Ulrich Ladurner, giornalista e scrittore, è corrispondente da Bruxelles del settimanale tedesco Die Zeit. Ma prima è stato per lunghi anni inviato di guerra nei Balcani, in Afghanistan, Pakistan, Iran, Iraq e Libia. Tra i suoi numerosi libri, Islambadblues. Lettera dal Pakistan (2001), Una notte a Kabul (con la prefazione dell’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt, 2010), Bacia la mano che non potrai spezzare. Storie da Teheran (2012), il libro-inchiesta Lampedusa (2014) e il saggio Il caso Italia. Quando i sentimenti dominano la politica (2014). “L’esperienza che mi ha segnato professionalmente è stata la dissoluzione della Jugoslavia”, confessa. Ormai è da otto anni che racconta l’Europa, le sue prospettive e contraddizioni.
Con BeeMagazine parla di come sta cambiando l’Ue della seconda Commissione di Ursula Von der Leyen ai blocchi di partenza. Tre i dossier principali: guerra in Ucraina, immigrazione e Green Deal. Ma il ruolo per Raffaele Fitto, spiega Ladurner, non è a rischio.
Bruxelles è ovviamente una postazione privilegiata per osservare le dinamiche delle istituzioni europee. La Commissione europea bis di Ursula Von der Leyen è ai blocchi di partenza. L’Italia vuole la vicepresidenza esecutiva per Raffaele Fitto, su cui la premier Giorgia Meloni ha chiesto il voto al Pd. Ce la farà?
“Non vedo Fitto in pericolo. Credo che passerà: è sostenuto con entusiasmo dal Ppe mentre con la Spd tedesca ci sono trattative in corso e non credo che voteranno contro. Secondo i rumors qui, anche parte del Pd qui è disposto a votarlo. Quindi, non ci sono grossi ostacoli”.
E il resto della squadra? La politica dei due forni adottata da Von der Leyen non rischia di provocare rappresaglie nell’ala sinistra della coalizione, socialisti e Verdi?
“Forse un paio di commissari non passeranno perché il Parlamento Europeo esige qualche “vittima”. Ma saranno nomi simbolici, non di grande rilievo. Von der Leyen nel secondo mandato ha rafforzato il suo potere. Si è sbarazzata del francese Thierry Breton che aveva deleghe pesanti e un ego molto forte. Poi ha spezzettato i portafogli seguendo la regola del divide et impera: ha imparato molto da Angela Merkel”.
C’è da aspettarsi altre mosse in questa direzione?
“Secondo indiscrezioni in futuro la presidente vorrà cambiare le regole di gestione del budget Ue, costruendolo sul modello dei fondi Covid: la Commissione assegna le risorse agli Stati che devono fare le riforme. Un simile schema indebolirebbe l’Europarlamento, ma è da vedere cosa accadrà”.
Questo quinquennio sarà decisivo per le sorti dell’Europa e le recenti elezioni sono state ben più sentite e combattute del solito. I partiti sovranisti non sono entrati nell’euro-maggioranza, ma in molti Paesi hanno avuto affermazioni rilevanti. Come e quando influenzeranno l’agenda comune?
“Hanno già iniziato e si vede. Oggi l’immigrazione è il tema numero uno e l’Europa sta seguendo la linea di Giorgia Meloni. Il Ppe guidato da Manfred Weber prende ad esempio la costruzione di centri in Albania. Quindi, possiamo dire che su questo dossier l’Ue si sta muovendo in senso sovranista. Il secondo tema su cui si può ipotizzare una differenza è la guerra in Ucraina: qui i sovranisti sono divisi, Meloni la pensa all’opposto di Orban, che a sua volta è oltre lo scetticismo di Geert Wilders. Che ruolo saranno in grado di giocare si capirà più avanti”.
Von der Leyen però non sembra disposta a cambiare politica sull’Ucraina. L’ultimo scontro diretto con Viktor Orban è stato molto netto.
“Sì, lei è molto netta, ma il potere decisionale spetta agli Stati membri ed è espresso nel consiglio Ue. Dipende tutto dalla maggioranza, senza dimenticare il diritto di veto. I singoli Stati possono bloccare la politica estera comune, come ha fatto Orban tenendo in stallo gli aiuti a Kiev finché ha voluto”.
L’altro grande tema in agenda in Europa è il Green Deal, su cui Von der Leyen è stata ondivaga. L’ingresso dei Verdi in maggioranza lascia intendere che la Commissione premerà l’acceleratore?
“Credo che Von der Leyen intenda portare avanti la decarbonizzazione, ma dovrà mediare con chi – come il Ppe – vuole depotenziarla chiedendo meno burocrazia e meno vincoli che ostacolano la competitività con la Cina e altri Paesi extra-europei”.
Le due istanze non sono compatibili? Anche a sinistra si è fatta strada l’idea di una transizione verde più bilanciata che non imponga oneri eccessivi e non favorisca la concorrenza di Paesi che hanno standard meno rigidi.
“Sì, è vero che i due obiettivi sulla carta non confliggono. Non c’è contraddizione con la semplificazione degli oneri burocratici, che vogliono anche i verdi. Servirà però un compromesso fruttuoso che non faccia finire nel nulla la transizione verde. Proprio su questa capacità politica si misurerà l’azione della Commissione che sta partendo”.
L’accordo dell’Italia con l’Albania per “esternalizzare” le procedure per richiedere l’asilo è una limitazione dei diritti umani o una necessità a cui l’Europa dovrà piegarsi?
“Il trattato con l’Albania è dentro la cornice dell’Ue, che già consente la costruzione di centri dentro i confini europei per i richiedenti asilo da alcuni Paesi. A mio avviso, se sono gestiti con criteri rispettosi dei diritti delle persone non c’è una violazione umanitaria. Il vero rischio è che le persone restino bloccati lì senza prospettive, se i Paesi di origine non le riprendono. Temo che il risultato sarà di avere campi profughi stabili, come già accade nel grande campo di Moria in Grecia”.
In Germania ha suscitato reazioni ostili l’acquisizione da parte di Unicredit di una partecipazione in Commerzbank. Governo, stampa e sindacati sono sulle barricate. In attesa del verdetto della Bce, si ipotizza addirittura una legge che abbassi la soglia degli obblighi di comunicazione per prevenire casi simili. Lei che ne pensa?
“Una banca europea più forte, meglio ancora un gigante bancario europeo, secondo me è un fatto positivo. Nell’Ue mancano istituti capaci di investire e muoversi come attori globali, e questo ci rende meno competitivi. Vedo resistenze campanilistiche. Poi, forse in molti si sono sentiti offesi perché Andra Orcel (il ceo di Unicredit, ndr) è stato più furbo di loro”.
Federica Fantozzi – Giornalista