A un tizio che lo contestava dal loggione, Ettore Petrolini dal palcoscenico replicò: “Io non ce l’ho con te ma con quello che ti sta accanto perché ancora non ti ha buttato di sotto”.
Allo stesso modo, non possiamo rifarcela con i senatori a vita schierati a sinistra, per il semplice motivo che in democrazia ognuno la pensa come vuole. Ma possiamo avere qualcosa da ridire, con rispetto parlando, nei riguardi di quei presidenti della Repubblica che nelle nomine non hanno usato il bilancino e hanno insignito lor signori del laticlavio non solo per le loro indiscusse benemerenze ma anche perché avevano la stessa concezione del mondo – diciamo così – degli inquilini del Quirinale. Del resto, talis pater, talis filius.
Salvo lodevoli eccezioni, le cose sono andate sempre pressappoco così. Sempre. Tant’è che nelle votazioni fiduciarie, si trattasse di mozioni di fiducia o di questioni di fiducia, i predetti senatori con il torcicollo incorporato a manca hanno spesso e volentieri detto di sì ai governi di sinistra. Neppure fossero stati illuminati dallo Spirito santo. Mentre quando si trattava di concedere una fiducia sia pure stiracchiata a governi di destra, o c’era un fuggi fuggi generale pur di non esprimersi al riguardo o, nel migliore dei casi, si astenevano. Ma non sono mancati parecchi casi di voti contrari, alla faccia del fatto che i sullodati non sono rappresentanti del popolo.
Memorabili le fiducie al secondo governo Prodi, che in mancanza di una maggioranza politica affidabile si reggeva grazie alle stampelle – figurate o vere, come quelle di Rita Levi-Montalcini – dei senatori a vita. Voti determinanti. A tal punto che erano ricercati e portati con ogni mezzo nell’aula di Palazzo Madama perché dicessero il sospirato sì a Prodi e alla sua scombinata squadra di governo.
Manco a dirlo, la scena si è ripetuta con alcune varianti nella seduta del Senato del 26 ottobre scorso, quando l’assemblea di Palazzo Madama si è pronunciata con appello nominale sulla mozione di fiducia presentata dai capigruppo della maggioranza al governo Meloni.
Elena Cattaneo e Mario Monti, che ha avuto la compiacenza di motivare il proprio voto, si sono – bontà loro – astenuti.
Liliana Segre e Carlo Rubbia erano assenti perché in missione. Sic. Per un evento così importante come la fiducia al governo forse la Segre, la cui presidenza provvisoria del Senato assunta il 13 ottobre è stata ammirevole, forse poteva farsi viva.
Quanto a Rubbia, il Nobel per la fisica risiede a Ginevra ed è in precarie condizioni di salute, tant’è che da gran tempo non si fa vivo al Senato. Del resto, non è mai stato – per usare un eufemismo – un assiduo frequentatore di Palazzo Madama.
Dulcis in fundo, si fa per dire, Renzo Piano. Ha la doppia cittadinanza, italiana e francese, e risiede al Parigi. Chissà se con questi chiari di luna da che parte sta, di qua o di là. Straordinario giramondo, architetto sommo, si è confessato in maniera splendida con Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” del 25 novembre. Fa onore all’Italia, questo è certo. Un po’ meno al Senato.
Tra i cinque senatori di nomina presidenziale in carica, è stato il solo che non era né in missione né astenuto. Semplicemente, assente ingiustificato. Un fantasma, tanto per cambiare. Ma quando si trattò di votare nella seduta del 27 novembre 2013 la decadenza dal Senato di Silvio Berlusconi, lui, unico tra i senatori a vita, c’era. Eccome se c’era. E votò contro gli ordini del giorno contrari alla sua decadenza.
Papa Ratzinger, quando non se l’è più sentita, si è dimesso. Che gran Papa!
Paolo Armaroli – Professore Ordinario di Diritto comparato, già deputato nella XIII legislatura