Intelligenza economica e futuro: quando il digitale è strategico

Big Data, problemi di gestione, tutele. Nuovi orizzonti e nuove problematiche si affacciano sul piano del diritto. Ecco perché il digitale, con le sue molteplici declinazioni come l’intelligenza economica, ha bisogno di spazi più larghi che non il confine nazionale per potersi confrontare con i colossi americani e cinesi che il mondo ha imparato a conoscere come gli OTT (over the top)

1 -L’intelligenza economica nel dibattito pubblico

Parlare alla gente di tecnologia digitale o meglio di quanto le piattaforme digitali viste da un’altra prospettiva sono in grado di fare, come l’intelligenza economica, che non è ovviamente quella del loro “ossessivo” utilizzo per soddisfare quotidianamente i propri bisogni, al netto del Metaverso con i suoi avatar presente oramai in tutti i contesti, rappresenta un salto di qualità di conoscenza culturale alla quale non ci si può più sottrarre. Si chiama responsabilità politica!

Non è solo strategico parlarne, vista la diffusione dei termini nel lessico comune come Big Data ed intelligenza artificiale, al servizio delle innumerevoli applicazioni che ruotano intono al cittadino, ma è necessario per farne comprendere l’utilità come sviluppo individuale e di sistema in un contesto gestionale adeguato.

Infatti l’intelligenza economica può essere considerata come l’anima pulsante di un qualsiasi sistema, città, regione o Paese in grado di consentire, attraverso la gestione “organizzata” dei dati, di migliorare lo stato economico-finanziario e quindi sociale di un intero popolo.

Spiegata in termini semplici non è altro che l’acquisizione ben strutturata e rappresentata del dato (data analytics, data virtualization, data scientist, data governance, ecc) o, per gli addetti ai lavori, dei Big Data, che metterebbero le aziende, le imprese, il settore produttivo e non solo, come il settore sanità dove lo stesso Metaverso sta prendendo piede, nella condizione di migliorare notevolmente il loro grado di performance ed utilizzare strategie innovative come il prevedere tendenze ed anticipare i risultati con l’obiettivo di essere competitivi rispetto ad altri Paesi, in un contesto, tra l’altro, dove la stessa globalizzazione è entrata in una profonda crisi di rivisitazione.

È chiaro che, se da un lato è importante far comprendere al cittadino l’importanza dei dati e della loro funzione come visione strategica, dall’altro tale condizione richiederebbe, da parte delle istituzioni, l’adozione quanto prima di un cloud pubblico per contenere tutti i nostri dati sensibili per la “nostra sicurezza”. Si tratta di dati inerenti la nostra sfera privata, dalla sanità, all’anagrafica, alla giustizia, ai trasporti, che oggi restano esposti alle ingerenze di stati stranieri dove oggi sono depositati “fisicamente” nei cloud che trovano spazio in territori anche remoti.

Un cloud nazionale o europeo, oltre a meglio garantire la tutela dei big data nazionali, aiuterebbe a promuovere la riappropriazione dell’economia, restituendola al territorio e migliorando  il suo livello d’integrazione con il mondo del web. Per rendere competitivo e cooperativo un qualsiasi asset organizzativo è necessario strutturare e gestire in maniera sistemica e professionale i dati che renderanno l’informazione un potente strumento di governo.

Tesi tra l’altro sostenuta da due economisti del calibro di Friedrich von Hayek e Ludwing von Mise che ponevano l’informazione come il bene strategico ineludibile per la sopravvivenza di una organizzazione sia come leva interna per supportare i processi decisionali, sia per migliorare la competitività dell’impresa.

Processo culturale che necessariamente va esteso dal sistema di una qualsiasi organizzazione a Paesi che intendono gestire il livello di competitività Glo-Cale più che Glo-Bale, considerando che il “cambiamento strutturale” di una nazione e quindi la forza che esprime è legato come si sa alle condizioni finanziarie e alla produzione di materie prime provenienti proprio dalle comunità locali, nei confronti di un feroce commercio internazionale globalizzato.

In un modo globalizzato, ancor di più se è in profonda crisi, l’intelligenza economica, espressione anche di una forte integrazione pubblico-privato, non può prescindere da un approccio sistemico e quindi far agire simultaneamente la competitività e la cooperazione in quella che può definirsi come la Next Coopetition Strategy (https://www.linkedin.com/in/necos/recent-activity/), dove la competizione e la cooperazione agiscono simultaneamente per raggiungere obiettivi comuni e di sistema, vuoi che si parli di un’organizzazione o del sistema Paese.

Se l’Europa e l’Italia, fossero in grado di sviluppare un dibattito filosofico-culturale e quindi politico sull’argomento nelle sedi istituzionali competenti e ancor di più se non si riuscissero a dotarsi di sistemi o piattaforme democratiche tali da interpretare le tendenze culturali, della finanza e della relativa economia digitale nell’era della globalizzazione, si darebbe sempre più spazio all’erosione sociale ed economica tra l’altro già avviata. Lasciando sempre più campo libero ai giganti del web, i quali possiedono già molti dei nostri dati consentendogli, in maniera costante e consistente, grazie all’ultima novità di Zuckerbeg il Metaverso in maniera più accattivante, di scavare ancora di più nella nostra mente, nelle nostre vite e nella società pubblica.

Se poi si dà uno sguardo alle città che si stanno orientando verso le cosiddette smart city o “città intelligenti” con incremento di piattaforme come l’internet delle cose (Internet of things- IoT-) e l’internet delle persone (Internet of people – IoP-), dove tutto è collegato, si può facilmente comprendere che il processo di digitalizzazione sociale è già in essere.

Le Istituzioni sono indietro rispetto ai soggetti privati che incalzano e pian piano si sostituiscono alle funzioni pubbliche con l’obiettivo di essere l’unica realtà con cui confrontarsi tanto che le “città intelligenti” cedono tutti i dati alle società d’informatica per gestire online i servizi richiesti. Si sta perdendo senso di competitività, in termini di crescita personale e di skills professionale dei cittadini, e di cooperazione rispetto ad altre realtà che siano esse organizzazioni aziendali, comuni, città, regioni o stato.

Un sistema che pensa di “fare sistema” solo perché a vario titolo è connesso non è in linea con i principi su citati, di una stretta sinergia di collaborazione e cooperazione che consentono di evolvere sia come persona che come contesto. Infatti, l’attuale approccio li fa apparire come città intelligenti, strumento non di crescita partecipativa dei cittadini e del sistema che li ha generati, ma utili per le aziende private di alcuni settori che monopolizzano sempre di più il dato per farne aumentare il loro business. Una realtà che va regolamentata nella sua giusta dimensione culturale, tecnologica ed economica rispetto al core business dei giganti tecnologici delle websoft.

Appare, dunque, necessario definire in tempi coerenti con la necessità di un contesto in velocissimo cambiamento, un sistema strutturato del dato, anche attraverso una piattaforma di “genesi nazionale”, come del resto avviene in tutti i Paesi con una visione strategica dell’uso della tecnologica digitale. L’intelligenza economica scende in campo nel momento in cui i dati devono dare un risultato utile ed essere usati, appunto, in maniera “intelligente”.

Per farlo devono essere sottoposti ad un attento lavoro di analisi che ne verifichi l’attendibilità e a quel punto l’informazione, se la si allinea e integra al problema da risolvere e al relativo contesto con criteri ed elementi precisi, prende la forma di una nuova conoscenza, finalizzata alle decisioni da prendere, specialmente in un momento storico come quello attuale da affrontare.

 2. IE, politica e diritto. In attesa dell’Europa

L’intelligenza economica va, pertanto, intesa come cultura d’impresa, dunque come strumento che fa traguardare il suo possessore dall’era dell’informazione a quella della conoscenza. Questa disciplina, figlia della globalizzazione dei mercati, deve poi necessariamente misurarsi con l’infosfera e le sue declinazioni, che sono quelle dei media tradizionali ( gli old media, come la tv e la carta stampata) ma anche dei new media incastonati nel cyberspazio di internet e delle comunicazioni digitali.

Il termine “infosfera”, coniato da Alvin Toffler negli anni ’80, trova un’importante affermazione nel lavoro del filosofo italiano Luciano Floridi, il quale svolge una originale ricerca sulla capacità dei media digitali di “formattare” la mente umana. La stessa percezione del mondo, il processo che conduce ogni persona al compimento di una scelta, sia commerciale ma anche politica, sono condizionati dalle tecnologie digitali.

Le nuove tecnologie, peraltro, spesso agiscono in uno spazio che non riesce a definire contorni giuridici adeguati, consentendo ai grandi attori digitali- i cosiddetti Over The Top- di agire in un regime oligarchico e “legibus solutis”, cioè al riparo da limiti di legge o in presenza di norme parziali ed obsolete rispetto alla loro velocità evolutiva e trasformativa.

A ben vedere le liberaldemocrazie, gli ordinamenti giuridici che dichiarano il massimo livello di sensibilità nei confronti del diritto alla riservatezza, sono quelle dove quel diritto viene massimamente violato, ceduto con totale inconsapevolezza dagli stessi titolari alle piattaforme digitali che accolgono – e condividono immediatamente- dati sensibili concernenti dimensioni di intimità o sfere private legate alla finanza, alla sanità e altro ancora.

È curioso registrare come l’infosfera annulli differenze culturali abissali, come possono essere quelle che caratterizzano un europeo rispetto a un cittadino asiatico: la filosofia greca, l’impronta religiosa giudaico-cristiana, il rinascimento, le rivoluzioni illuministe hanno consolidato nella cultura dell’occidente europeo (e statunitense) l’idea dell’anteriorità della persona umana rispetto anche alla forma-Stato, considerando quasi sacrale il diritto alla riservatezza, inteso come un prolungamento della personalità di ogni essere umano.

A differenza della concezione occidentale quella orientale, d’impianto confuciano in particolare, antepone il bene della collettività a quella del singolo, relegando il diritto alla privacy in un ordine inferiore. In ragione di questo, infatti, è possibile che lo stato s’ingerisca nella vita privata del cittadino attraverso strumenti di controllo che vanno dallo smartphone alle telecamere disseminate per tutto il territorio nazionale e questo non solo in un contesto di regimi autoritari o autocrazie occhiute, ma anche nella moderna e filo-occidentale Singapore, forse la smart-city più avanzata del mondo, ma anche la più sorvegliata da centinaia di migliaia di smart-objects.

La differenza tra un giovane cybernauta italiano che posta sui social le foto delle sue passioni e delle sue imprese, ignorando che nella rete tutto resta incistato ad imperitura memoria, ed un giovane singaporiano, aduso all’asportazione quotidiana del suo privato da parte delle autorità pubbliche, sta nel fatto che quest’ultimo è consapevole di non avere più privacy, l’italiano, invece, no.

Nuovi orizzonti e nuove problematiche si affacciano sul piano del diritto, che rincorre con il fiato corto l’imprendibile velocità di trasformazione delle nuove tecnologie digitali. Innanzitutto perché l’infosfera è, per sua natura, sovranazionale e non riesce ad essere racchiusa nei recinti esclusivi di una legislazione nazionale.

Gli stessi apparati sanzionatori appaiono inadeguati e talvolta addirittura risibili: si pensi che il Testo Unico sulla privacy, che raccoglie le disposizioni in materia di dati personali, concepito con un decreto legislativo del 2003, ha visto la luce nel 2004. Più o meno al tempo degli avatar di second life: la preistoria.

Ma quand’anche avessimo norme più recenti- come quelle del recepimento del Regolamento Generale Europeo del 2016- sarebbero comunque norme e sanzioni nate già obsolete e non in grado di offrire garanzie di regolazione efficace, perché lo stesso iter legis sarebbe indubitabilmente più lungo e macchinoso delle innovazioni che la tecnologia digitale è in grado di produrre con una velocità con cui la norma non riesce a competere. Ecco perché il digitale,  con le sue molteplici declinazioni come l’intelligenza economica, ha bisogno di spazi più larghi che non il confine nazionale per potersi confrontare con i colossi americani e cinesi che il mondo ha imparato a conoscere come gli OTT. In altri termini: se la regolazione giuridica rischia, oltre un certo limite, di rivelarsi insufficiente, occorrerà attrezzarsi per essere player in questa grande partita mondiale, spezzando il duopolio Sino-Americano con un Over The Top europeo. E’ un’esigenza fondamentale, almeno quanto quella di un esercito europeo, non solo per dare senso politico alla comunità degli stati che si riconosce nell’UE, ma anche perché senza, la presenza di ogni singolo stato europeo nell’infosfera, dal più grande al più piccolo, resterebbe subalterna se non meramente esornativa. Non abbiamo visto grandi segnali di consapevolezza in questo senso nei programmi dei partiti in lizza nella partita elettorale del 25 settembre. Ma è lecito sempre sperare in un ravvedimento virtuoso.

 

Pino PisicchioProfessore Ordinario di Diritto pubblico comparato e già deputato in numerose legislature                                                     

Felice UngaroMedico, studioso dell’applicazione degli algoritmi alla medicina, e della conseguente dimensione economica

 

 

 

 

 

 

La strana maggioranza di centrodestra

Giulio Andreotti, riferendosi ad una sua criticata presidenza del Consiglio, sbottò: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia.” L’andazzo Read more

Sconfitta in Basilicata e querelle sul simbolo: la clessidra del Pd scorre veloce

È stato un inizio di settimana impegnativo per il Pd. Primo colpo: la sconfitta in Basilicata, prevista ma non per Read more

Stellantis, Bonanni: gli stabilimenti italiani non corrono rischi, anzi

Nel nostro "viaggio" nell’industria automobilistica italiana, che ha visto processi di ristrutturazione e di costituzione di gruppi produttivi multinazionali, sentiamo Read more

Gabriele Fava all’Inps, il nome che convince

Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha confermato l’indicazione del governo per la nuova presidenza dell’Inps. Il nuovo presidente è Read more

Articolo successivo
La Nato alla prova del fuoco
Articolo precedente
La Galleria di Eufemi. Giuseppe Gargani, paladino della giustizia contro il protagonismo della magistratura

Menu