Marco Osnato, lombardo, deputato alla seconda legislatura eletto con FdI, è presidente della Commissione Finanze di Montecitorio. È il momento della sessione di bilancio che assorbe ogni energia: per la maggioranza e per il partito della premier si tratta di mettere in sicurezza, durante l’iter parlamentare della manovra, le misure-bandiera – quali taglio del cuneo fiscale a regime e riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33%. Naturalmente, in tempi di magra la magnifica preda è una: le coperture. “Per noi l’abbassamento dell’aliquota di due punti è prioritario – spiega Osnato – e faremo di tutto per riuscirci. Se dal concordato non arriveranno i 2,2 miliardi di euro necessari, si cercherà altrove”.
Il ministro delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha detto con chiarezza che l’aliquota Irpef scenderà al 33% se le adesioni al concordato fiscale bis saranno sufficienti. Ci riuscirete? E si può finanziare un taglio di imposte con un gettito straordinario e non strutturale?
Per noi l’abbassamento dell’aliquota al 33% è prioritario e faremo di tutto per riuscirci. L’idea è di seguire lo schema adottato per la riduzione del cuneo fiscale: partire con una sperimentazione, valutare i risultati ed eventualmente renderla definitiva. Se dal concordato non arriveranno i 2,2 miliardi di euro necessari, si cercheranno altre risorse.
E come, visto che con il piano settennale di rientro dal debito previsto dalle nuove regole Ue la coperta è davvero corta?
Vedremo. Per gli anni prossimi, sottolineo che il concordato si riproporrà: non è un condono bensì un accordo preventivo di compliance. Sarà normale reiterarlo: non è un’eccezione e siamo certi che porterà più gettito.
L’altissimo numero di detrazioni e bonus rende il sistema complicato, farraginoso e per certi versi iniquo: provocano un effetto distorsivo per cui la stessa aliquota può avere effetti diversi e persino perversi. È ineludibile riordinare le tax expenditures?
È un settore molto complesso dove è difficile agire. L’intreccio di deduzioni e detrazioni tocca ambiti di impatto sociale, come le spese mediche. È evidente che sono per definizione deroghe all’imposizione ordinaria ed hanno un impatto graduale: agiscono maggiormente su soggetti deboli, famiglie numerose. Non tutti possono avere tutto. Una riforma complessiva è un concetto impegnativo, noi stiamo portando avanti una riorganizzazione.
Una grande riforma del fisco – numero e aliquote dei tributi, scadenze, versamenti, accertamento, riscossione – non è esattamente quello che serve all’Italia?
Un po’ abbiamo già fatto. Ci sono i decreti attuativi su puntualità ed efficacia della riscossione, che riducono a 5 anni la titolarità del credito in capo all’Agenzia delle Entrate, che poi lo cede ad enti creditori senza che venga modificato il termine di prescrizione. Sono state ridotte in modo graduale le sanzioni per omesso versamento. Esiste la possibilità di dilazionare il pagamento fino a 120 rate con una piccola mora.
Insisto: per modernizzare il Paese non serve un riordino legislativo e procedurale complessivo in materia fiscale?
Abbiamo cominciato a comporre testi unici sulle varie procedure e l’idea è di completare il lavoro entro luglio 2025. L’obiettivo è un codice tributario complessivo.
Lo slogan del governo è “Fisco Amico”. A mio avviso il fisco non può essere amico ma deve essere equo, efficiente e non vessatorio. Nella trasmissione Restart, a cui lei ha partecipato, diversi cittadini si lamentavano di non riuscire ad avere risposte dall’Agenzia delle Entrate. Non è un punto debole della vostra narrazione?
Sì, questo è un tema. Stiamo agendo su diversi fronti, a partire dai concorsi per aumentare l’organico. Abbiamo previsto l’inversione dell’onere della prova e l’obbligo per l’amministrazione fiscale di agire in autotutela. La digitalizzazione e il ricorso all’intelligenza artificiale eviteranno decisioni difformi o contrapposte. Poi, l’Agenzia delle Entrate usa la modalità telematica, ma è giusto non eliminare totalmente il rapporto con il pubblico.
È giusto agire per eliminare il magazzino fiscale dei crediti inesigibili, miliardi di euro di cui il 6-7% al massimo potrà entrare nelle casse dello Stato. Ma varare una rottamazione dopo l’altra non fa perdere credibilità al fisco?
È vero che non sarà la rottamazione a risolvere a monte i problemi del fisco italiano. Ma è uno strumento che continua a essere molto richiesto da imprese, partite Iva e professionisti, dunque ne valutiamo e monitoriamo l’opportunità. La speranza è arrivare a regime con l’eliminazione totale dei crediti inesigibili.
Ma il rischio non è che se ne creino, appunto, di nuovi? Il governo si è detto soddisfatto di aver diminuito l’evasione fiscale, ma al di là del gettito derivante da misure straordinarie come le rottamazioni, si è ridotto anche il tax gap, ovvero la differenza tra gettito teorico e reale dei tributi?
Con questo governo c’è stato un incremento delle entrate fiscali sia per l’aumento dell’occupazione sia per un grande rientro dell’evasione fiscale. Siamo soddisfatti dei risultati e continueremo a lavorare in questa direzione. Il tax gap è ancora molto alto, ci auguriamo che con la riforma e gli strumenti innovativi che abbiamo introdotto si riduca di molto.
FdI e Lega combattono a favore dell’uso del contante, denunciano l’evasione “per necessità”. Giorgia Meloni ha criticato il “pizzo di Stato” ai piccoli commercianti. Al di là dei risultati numerici, non manca un messaggio culturale positivo sul pagare meno ma pagare tutti? A favore delle tasse, certamente non belle ma necessarie per garantire servizi alla collettività?
Guardi, ultimamente siamo stati accusati di aver promosso uno spot sul concordato fiscale troppo duro contro l’evasione. Né la maggioranza né la premier vogliono agevolare gli evasori. Ma la contrapposizione tra carta di credito e contanti non è utile a nessuno: negli ultimi due anni sono aumentate le modalità alternative alle banconote, che rappresentano però ancora un mezzo di inclusione sociale.
Ci sono Paesi, come l’Islanda, che hanno praticamente abolito del tutto il cash. Difenderlo non è una battaglia di retroguardia?
L’economista Piero Cipollone, che fa parte del board della Bce, sta seguendo la partita dell’euro digitale che sarebbe davvero una rivoluzione. Questo governo è uscito dalla contrapposizione tra fisco e cittadino non per aiutare l’evasione bensì per tutelare chi lavora e produce ricchezza per il Paese.
Federica Fantozzi – Giornalista