Carolina Migli Bateson in Jan Fabre. Giornale notturno (1978-2012). Coordinatrice del progetto: Miet Martens. Dramaturg: Edoardo Callegari. Messa in scena: Edoardo Callegari e Carolina Migli Bateson. Partiture di movimento: Michela Arcelli ed Elisabetta Rossi. Disegno musica e suono: Christian Scalas. Disegno luci: Alessandro Pigazzini. Produzione: Teatro di Grazzano Visconti-Compagnia ChezActors in collaborazione con PKD Aps. Consulente artistico: Matteo Vignati. Foto: Mirella Verile
Il 27 febbraio 1933, durante i festeggiamenti per il compleanno del nonno Joachim von Essenbeck, il nipote Martin, accompagnato da un pianoforte e illuminato da un faro nel teatrino allestito nel palazzo di famiglia, canta travestito da Lola/ Marlene Dietrich, la protagonista di L’angelo azzurro diretto da Joseph von Sternberg. Martin recita diretto dalla madre e scandalizzando o divertendo parenti e personale di servizio, fino a che l’esibizione non viene interrotta dalla notizia dell’incendio del Reichstag.
La scena è una delle più riconoscibili della storia del cinema: sta all’inizio di La caduta degli dei diretto nel 1969 dal sessantatreenne Luchino Visconti, con il venticinquenne Helmut Berger nel ruolo di Martin e la bergmaniana Ingrid Thulin (reduce da Il rito) in quello della madre shakespiriana incestuosa Sophie, che trasforma un figlio fragile in un uomo perverso costringendolo in una maschera che oggi definiremmo riduttivamente gender fluid, comunque oscillante tra maschile e femminile, tra efebico e materno.
Visconti fu legatissimo alla colta, raffinata e ricca madre Carla Erba, grazie alla quale apprezzò precocemente il teatro. Almeno fino alla separazione dei genitori nel 1924, il giovane Luchino frequentò assiduamente il borgo neomedievale piacentino di Grazzano, dal 1914 per decisione del re Vittorio Emanuele III denominato Grazzano Visconti: il padre di Luchino, Giuseppe Visconti di Modrone, lo aveva risistemato su basi storicistiche e socialistiche con l’aiuto dell’architetto di famiglia Alfredo Campanini, allievo di quel Camillo Boito autore della novella Senso da cui poi Luchino avrebbe tratto uno dei più leggendari tra i suoi 18 film. Le repliche e le copie di statue, tavole e affreschi prese di peso dalla storia dell’arte medievale e rinascimentale e diffuse da Giuseppe Visconti per le strade di Grazzano Visconti, insieme all’artigianato in stile che si cominciò a produrre là, contribuì fortemente a forgiare il gusto artistico di Luchino. Dopo il 1916 nel borgo venne edificato un teatro dove originariamente era previsto un deposito di carbone per la linea tranviaria che aveva attraversato Grazzano. I teatri costruiti nelle dimore di famiglia erano una consuetudine per i Visconti di Modrone; anche quello di Grazzano Visconti vide i primi esperimenti di recitazione e regia di Luchino che, contemporaneamente, da adolescente imparò che esisteva un modo naturale di recitare grazie alla madre che lo portò a vedere Eleonora Duse.
Ogni volta che riguardo La caduta degli dei, penso che quell’esibizione affidata a un ragazzaccio biondo che recita un aristocratico travestito da Marlene sia stata per Visconti anche un luogo di ricomposizione, in un dramma tragico, di ricordi familiari sedimentati dai teatrini di famiglia al teatro della memoria.
In un gioco di trasfigurazioni, su ogni spettacolo recitato nel teatro da 90 posti di Grazzano Visconti aleggia l’ombra del giovane Luchino e di quelle sue prime prove di cui non abbiamo alcuna testimonianza registrata, così come non ne abbiamo delle sue 66 regie teatrali. Perciò è di buon auspicio per il prosieguo della conoscenza sulla formazione di Luchino, ai miei occhi di fanatica viscontiana, la riapertura dopo 50 anni del teatro di Grazzano Visconti (chiuso dal 1976 dopo la morte di Visconti), grazie al lavoro di ChezActors, compagnia teatrale di Piacenza specializzata nella reinterpretazione di testi classici e contemporanei, creata da Pier Cesare Licini e dall’attrice e regista Carolina Migli Bateson.
Nel teatro costruito dal padre di Luchino, il 4 ottobre scorso si è tenuta la prima mondiale del monologo Giornale notturno (1978-2012), una drammaturgia ricavata dal piacentino Edoardo Callegari dai diari in 5 volumi di Jan Fabre, su richiesta e supervisione dello stesso maestro, con Migli Bateson unica interprete. La prima e la replica dell’11 ottobre erano inserite nel calendario del Festival performativo di Fabre Amore e Bellezza sono i poteri supremi, svoltosi dal 10 settembre al Teatro Out Off a Milano. Il teatro di Grazzano Visconti ha ospitato anche una replica di Io sono un errore, il monologo di Fabre con Irene Urcioli presentato a Milano in prima mondiale (ne ho scritto il 17 e il 26 settembre: https://beemagazine.it/per-capire-larte-ci-vuole-una-sedia-dopofestival-5-monologhi-per-4-donne-al-festival-jan-fabre/ e https://beemagazine.it/per-capire-larte-ci-vuole-una-sedia-jan-fabre-dopofestival-parte-seconda/ ).
La drammaturgia di Callegari dal Giornale notturno segna anche il ritorno nei teatri italiani delle parole sulfuree affidate da Fabre tutte le notti al suo diario: dopo lo spettacolo The Night Writer scritto e diretto da Fabre stesso e che in Italia aveva fatto guadagnare il Premio Ubu 2019 a Lino Musella, era assente dalle nostre scene proprio l’opera più autobiografica di Fabre (invece continuano in altri paesi le repliche di Giornale notturno in diverse lingue. Musella, Callegari e Migli Bateson hanno dialogato sulle drammaturgie dal Giornale notturno al Caffè di Bolzano29 con Oliviero Ponte Di Pino e Giulia Alonzo il 1° ottobre scorso: https://www.youtube.com/watch?v=yB-fyGGHluc).
Callegari ha interessi letterari variegati: favorito anche dalle comuni origini piacentine, ha riservato attenzione ad Aldo Braibanti, l’intellettuale – vittima del perbenismo italiano – che insegnò a Carmelo Bene a leggere la poesia e che il sommo artista considerava l’unico genio del Novecento, (sul tema rinvio al dittico su CB pubblicato in questa rubrica il 28 ottobre 2022 e il 26 gennaio 2023: https://beemagazine.it/se-in-platea-applaudono-e-tanto-peggio-per-me-i-libri-di-carmelo-bene-decadente-lettore-controcorrente/ e https://beemagazine.it/se-larte-fa-schifo-la-tradizione-puo-servire-alla-rivoluzione-il-grande-attore-e-morto-viva-il-grande-attore/ ). Col titolo Aldo Braibanti Redux – Virulentia, Callegari ha adattato per la scena il poema Mobile segno, incluso da Braibanti in Le prigioni di Stato. Virulentia era il titolo di un progetto di teatro di regia totale di Braibanti venuto dopo la collaborazione con Sylvano Bussotti e il breve incontro con Bene; secondo Braibanti, Virulentia avrebbe dovuto avere alla base la “lotta radicale e non violenta contro ogni violenza, soprattutto contro la sua forma più insidiosa, cioè la persuasione occulta”.
Callegari ha interessi anche nell’ambito delle arti visive: ha collaborato con Omar Galliani per mostre e spettacoli teatrali e la sua conoscenza dell’opera di Fabre rimonta in prima istanza proprio alla produzione visiva del maestro di Anversa.
Questo nuovo Giornale notturno (1978-2012) nasce su commissione di Fabre a Callegari. Eppure, prima del contatto iniziale avvenuto per iniziativa di Callegari nel settembre 2023, il drammaturgo non era un Fabre addicted. Ammiratore di Angélica Liddell e del Fabre scrittore di testi teatrali letti nelle edizioni francesi L’Arche quando studiava a Parigi, fino all’estate 2023 Callegari non aveva mai visto una performance o una regia di Fabre.
Pare che Callegari scrivesse già i propri testi poetici e teatrali con uno stile inconsapevolmente vicino a quello di Fabre: quando Carolina Migli Bateson ha letto per la prima volta i passi di raccordo tra un capitolo e l’altro della drammaturgia di Giornale notturno, ha creduto che fossero di mano di Callegari. All’altezza della prima italiana di Simona, the gangster of art (tenutasi a Lecce ai Cantieri teatrali Koreja il 7 agosto 2023), Callegari si era imbattuto nell’internet in uno dei video promozionali recitati da Irene Urcioli (https://www.troubleyn.be/eng/performances/simona-the-gangster-of-art). Individuando nella recitazione di Urcioli un’ideale attuazione di un metodo di cui era alla ricerca per dare voce al proprio lavoro, il drammaturgo piacentino ha proposto in lettura alcuni suoi lavori a Fabre e a Miet Martens, che di rimando gli hanno affidato la nuova drammaturgia del Giornale notturno, per la prima volta adattato alla voce di una donna, e lo hanno invitato a vedere l’orgia tragica di Peak Mytikas il 4 novembre 2023 al Teatro Out Off a Milano (della replica dell’11 dicembre a cui ho assistito ho scritto il 2 gennaio 2024: https://beemagazine.it/per-capire-larte-ci-vuole-una-sedia-bisogna-immaginare-sisifo-felice/).
Pur selezionando i paragrafi del Giornale notturno come per ricavarne un proprio autoritratto, Callegari ha assorbito o espunto frasi anche sulla base della credibilità che esse avrebbero avuto nell’esprimere al pubblico i rapporti con l’arte visiva e performativa, con la famiglia, con la vita interiore da parte di una donna. La drammaturgia è composta da frammenti del Giornale notturno introdotti, per ognuno dei 5 capitoli, da porzioni di testi teatrali di Fabre (come di consueto anche nelle precedenti drammaturgie ricavate dallo stesso Fabre a partire dai suoi diari): in questo caso, a passi dai diari si alternano citazioni dai testi La storia delle lacrime, Una tribù, ecco ciò che sono, Una donna normale da morire, Il re del plagio, Je suis sang, e il monologo finale da Simona, the gangster of art.
Molti dei presenti alla prima hanno constatato che la recitazione e le partiture di movimento di Migli (queste ultime supervisionate da Michela Arcelli ed Elisabetta Rossi dell’Accademia di danza Domenechino da Piacenza) ricordavano performance di Fabre a chi ne conosceva già alcune, senza tuttavia scadere nella mera imitazione.
Fabre ha curato personalmente le intonazioni della voce dell’interprete, chiedendo di enfatizzare molto le intitolazioni dei paragrafi con luogo e data, di passare a una tonalità quasi da contralto per le letture dai diari e di alzare il più possibile il tono per i veri e propri slogan (scritti in maiuscolo nei 5 volumi del Giornale notturno e nella drammaturgia).
Avevano un’impronta fabriana anche i costumi indossati dall’inizio tutti insieme dall’attrice, che se ne liberava in scena, strato dopo strato: dopo il completo maschile dell’esordio, coperta dalle luci abbassate Migli restava con una sottile pelle beige (Callegari mi dice di non avere visto la splendida regia che Fabre ha realizzato dal testo Resurrexit Cassandra di Ruggero Cappuccio con Sonia Bergamasco che in scena si scopriva progressivamente da un funereo poi rutilante bozzolo sontuoso, scartando strato da strato).
La scenografia era piuttosto essenziale, più ancora che nelle varie versioni del Giornale diretto da Fabre, ma aveva innovazioni autonome, anche legate all’inserimento nello spazio ristretto del teatrino Visconti, capace di simulare la riflessione raccolta in uno studiolo da umanista contemporaneo e selvaggio. Al centro del palco c’era un tavolo illuminato dalla luna (a un tavolo stava il Night Writer Lino Musella); Migli Bateson alternava la lettura alla recitazione alle partiture di movimento: queste ultime erano sostenute da una voce off, che era quella registrata di sua madre, già cantante lirica ed evocante non solo la relazione personale dell’attrice con la madre, ma anche e soprattutto quella, decisiva per il Fabre artista, del giovane e poi maturo Jan con la madre Helena Troubleyn.
Una porzione dalla drammaturgia Il re del plagio di Fabre era scenografata con teste-scultura di cristallo del designer e orafo Giulio Manfredi che interagivano con le luci (attenta ricerca è stata effettuata per trovare un tono di blu il più possibile somigliante a quello della BIC prediletta dal Fabre scrittore e disegnatore con cui Migli simulava il gesto del fumo): Migli posizionava una a una le teste sul tavolo, per poi usare una sedia come deuteragonista di una partitura di movimento, sostenuta dalla voce off che alludeva alla perdita del padre di Fabre (“Padre, aspetta, aspetta, aspetta”).
La drammaturgia termina con un omaggio al finale del monologo che ha avvicinato per la prima volta Callegari alla performance di Fabre: “l’urlo della mitezza” con cui Simona la stilitissa sale sulla sua colonna, consegnandosi al martirio della santità in vita. A questo punto Migli Bateson si trasformava lentamente in cervo, alla luce della luna, sulle note che già Terrence Malick aveva scelto per descrivere la sequenza della creazione dell’universo nel film The Tree of Life (Palma d’oro a Cannes 2011): il Lacrimosa dal Requiem for my friend dedicato dal compositore polacco Zbigniew Preisner al regista Kieslowski, con il quale collaborò per Tre colori. La donna si fa cervo, mutando natura con l’ausilio delle stoffe che ha indosso, di braccia e mani e del chiaroscuro. La metamorfosi che chiude il capitolo sul Regno animale e lo spettacolo crea anche un nesso definitivo, per il pubblico, tra il Fabre scrittore, il Fabre drammaturgo e regista e il Fabre scultore.
Questo nuovo Giornale notturno sarà di nuovo sul palco di Grazzano Visconti e poi nei teatri italiani (le date sono in corso di definizione). Fabre e Miet Mertens sono infatti stati convinti dalla resa complessiva della messa in scena, sia per la suggestione viscontiana dello spazio sia per la novità della voce femminile che rende credibili i pensieri scritti da un uomo che a diciannove anni riconosceva già alle donne una superiorità espressiva controllata a cui aspirare:
“Le donne hanno il privilegio assoluto della trasgressione. Sono loro, le donne, che detengono l’accesso all’eccesso. Le donne sanno che noi uomini siamo donne”.
Floriana Conte – Professoressa di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte; Instagram: floriana240877) e Accademica dell’Arcadia