Maternità surrogata o gestazione per altri: proviamo a vederci chiaro. Il 19 giugno si discute alla Camera su una legge che la vieta con pene severe

Ragionando intorno a varie modalità e situazioni è possibile formulare una buona legge. Vietare tutto o rifiutarsi di regolamentare, chiudendo gli occhi, può rivelarsi la strada peggiore. I proibizionismi non hanno mai messo fine ai mali che intendevano combattere

Ultimamente si sente molto parlare di maternità surrogata. Il 19 giugno dovrebbe infatti andare in aula alla Camera una proposta di legge che intende punire il ricorso a questa pratica – già vietata in Italia – anche se commesso nei Paesi esteri dove è ammessa.

La misura tocca un argomento particolarmente scottante, che merita di essere esaminato più da vicino. Innanzitutto, la gestazione per altri o maternità surrogata, invisa in modo particolare all’attuale governo e alla presidente del Consiglio, riguarda anche le numerose coppie eterosessuali in cui la donna sia impossibilitata a concepire e/o portare a termine una gravidanza; tuttavia su questo di solito si sorvola, e si evoca la gestazione per conto di altri – per condannarla – come fosse una pretesa esclusiva degli aspiranti padri omosessuali. Ed è lecito dubitare che avrebbe suscitato tanta opposizione, se non fosse necessaria per costituire le famiglie arcobaleno con due papà. Ma vediamo più da vicino come stanno le cose.

Se due donne, per concepire un figlio, devono ricorrere a un donatore, questo non richiede da parte sua quasi nessun coinvolgimento. Quando la legge del luogo lo consente, il futuro figlio potrà, una volta maggiorenne, conoscere il genitore biologico e la sua famiglia, se vuole; ma la fecondazione dell’ovulo non richiede la presenza del donatore e si svolge in cliniche specializzate, in pochi minuti. Poi, se si verifica una gravidanza, le future mamme la gestiscono per conto loro.

Ma quando per avere un figlio bisogna chiedere l’aiuto di una madre surrogata, è tutto diverso. Già la donazione di un ovulo è più invasiva della donazione di seme, nel caso – auspicabile – che donatrice e gestante siano persone diverse; poi una gravidanza impegna completamente fisico e mente di una donna per un lungo periodo. Pur essendo un fenomeno del tutto fisiologico, comporta per nove mesi una serie di cambiamenti radicali per l’organismo femminile. E quindi è molto impegnativa e richiede una considerazione a parte, molto attenta.

Chi l’avversa, di solito la chiama “utero in affitto”. È un’espressione carica di disprezzo, come se una donna potesse essere ridotta al proprio utero, e come se una gravidanza, che comporta necessariamente una cura, possa ridursi a un semplice affitto.

A tale proposito, ho sentito ripetere talvolta con orrore che “in questo modo un bambino appena nato viene strappato alla sua mamma”. Ora, chi ricorre a questa mozione viscerale degli affetti, dovrebbe sapere che non è affatto vero.

1) Nei paesi in cui la maternità surrogata è consentita legalmente, e in particolare dove è consentita alle coppie omosessuali, come in California, la donatrice dell’ovulo – la madre biologica – di regola è una donna diversa dalla gestante. L’ovulo prelevato dalla donatrice viene fecondato in vitro con il seme di uno dei futuri padri e poi impiantato in un’altra donna disposta ad ospitarlo; come si vede si tratta di qualcosa che assomiglia a una donazione di sangue, da un lato, e a una balia che nutre un bambino col proprio latte, dall’altro.

2) la donna gestante deve già avere almeno un figlio suo vivente, da una gravidanza propria portata a termine;

3)  il numero delle possibili gravidanze è strettamente limitato;

4) nessuno viene “strappato alla sua mamma”: la madre biologica dona un ovulo, che ancora non si sa se diventerà  un embrione, mentre la gestante sa fin dall’inizio di nutrire e crescere in grembo una creatura che non proviene da lei né dal suo compagno.

5) soprattutto, va considerato, nessuno di questi figli sarebbe mai venuto al mondo – lei o lui così come sono, con quel corredo biologico – se fosse stato per la madre biologica o per la madre gestante, che fin dall’inizio si sono limitate ad assecondare il forte desiderio di diventare genitori di una coppia a loro estranea.

6) Di solito durante la gravidanza si intreccia una relazione amichevole – anche a distanza – tra la gestante e la sua famiglia e la coppia richiedente, relazione che a volte continua anche dopo la nascita, fino a creare un duraturo legame di affetto tra le due famiglie, come un tempo poteva succedere con la nutrice, la balia, la tata.

Alternativamente, se non sono mamme straziate a cui viene strappato il neonato, le madri “surrogate” vengono considerate come ciniche amorali che vendono i figli come vendessero organi, oppure, ancora, come vittime subornate da chi vuole sfruttare il loro corpo, approfittando di una condizione di miseria e ignoranza.

Ma stanno davvero così le cose?

È chiaro che il problema sta tutto nel passaggio di denaro. Che riguarda soprattutto i nove mesi di gravidanza: se si potesse essere certi che la maternità surrogata è fatta unicamente gratis et amore, come la donazione di organi o di sangue – che pure in certi Paesi è a pagamento -, ci sarebbero molte meno obiezioni.

Ora, la donazione di ovuli, per quanto invasiva, richiede un impegno e quindi eventualmente un risarcimento molto limitato; è soprattutto la gravidanza che pone il problema.

In effetti, in Europa, solo l’Ucraina consente che la gestazione per altri sia pattuita dietro compenso: gli altri Paesi europei esigono la gratuità del dono, a parte il rimborso di tutte le spese, e proibiscono anche qualsiasi forma indiretta di compenso. Certamente ci sono alcune coppie che possono contare su una sorella, una cugina o una carissima amica disposta a regalare una gravidanza. Ma è evidente che non sono molti ad avere una simile fortuna. Per gli altri, che devono ricorrere a una sconosciuta, sembra giusto prevedere un rimborso spese. Ma, sostengono gli oppositori, il rimborso spese sarebbe un’ipocrisia, che tenta di mascherare – senza riuscirci – un compenso vero e proprio.

Ma è giusto pretendere una gratuità assoluta?

Se qualcuno impiega il proprio tempo e le proprie forze per prestare un’opera preziosa, che richiede cura e dedizione, perché non dovrebbe ricevere un compenso o quanto meno un indennizzo? Perché una donna non potrebbe dedicare nove mesi della propria vita a mettere al mondo un bambino, che assai probabilmente crescerà bene in una famiglia affettuosa, dietro un compenso ragionevole che le consentirà, ad esempio, di mandare i propri figli all’università? Non vediamo continuamente persone eccellenti impegnarsi come insegnanti, psicologi, educatori, medici, infermieri, badanti, tutte professioni che richiedono partecipazione intellettuale ed emotiva, oltre che fisica, che vengono pagati per il loro lavoro senza che nessuno ci trovi da ridire? Non acquistiamo opere d’arte dove l’autore ha messo tutto se stesso? Perché dobbiamo considerare la gestazione per altri un ignobile mercimonio anziché un lavoro eccezionale e di grande responsabilità?

Certo è un lavoro che si fa con tutto il corpo e come tale si presta maggiormente ad abusi, che in molti casi sono stati anche documentati e denunciati.

L’India ad esempio ha recentemente apportato molte restrizioni alle leggi che permettono queste procedure e le riserva solo ai cittadini indiani e alle coppie eterosessuali. La questione è così dirompente che divide duramente anche le donne: le femministe in tutto il mondo si sono spaccate tra una maggioranza favorevole, per via della libera disponibilità di sé, e una minoranza che ci vede soltanto un altro modo di sfruttare il corpo femminile, da parte del patriarcato.

Come si è visto, però, al di là di un rifiuto o di una libertà assoluta, ci sono modi molto diversi di regolamentare la maternità surrogata, ed è bene discuterne. Della gratuità, completa o parziale, si è già visto. Va aggiunto anche che a un equo rimborso spese, contrattualmente previsto, può essere apposto un tetto che lo renda non appetibile a fini speculativi. Il servizio può essere semplicemente consentito ai privati (favorendo così solo chi ha maggiori disponibilità economiche) oppure garantito dallo Stato alle coppie che ne abbiano dimostrata necessità, comprese (o no) quelle omosessuali.

Si è visto che alcuni Paesi, come l’India o l’Australia, riservano queste procedure ai soli cittadini, per evitare il turismo riproduttivo, e/o soltanto alle coppie eterosessuali (discriminazione impensabile da noi). Ci sono Paesi, come la Gran Bretagna, in cui la gestante può sempre ritirare il suo consenso e tenere il bambino, altri invece in cui fin dall’inizio i genitori sono esclusivamente i due richiedenti e la donna non ha alcun diritto sul nascituro.

È di estrema importanza, mi sembra, separare la donazione dell’ovulo dalla gestazione, come avviene in California, ma non tutti i Paesi lo prescrivono. Insomma, ragionando intorno a tutte queste modalità, è possibile, a mio parere, formulare una buona legge.

Certo non ci sono leggi, per quanto meditate, che non possano essere violate o aggirate. Per evitare gli abusi– come nel caso dell’aborto clandestino – vietare tutto o rifiutarsi di regolamentare, chiudendo gli occhi, può rivelarsi la strada peggiore.

I proibizionismi non hanno mai messo fine ai mali che intendevano combattere. Ad esempio un gran numero di abusi avvengono in Brasile, dove la maternità surrogata è vietata, ma dove è praticata correntemente al di fuori di ogni controllo, in condizioni che possono mettere a rischio la salute della donna e del nascituro.

È chiaro che dove esistono situazioni di miseria e degrado, per una donna destinata probabilmente a subire una serie di gravidanze non volute, poter gestire una gravidanza per altri dietro compenso, senza doversi tenere il figlio, rappresenta una risorsa insperata, che è difficile rifiutare, per tirare avanti la famiglia. Sono situazioni che vanno contrastate energicamente, in primo luogo combattendo, evidentemente, la miseria, il degrado e l’ignoranza che rendono appetibile sia l’autosfruttamento delle donne, sia lo sfruttamento da parte del coniuge o dei parenti.

Ma quando si brandiscono questi casi – come succede spesso di questi tempi –  per impedire che da noi possano formarsi famiglie con due papà, va detto che a ricorrere a questi abusi senza scrupoli sono essenzialmente coppie eterosessuali, perché le coppie gay si attengono al massimo della trasparenza e della legalità, se non altro per prudenza, per il timore che poi gli possano essere tolti i figli.

In Italia, comunque, la legge 40 /2004 già vieta la gravidanza per altri. Per questo motivo chi ha bisogno di ricorrere alla maternità surrogata si rivolge ai Paesi dove è autorizzata e normata dalla legge. Ma la proposta di legge che l’attuale maggioranza di Governo vorrebbe far approvare, prevede l’arresto fino a due anni e una multa fino a 1 milione di euro per chi accede alla gravidanza per altri nei Paesi dove è lecita.

In altri termini, se questa legge fosse approvata, i bambini nati all’estero con regolamentare maternità surrogata, figli di due cittadini italiani, si potrebbero ritrovare con i genitori denunciati e condannati al carcere. E anche se la legge penale non è retroattiva e non potrebbe applicarsi a chi il fatto lo ha commesso in passato, quei bambini resterebbero bollati come figli di delinquenti, e la loro esistenza sarebbe frutto di un reato. L’argomento addotto dai proponenti infatti è quello che la gravidanza per altri sarebbe un “reato universale”, e in quanto tale perseguibile anche se commesso al di fuori dei propri confini: come i crimini di guerra, la pedofilia, lo sfruttamento della prostituzione minorile, la pirateria, la riduzione in schiavitù, il genocidio.

Ma – a parte la evidente incomparabilità dei fatti – si tratta di un assurdo giuridico: un reato è universale solo se è percepito a livello globale come tale. Il solo fatto che la gestazione per altri (GPA) sia lecita e regolamentata in alcuni Paesi rende impossibile qualificarla come reato universale.

Se questa legge venisse approvata, quindi, è estremamente probabile che finirebbe per essere dichiarata incostituzionale dalla nostra Corte. Ma intanto servirebbe certamente, in nome della dignità delle donne e del bene dei bambini, a penalizzare le famiglie omogenitoriali e a propagandare una visione che le criminalizza. Eugenia Roccella, ministra della Famiglia, ha dichiarato che in merito l’impegno del governo è massimo, “per porre fine a quella legittimazione di fatto che sta portando con sé una pericolosa assuefazione culturale, che contrasteremo con ogni mezzo a nostra disposizione”.

 

Chi è Eugenia Roccella, nuova ministra della Famiglia, Natalità e Pari opportunità nel governo Meloni

Eugenia Roccella

 

Per questo motivo si moltiplicano in Italia le proteste e le manifestazioni non solo da parte delle famiglie “arcobaleno”, ma da parte di cittadini e cittadine semplicemente preoccupati dei diritti civili. Ed esistono diverse proposte alternative, che si propongono di regolamentare anche da noi la maternità surrogata, come la proposta normativa per una gravidanza solidale elaborata da numerose associazioni, tra cui l’Associazione Luca Coscioni per la ricerca scientifica. Una proposta a mio avviso molto ragionevole, che si preoccupa anche di impedire ogni forma di sfruttamento del corpo femminile (ad esempio per poter esercitare una gravidanza per altri la donna deve essere economicamente autosufficiente, riceve il rimborso delle sole spese che riguardano la gravidanza stessa, e sono previsti un registro nazionale delle gestanti e un massimo di due gestazioni in totale).

 

Simona NuvolariScrittrice, autrice del romanzo “Una lotta impari”, edito di recente da Rizzoli

 

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