e un tuffo nel paesaggio naturale ellenico. Lunedì la seconda parte.

Testo:  Maurizio Menicucci

Foto: Francesco Cabras

Leggi qui la seconda parte

“Un tir che sbarca a Igoumenitsa, in nove ore arriva a Istanbul. Perciò, se parte dall’Italia sui nostri traghetti superveloci, in poco più di un giorno può andare dall’Europa all’Asia, passando di qui”. Quale sia, questo ‘qui’, di cui parla con tanto trasporto, nel vero senso della parola, Athanasios Porfyris, giovane amministratore delegato del Porto di Igoumenitsa, me lo mostra su una mappa della Grecia. E la strada che scorre sotto il suo grosso indice di ex rematore agonista in queste acque omeriche da cui siamo appena usciti, è la via Egnazia: proprio quella che il proconsole di Macedonia, Gneo Ignazio, cominciò a lastricare nel 146 avanti Cristo, proseguendo oltre il mare la via Appia, per assecondare i progetti romani di conquista dell’est a mano a mano che diventavano realtà.

Oggi, Egnazia è il nome di una nuovissima infrastruttura greca a tre corsie, ben connessa con il resto dei Balcani, ma è rimasta fedele all’antico tracciato, che s’incunea, testardo, tra le montagne dell’Epiro e della Macedonia e prosegue per millecento chilometri, fino al Bosforo e al Mar Nero. Ed è su questa ‘autostrada della Storia’ che la Grimaldi ha puntato, nel 2023, acquistando da Atene, per 40 anni, il 67% del Porto di Igoumenitsa, dalle cui banchine Egnatia parte direttamente.

“Diventerà – ci spiega Porfyris – il maggior approdo turistico e commerciale dell’Adriatico”. In sostanza, un triplo terminal globale in posizione sempre più strategica al crocevia delle principali rotte del Mediterraneo, dunque capace di trascinare lo sviluppo dell’intera Prefettura di Thesprotia, con le sue tre marine da crociera, anche queste appena finite nel carrello della spesa del gruppo italiano insieme al porto cretese di Eraklion.

Molto ‘romano’ anche nell’ambiziosa modernità delle soluzioni, il progetto, da un miliardo di euro, intende trasformare lo scalo di Igoumenitsa in un ‘ecoporto’, il più verde del Mare Nostrum, totalmente ‘decarbonizzato’ e con i massimi livelli di autonomia energetica rinnovabile. “L’obiettivo – promette il giovane Ceo – sarà raggiunto entro due anni, grazie a un sistema integrato di pannelli fotovoltaici montati sugli edifici dei terminal, energia termica scambiata dal mare e ‘cold ironing’, che vuol dire alimentare dall’esterno le navi in banchina, evitando, così, le pesanti emissioni dei loro i motori. “Anche i traghetti, comunque, stiamo pensando a come renderli puliti: se non sarà possibile convertirli subito all’idrogeno verde, li alimenteremo con gas naturale liquido, che è molto meno inquinante”.

L’ostacolo maggiore? “Non è la rivoluzione tecnologica a tappe forzate – sospira  Porfyris – ma la mentalità: convincere chi ha lavorato tutta la vita per il settore pubblico che nel privato si ragiona, e si opera, agli antipodi”. Conclusione da ingegnere, qual è. “Non è un dettaglio, ma uno scoglio, e non dobbiamo solo superarlo: dobbiamo proprio rimuoverlo”.

In attesa dell’efficienza sostenibile delle operazioni a terra, la velocità in mare è già notevole, anche se quella che abbiamo percorso non è certo la rotta più breve tra la Penisola  e la Grecia

Salpati da Ancona alle 20.30, sulla Kydion Palace, una delle ammiraglie del gruppo Grimaldi-Minoan, Francesco, con uno zaino carico di obiettivi, non solo in senso fotografico, io, con penna e bloc notes, alle 16.30 del giorno seguente – ora greca, una in più – siamo a Igoumenitsa.

Poi, è subito Egnazia, con le sue cento ‘porte’, archeologiche e paesaggistiche, come le vicine le Meteore, che aspettano solo di essere aperte. Il nostro viaggio, però, più che alla Storia umana, punta alla storia naturale. E in trecentoventi chilometri, intervallati da una cinquantina di cartelli con la sagoma presaga di un’orsa adulta e del suo piccolo, ci porta per boschi, vallate e acque (tante, una sorpresa, per ex liceali memori degli Elleni ‘marinai per sfuggire a una terra avara’), al confine tra la Grecia, l‘Albania, e la Repubblica di Macedonia.

Superata anche Florinas, ultima città prima del ‘grande vuoto verde’, compaiono, infine, all’orizzonte i laghi di Prespa, il Grande e il Piccolo. Estesi insieme poco meno del Garda, di origine tettonica, hanno dai Quattro ai cinque milioni di anni. Probabilmente sono i più antichi d’Europa, certamente i più nascosti. L’atmosfera, comunque, è questa, ancestrale, e non stupisce che qualche buontempone vi abbia appena fotografato e, va da sè, subito ‘socializzato’, un presunto fratellino del mostro di Loch Ness: peccato che il novello dinosauro macedone sia la fotocopia, nemmeno un po’ modificata, di quello scozzese.

La zoologia dei laghi Prespa, però, non ha bisogno di presenze criptiche o stravaganti. Tra gli studiosi e gli appassionati di natura, la loro fama è altissima, quanto inesistente per il turismo di massa. E in fondo, per la medesima ragione: la ricchezza di animali e vegetali, e in particolare di uccelli – sono uno dei paradisi europei del bird watching – si accompagna alla scarsità di quasi tutti quegli agi che fanno assomigliare una vacanza a uno spot pubblicitario. Anche se poi, ma è meglio non dirlo troppo in giro, la cucina delle ‘tabernas’ locali è ottima, la pulizia, sorprendente – introvabili sacchetti e bottiglia di plastica – e il comfort delle camere non fa rimpiangere il piacere del paesaggio, specialmente al momento di pagare. Per un pasto, mai più di 25 euro, con ottimo vino locale. L’unico articolo che può essere costoso sono i fagioli, senza dubbio squisiti, del Prespa: on the road, li devi acquistare a dozzine, come le ostriche, ma li puoi trovare a un quarto del prezzo nei piccoli empori di ogni villaggio.

   

In quello di Psarades, arriviamo che è notte. Nascosto in una profonda insenatura del ‘Megali Limni’ (il Lago Grande), sembra un porto baleniero in disarmo. La stanza prenotata è spartana, ma caldissima e non chiediamo altro: a 900 metri di quota, tra cime ancora imbiancate, la primavera è incipiente solo per gli uccelli. All’alba, decine di volatili cominciano a ciarlare. La sonorità dei corvi e delle gazze, in particolare, sembra differire da quella italica: la voce è la stessa, ma è come se parlassero un’altra lingua, e gli esperti dicono che è proprio così: sono animali culturali, paese che vai, versi che trovi.

Con la luce, l’impressione su Psarades non cambia: la linea singhiozzante di una passerella insegue l’acqua che continua a ritirarsi, lasciando orfano di vita il fondale fangoso. All’interno della locanda, una gigantografia conferma che nel 2010 il lago arrivava almeno 500 metri più in là. Anche i pesci scarseggiano, si lamenta Costas, mentre attracca al molo. Oggi, comunque, è andata bene: nella rete ha trovato una ventina di carpe sui due chili. Da noi, sono pesci snobbati: tante spine e sapor di fango. Qui nel Prespa, sono la maggior risorsa ittica, che le acque pulite e la frittura a fette rendono, comunque, apprezzabile. Quanto alle altre specie, quelle più piccole le fanno salare e seccare al sole infilate sulla corda, a mo’ di collane; altre, come i cavedani, sono una pesca di stagione. Per la qualità, vedi alle voce carpe.

Dopo una colazione con yogurt locale, gustoso e tanto duro da poterlo spalmare, si va in barca ai romitaggi ortodossi, eretti dopo la presa di Bisanzio da parte dei turchi, che però raramente si spingevano a dettar legge in queste plaghe dimenticate da Allah. Le pareti carsiche, a picco sul Lago Grande, sono costellate di cavità che i monaci scampati alle scimitarre avevano trasformato in celle, costruendo al loro interno monasteri in sedicesimo affrescati con magnifiche icone policrome.

La prima stazione è il Tempio di Panagia Eleusa, che è del 1400. Segue il Tempio della Metamorfosi, o della Trasfigurazione, il più importante della zona, nei cui anfratti vivevano 20-25 eremiti. Che fine hanno fatto? Stefanos, il barcaiolo, ha mandato a memoria in inglese una sola risposta supervalida: “Se ne sono tornati a Costantinopoli negli anni ’50”. Difficile accumulare tanti strafalcioni in dieci parole, ma è anche vero che una domanda non è mai giusta, quando è posta alla persona sbagliata.

In ogni caso, antiche o recenti, le chiese s’incontrano a decine, intorno al Megali Prespa e sulle alture che incoronano i laghi. Sempre aperte, conservano piccoli tesori di artigianato, dipinti, oggetti rituali, offerte, che nessuno, in tutta evidenza, si sognerebbe di rubare e perciò, nessuno di proteggere. E che questo colpisca il turista italiano misura senza tanti giri di parole la distanza di civiltà, prima ancora che di religiosità, tra loro e noi.

In una di queste chiesette, due donne posano per un servizio fotografico in costume locale. Colori accesi per la giovane, molto più sobri per la maritata, entrambe sfoggiano alla vita grandi umboni d’argento istoriato. “Servivano – ci viene spiegato – a difendere i grembi delle donne dai colpi delle soldataglie che ogni tanto arrivavano qui e, in nome di religioni e culture differenti, imponevano la stessa pulizia etnica”.

Nel pomeriggio, costeggiando campi coltivati, dove uno stormo di oche selvatiche festeggia il probabile termine della migrazione, andiamo a Lamios. Lì, in un grande casale in pietra e legno, tipico della zona, c’è la sede della Società per la Protezione della natura del Parco Naturale di Prespa, che comprende quasi tutto il Mikrì Limni’, il Lago Piccolo.

L’ente è nato una trentina di anni fa, dall’unione di varie associazioni ambientaliste internazionali ed elleniche, che dagli anni ’80 si erano mobilitate per bloccare lo sfruttamento intensivo della acque dei due laghi e dei loro emissari e in parte ci sono riuscite. Due naturaliste, Irene Koutseri e Julia Henderson, ci riassumono il valore scientifico dell’area: il 30% della flora greca – 800 specie vegetali – con un centinaio di endemismi; 272 specie di uccelli; 4 pesci endemici, tra cui un barbo e una trota, che si riproduce soltanto nelle fredde acque del rio di San Germano (Agios Germanos). Ne sentiamo il suono appena oltre la finestra, è uno dei cinque o sei che alimentano, ma sempre meno, il sistema lacustre. Le lontre sono comuni. Mancano quasi del tutto i pesci carnivori, che invece si ritrovano nel terzo lago del sistema: quello di Ohrid, in Albania. Più basso di duecento metri, Ohrid è tributario del lago Piccolo, che a sua volta versa nel Grande attraverso una rete di canali anche ipogei, probabilmente collegati all’Adriatico.

Questo, aggiungono le nostre ospiti, spiegherebbe la misteriosa presenza dell’anguilla, che qui arriva a taglie insolite, forse perché, incapace di trovare la strada del ritorno in mare quando è ora di riprodursi, è condannata a crescere. Considerando, poi, orsi, lupi, gatti selvatici, tassi, martore e faine, si può dire che il Prespa rappresenta il catalogo completo dei mammiferi europei.

La zona più ricca di vita è Koula, la fascia di acquitrini che separa i due bacini, dai  cui canneti si leva una polifonia brulicante a ogni ora del giorno. E’ il regno dei pellicani, quelli comuni, e quelli dalmati bordati di nero, che con circa 300 coppie formano la maggior colonia europea. Quando non veleggiano ad alta quota con le loro ali, ampie fino a tre metri e mezzo, scivolano lenti e grevi a pelo d’acqua, sfruttando lo strato di aria più calda che ristagna sulla superficie. La cautela con cui si tengono distanti dagli obiettivi, lascia intuire che relazioni non troppo cordiali con gli umani, a causa di quella sporta sotto il becco dove ogni pellicano riesce a stipare fino a 13 litri di acqua e pesce, arando il lago come un Canadair.

E’ vero che la maggior parte degli uccelli acquatici vive di pesce, e qualcuno, come i cormorani maggiore e pigmeo, si abboffa da non riuscirne quasi a volare, ma un pellicano arriva a 15 chili, con un appetito proporzionale al suo peso. E anche lui, dopo ogni pasto, sembra che debba imparare di nuovo a volare.

           

Per curiosare nella città-canneto di Koula, saliamo a metà pomeriggio in cima alla collinetta di Krina. Di ora in ora, il passaggio dei migratori sia fa più intenso: oche, cicogne, ardeidi, ibis, svassi, folaghe, citando i pochi di un repertorio accessibile solo agli specialisti, soprattutto quando si tratta di dar nome a decine di piccoli passeracei. Tra due settimane, quando il traffico aereo toccherà il massimo, e arriveranno le anatre – migliaia, con decine di specie – non è difficile immaginare che tutti si prenderanno a spintoni per un nido al sole, che ora sta declinando. Scendiamo anche noi.

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Maurizio Menicucci – Giornalista, autore di noti reportage per la Tv e riviste specializzate, su temi naturalistici,
ambientali, archeologici


Francesco Cabras –
Fotografo e regista. Ha al suo attivo numerose mostre personali. E’ autore di documentari, videoclip musicali e video arte.  www.francescocabras.com

 

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