Mieli e le fiamme del passato

L'ultimo libro dello storico-giornalista sulle "braci del Novecento" e "le guerre d’oggi":56, che infestano la scena mondiale, alcune nell'assoluto silenzio mediatico

Il gusto dall’analisi storica, assistita dal metodo scientifico e da un cospicuo apparato bibliografico, offerto in forma di consiglio di lettura, rappresenta la cifra stilistica di Paolo Mieli.

Siamo di fronte ad uno storico vocazionale che sembra aver scelto la professione di giornalista per spaziare nella gamma infinita dell’ “umano”, a cominciare dalla forma del potere, che ne rappresenta un’ indubbia declinazione.

L’ultimo prodotto del suo vasto impegno bibliografico, Fiamme dal passato. Dalle braci del novecento alle guerre di oggi, edito da Rizzoli, ne conferma l’indole storicistica insieme alla straordinaria qualità della narrazione, che fa pensare alla necessità ineludibile, per le agenzie di formazione pubbliche, di coniugare la didattica con il giornalismo per completare una pedagogia della cittadinanza. A condizione, ovviamente, di avere docenti come Mieli.

Il saggio, appena poggiato sugli scaffali delle librerie nazionali, si presenta come un continuum nel solco del suo progetto di alfabetizzazione dei lettori e telespettatori basato sulla Storia, che lo vede protagonista in Rai con successo di ascolti e di attenzione da parte delle giovani generazioni, il che rappresenta già di per sé una medaglia. Ma “Fiamme del passato” s’impone non solo per la serietà scientifica dell’analisi e per la gradevolezza della lettura, che rifugge gli accademismi autoreferenti. Siamo di fronte, infatti, ad un lavoro importante, capace di scoprire inedite connessioni tra gli accadimenti in una sintesi che disvela al lettore le implicazioni fatali prodotte dal Novecento, consegnandoci un lascito di “braci” ancora fiammeggianti.

Le 56 guerre nascoste dal silenzio mediatico

Paolo Mieli

La “morale” di questa storia è esemplare: le fiammate belliciste che bruciano i lembi del vecchio mondo, con le guerre dietro la porta della casa Europa, Ucraina e Striscia di Gaza, non sono il frutto di un impazzimento subitaneo della Storia, ma l’esito di processi anche lunghi che hanno subito accelerazioni mentre distoglievamo il nostro sguardo, illusi della nostra perenne immunità dalla sequenza drammatica delle 56 guerre, per lo più nascoste dal silenzio mediatico, che ancora oggi infestano la scena mondiale.

Guerra: un lemma che ha trovato nutrimento cospicuo nel secolo del comunismo e del fascismo e che è stato cancellato dal vocabolario delle giovani generazioni dell’emisfero occidentale, affacciatesi sulla scena del mondo negli anni a cavallo tra i sessanta e i settanta del secolo scorso, scandendo parole d’ordine pacifiste. Quelle parole, secondo Mieli, hanno allontanato dall’orizzonte delle generazioni a venire, fino ad oggi, la possibilità concettuale della guerra, idea rimossa persino come strumento di difesa dei valori fondanti. Salvo poi prendere atto della guerra dietro casa attraverso la cronaca dell’orrore che le nuove tecnologie della comunicazione portano nel nostro salotto all’ora di cena, per poi veder svaporare ogni emozione per coazione a ripetere nel palinsesto quotidiano dell’ordinario bellicismo virtualizzato.

Tre capitoli: il passato fasciate e nazista, il passato comunista e il passato-presente

La struttura del libro propone una scansione di tre capitoli- il passato fascista e nazista, il passato comunista e il passato e il presente- racchiusi tra una premessa dedicata alla “scintilla di Kiev” ed una conclusione, “Fiamme su Gaza”, densi e assistiti da un apparato bibliografico che vive attraverso il confronto continuo con tesi di autori che rappresentano il meglio della storiografia, della politologia ed anche della saggistica “non togata” contemporanea.

Particolarmente densa di stimoli è la parte racchiusa nel terzo capitolo, che dall’involucro storicistico estrae il presente proiettandosi oltre. Notevole (e assai vera, anche con l’apporto di storici del calibro di Cardini e Zemon Davis), l’analisi dell’errore di una concezione che pone l’occidente in una condizione egemone nel globo, restando sulla scia hegeliana che sanzionava l’extraoccidentale come arcaico e arretrato. Quell’ ineluttabile egemonia, smentendo la profezia prêt-à-porter di Fukuyama, si è rivelata evitabilissima e l’occidentalismo dei giorni nostri, per dirla con Meotti (saggista citato da Mieli), diventa la malattia senile dell’Occidente.

Da segnalare anche il paragrafo sul “centro”, quando l’autore torna nei ranghi dell’Italia e della sua storia repubblicana, e racconta della DC. Mieli si domanda come mai la storiografia e la politologia italiana, che pure hanno dedicato una pubblististica alluvionale alla sinistra e alla destra politica, siano state, invece, così parche con il più grande partito dell’Italia democratica, che è rimasta oggetto di studi e di ricerche svolte da un nucleo di studiosi prevalentemente appartenenti alla stessa area. Forse, diremmo noi, troveremmo qualche risposta seguendo la traccia dei padri nobili della filosofia politica italiana, come Bobbio, che spezzava la sua Weltanschauung in due esmisferi in conflitto, la destra e la sinistra, non riconoscendo una terza possibilità centrista.

Un manuale per italiani “smemorati e distratti”

Mieli ha scritto un manuale per italiani smemorati e distratti, denso di spunti e di occasioni, un lavoro tra i suoi migliori. Ne riscontro, come accade spesso con la scrittura ricca di senso, una certa congruenza con un altro importante saggio che arriva adesso in Italia e che idealmente si lega, con approccio diverso, alla stessa narrazione: è del politologo francese Oliver Roy, L’appiattimento del mondo, che parla della deculturazione globale verso cui stiamo scivolando velocemente. Ecco: che cos’è il nostro spaesamento, il nostro essere rapiti da un buco nero dell’entropia digitale che ormai governa il nostro quotidiano, se non lo smarrimento dei codici per interpretarlo?

Mieli ce lo ha ricordato e ci ha offerto alcune chiavi. Val la pena di tenerne conto.

 

 

Pino PisicchioProfessore di Diritto pubblico comparato. Già deputato in numerose legislature, presidente di Commissione, capogruppo e sottosegretario

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