Quella perenne illusione sul tempo e le guerre

Si confida sempre che con il tempo possa tensioni e conflitti mai risolti si possano sanare da sè

L’eterno conflitto israelo-palestinese, l’aggressione della Russia all’Ucraina, le ininterrotte tensioni tra l’Armenia e l’Azerbaijan e decine e decine di altre guerre attualmente in corso, o pronte a deflagrare, ci dimostrano per l’ennesima volta che “la storia non è finita” (riprendendo il concetto di Fukuyama), ma soprattutto che continuare a ignorarla, con la speranza che le situazioni di contrasto tra vari paesi, popoli ed etnie possano placarsi da sole con il semplice passare degli anni, costituisce un’effimera illusione, oltre che un errore di portata epocale. Illusione che lentamente ci sta riportando alle atroci conflittualità del secolo scorso, con le annesse brutalità che speravamo di non rivedere mai più.

 

 

 

 

L’attacco del 7 ottobre perpetrato da Hamas nei confronti di Israele ha riportato nell’agenda internazionale uno scontro storico (mai fermato né tantomeno lontanamente risolto) che va avanti da oltre settantacinque anni e, come accaduto con la guerra russo-ucraina scoppiata il 24 febbraio 2022, l’opinione pubblica, il mondo della politica e del giornalismo ha iniziato a separarsi, al solito, in due fronti.

 

 

 

 

Chi senza se e senza ma a favore dello stato di Israele, chi eterno sostenitore della causa palestinese, arrivando persino a giustificare gli eccidi compiuti da Hamas.

Quasi nessuno si è però soffermato su un aspetto che in questo conflitto, come nella maggior parte delle guerre attualmente in corso, o pronte in qualsiasi momento ad esplodere, ancora una volta è risultato decisivo, ossia l’effimera speranza nutrita continuamente dai players internazionali che il tempo sarebbe stato in grado di far diminuire le tensioni, che le differenze etnico-religiose-culturali con il passare degli anni sarebbero venute meno e che popoli da sempre in contrasto l’uno con l’altro si sarebbero tra loro assimilati.

Ma soprattutto l’assurda convinzione che lasciare continuamente conflitti e tensioni in giro per il mondo senza una soluzione del tutto soddisfacente, senza una pace in grado di soddisfare (attraverso compromessi e reciproche concessioni) ogni parte in causa, e senza eliminare il rischio che il fuoco si riaccendesse all’improvviso, porti con il passare degli anni ad un’automatica soluzione di tutte le lacerazioni e dei dissidi tra vari stati.

Il conflitto israelo-palestinese di oggi è, infatti, figlio di un accordo inizialmente non accettato e, successivamente, mai rispettato (né mai realmente voluto da entrambe le parti). È sempre stato figlio di una rassegnazione ad una situazione di conflitto tra due popoli, lasciata lì con la consapevolezza che ogni tanto le tensioni si sarebbero accese, ed avvolta all’assurda speranza che quell’odio non deflagrasse mai in qualcosa di più grande, mettendo comunque in conto che qualche guerra in quella porzione di territorio sarebbe potuta scoppiare.

Abbiamo, infatti, avuto la guerra del ’48, poi la crisi di Suez nel 1956, dopo undici anni la guerra dei Sei giorni e poi quella del Kippur. Senza contare le intifade, gli scontri che ogni giorno da settantacinque anni fanno vittime da tutte e due i lati e gli attacchi terroristici in giro per il mondo. Settantacinque anni di guerre e di civili uccisi, lasciando che esclusivamente l’odio dominasse questo conflitto lasciando per terra centinaia di morti l’anno. Senza che mancasse, al contempo, il solito filo di ipocrisia.

Ci siamo, infatti, nel corso degli anni, nascosti dietro tante illusioni. Una dietro l’altra. Dalle numerose e mai applicate risoluzioni dell’Onu, fino ad arrivare all’ultima grande illusione rappresentata dagli Accordi di Abramo, che nella mente degli Usa avrebbero dovuto stabilizzare il Medio Oriente, ma in realtà hanno messo in secondo piano (per usare un eufemismo) la questione palestinese e la creazione dei due stati, allontanando di conseguenza la risoluzione di uno dei conflitti più importanti della regione mediorientale. Accettando quella situazione, sperando e illudendosi (ancora una volta) che con il tempo i problemi legati al territorio che fu, fino alla fine della Prima guerra mondiale, parte dell’impero ottomano, e fino al 1948 sotto il mandato britannico, si rivolvessero da soli.

Ma questo comportamento, volto ad ignorare le tensioni in giro per il mondo, dimenticandone la storia ed aspettando seduti che si risolvano nel tempo o, inermi, che scoppi un altro conflitto, riguarda attualmente diverse nuove possibili e potenziali guerre in varie zone del mondo, tra cui alcune vicinissime a noi.

Infatti, se per il conflitto armeno-azero, dove in corso c’è addirittura una pulizia etnica, ormai rassegnati, parliamo di un teatro di guerra da troppo tempo totalmente ignorato, il conflitto irrisolto tra il Kosovo e la Serbia è un’altra bomba a orologeria pronta ad esplodere.

Anche in questo caso, infatti, tra ipocrisie, ed effimere illusioni, il rischio che tra un po’ di tempo si possa commentare una nuova guerra nel cuore dell’Europa, si fa sempre più alto, con un atteggiamento da parte della comunità internazionale, anche in questo caso, di semplice rassegnazione.

Ora, partendo dal presupposto che prevenire conflitti è un’impresa complicata, fatta di compromessi, dove la diplomazia gioca un ruolo delicato, la storia (anche se, come diceva Gramsci,  non ha scolari) qualcosa dovrebbe pur insegnare. Lasciare sopiti conflitti e tensioni, soprattutto in luoghi in cui vi sono contrasti etnici-religiosi, trascurando e ignorando i segnali di pericolo che arrivano quotidianamente, non può portare in futuro (non troppo lontano) altro che nuove feroci guerre come quella che stiamo vedendo da oltre due settimane.

E la comunità internazionale dovrebbe realmente intervenire, farsi sentire, porre soluzioni vere, concrete e realizzabili, anticipando i tempi, intervenendo ex-ante. E un ruolo dovrebbe iniziare a giocarlo anche l’Ue, che negli ultimi ottant’anni non è mai stata protagonista in queste partite. Eppure, qualche strumento lo ha, ed è arrivata l’ora che lo metta in campo, per provare a porre fine a quell’orribile idea, ormai sempre più frequente, che la guerra, in determinate zone, sia la soluzione primaria per risolvere certe controversie.

 

Francesco Spartà – Funzionario, giornalista pubblicista e Tutor Accademico presso Luiss Guido Carli

 

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