Iran, Antonello Sacchetti: dopo il calo delle proteste, un cambiamento a livello soggettivo

Quali sono le forze politiche che spingono per un cambio di regime. C’è poi una scadenza importante per l’Iran: quella del prossimo febbraio quando ci saranno le elezioni legislative che saranno un banco di prova importante: si potrà capire cosa succederà…mancano ancora diversi mesi ma ci sono ancora in ballo diverse questioni, come quella economica, che sono importanti all’interno del sistema

Cosa sta succedendo in Iran? Nella prima parte dell’anno è stato possibile vedere le proteste contro il regime ma da qualche tempo sembra che non se ne parli più. Le manifestazioni nelle piazze delle principali città iraniane hanno lasciato sicuramente qualcosa ai cittadini. Abbiamo parlato di questi e molti altri temi con Antonello Sacchetti, giornalista, scrittore e gestore del blog Diruz.

 

Antonello Sacchetti

 

Non si parla più delle proteste in Iran, in questi giorni sembra quasi che siano scomparse o finite…le manifestazioni stanno continuando nel Paese?

In questo momento no, le proteste non ci sono o quanto meno ci sono pochi tentativi che sono più che altro meri atti di disobbedienza civile. Le manifestazioni come quelle che abbiamo visto fino a dicembre non ci sono più da tempo, questo non vuol dire che i problemi portati in piazza dalle proteste siano risolti. Ormai la situazione è cambiata da un po’.

Cosa resterà delle proteste che ci sono state negli scorsi mesi? La fiducia nei confronti del regime è sempre la stessa?

La crisi della Repubblica islamica è cominciata da diverso tempo. Le proteste sono state un sintomo molto chiaro. Dobbiamo poi ricordare che l’Iran non è una democrazia ma una repubblica e la cosa non è secondaria. Le ultime tornate elettorali dal 2020 in poi sono state quelle che hanno fatto registrare la più bassa affluenza in tutta la storia della Repubblica islamica.

Le proteste sono il sintomo di un malessere da parte di giovanissimi, questo va considerato anche in un quadro generale però: il sistema è in crisi ed è colpito da queste situazioni ma non è assolutamente sul punto di crollare perché mancano delle condizioni oggettive.

Questo tipo di proteste hanno segnato dei cambiamenti a livello soggettivo e forse non sono analizzate così bene, ci si è limitati a guardare l’aspetto esteriore ma andrebbero approfondite meglio. C’è poi una “scadenza” importante per l’Iran: quella del prossimo febbraio quando ci saranno le elezioni legislative che saranno un banco di prova importante: si potrà capire cosa succederà…mancano ancora diversi mesi ma ci sono ancora in ballo diverse questioni come quella economica che sono importanti all’interno del sistema.

Qualcuno ha anche paragonato le proteste alle primavere arabe: c’è una continuità o qualche somiglianza?

Non direi che c’è un filo di continuità con quelle rivolte di allora anche perché si trattava di un contesto diverso. Le primavere arabe sono un fenomeno ormai vecchio e che in parte erano state anticipate dall’Iran nel 2009. Quello che ogni tanto si dimentica è che l’Iran è un Paese che ciclicamente conosce dei periodi di protesta.

Basti pensare alla rivolta del ’99 quando c’era in piazza un movimento pro democrazia che chiedeva maggiori aperture ed un cambiamento di sistema. Poi ci sono state nuove proteste nel 2009 contro la rielezione molto dubbia di Ahmadinejad e quelle del 2019 contro la sospensione dei sussidi a carattere più economico. Infine nell’autunno del 2022 le proteste per la morte tragica di Mahsa Amini. Questa se vogliamo è una protesta nata anche da spinte individualistiche, da una richiesta di libertà che poi si è arrivata a sommare anche con altri grandi temi.

Quali sono le forze politiche che spingono per un cambio di regime?

All’esterno del Paese ci sono delle forze politiche, ricordo che fuori dall’Iran vivono quattro milioni di iraniani, una base consistente, e si tratta di forze molto benestanti e dotate di potere di comunicazione molto grande. Il cambio di regime è un vecchio mantra di alcuni gruppi della diaspora iraniana, essenzialmente ci sono due gruppi: i monarchici, nostalgici della dinastia Pahlavi che hanno una certa visibilità ma sono politicamente piuttosto blandi come gruppo. Ricordiamo però che l’ultimo Shah  (scià) è stato cacciato con la rivoluzione e, a mio avviso, questo gruppo non avrebbe nessuna base concreta di successo.

Ci sono poi i Muhajeddin Khalq (Mko). Si tratta di uno dei grandi paradossi della situazione iraniana: Mko è di fatti una setta che si è trasformata negli anni dal gruppo militante armato di lotta politica e ha trovato accoglienza nell’Iraq di Saddam Hussein e ha combattuto contro il suo stesso popolo nella guerra che si è svolta dal 1980 al 1988. Sono anche stati inseriti da Usa e Ue nelle liste delle organizzazioni terroristiche.

Nel ventunesimo secolo il Mko è sdoganato perché ha reso noto il dossier nucleare iraniano all’estero…si tratta però di un gruppo limitato di scarsa convinzione democratica ed appeal in Iran. Sono noti per la loro violenza e per l’appoggio a Saddam Hussein, inoltre hanno praticato la tattica dell’entrismo facendosi accettare come sostenitori del pensiero liberale e democratico senza esserlo nei fatti. Godono però di visibilità perché personaggi come Rudolph Giuliani hanno giocato questa carta finanziando anche attività in Europa: negli ultimi tempi alcuni esponenti hanno vissuto anche in Francia ed Albania.

Non bisogna dimenticare che esiste anche un grande movimento d’opinione, composto da chi vorrebbe un cambiamento del Paese e vorrebbe superare la Repubblica Islamica, manca però una base progettuale e politico-ideologica come quelle che c’era negli anni ‘60 e ‘70 contro lo Shah. Serve qualcuno in grado di trasformare le richieste in un progetto politico che prevede un cambiamento politico attraverso qualche sponda…c’è una grande capacità di sollevare questi temi ma una scarsissima capacità nel trasformarli in un progetto politico.

Ci sono stati tentativi di riforma, sappiamo della questione della polizia morale…quanto c’è stato di reale in questo caso?

La “polizia morale” non è mai stata chiusa ma sospesa ed è tornata in azione negli ultimi giorni in Iran. Si trattava di una mossa molto tattica e poco strategica: si gioca anche su questi aspetti, grandi dilemmi di questo sistema che è retto da persone che oramai sono molto avanti con l’età e che hanno vissuto e governato un Paese molto diverso. I tentativi di riforma sarebbero necessari anche per la sopravvivenza stessa del sistema ma manca una classe politica coraggiosa.

In vista delle prossime elezioni di febbraio la politica interna si pone degli interrogativi, da una parte c’è una vecchissima guardia-alcuni hanno quasi cento anni- dall’altra parte ci sono politici che capiscono che c’è una popolazione che per il 75% non ha vissuto la rivoluzione del ’79 ed è abituata a confronti con il resto del mondo. Inoltre c’è anche un clero che svolge un ruolo diverso rispetto 40 anni fa.

È chiaro che qualcosa dovranno inventarsi perché sarà difficile contenere il malcontento e non ci sono né le forze né le persone a gestire una cosa del genere. Il vero dilemma sarà alla morte di Khamenei: bisognerà arrivare al passaggio di consegne con un progetto già in mente che sia un potenziamento del ruolo del presidente della Repubblica o la ricerca di una figura che possa conservare il sistema attuale. La seconda opzione è molto più difficile.

 

Ali Khamenei

 

Come si elegge una Guida Suprema? Esiste una procedura?

Finora ci sono state solo due Guide Supreme: Khomeini e Khamenei, quando il primo è morto nel 1989 c’è stato un passaggio molto poco limpido che ha visto alla fine un compromesso tra vari personaggi della Repubblica Islamica che ha portato al potere Khamenei che però all’epoca non aveva nemmeno i requisiti teologici. Non era probabilmente nemmeno ayatollah e secondo la costituzione andava scelto un ayatollah di massimo rango, una “fonte di imitazione” (marja-e taqlid)…si tratta di titoli che non sono assegnati senza una ratio: ci sono corsi di studi ed anche una tesi che va pubblicata.

All’epoca si cambiò la Costituzione per un passaggio da Khomeini a una guida – potremmo dire – un po’ meno “suprema”. È probabile che una situazione del genere possa avvenire anche in futuro, si tratta di una scelta presa dall’Assemblea degli Esperti, un consiglio di religiosi eletto ogni otto anni dai cittadini. Una figura che emerga come futura Guida al momento non c’è quindi potrebbe essere difficile un passaggio di consegne. Da questo punto potrebbe nascere una forma diversa di Repubblica islamica, che sia un compromesso tra le varie anime del sistema.

 

Francesco FatoneGiornalista

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