Per gustare al meglio le decine di ritratti di personaggi pubblici, italiani e stranieri, non solo della politica ma della cultura, della Chiesa, della società civile – che con una meritoria iniziativa la casa editrice Luni ha pubblicato, con il titolo FACCE DA CASTA. Luci e ombre del potere– occorre spendere due parole per ricordare alcuni tratti dell’autore, soprattutto ai più giovani.
Noi siamo dell’opinione di Sainte-Beuve, il massimo critico letterario francese dell’Ottocento , che spiegava le opere con la vita e la personalità degli autori; tutto il contrario del professore crociano di Perna che, racconta lui stesso, rifuggiva dal parlare dell’autore soffermandosi solo sull’opera.
Fin da quando faceva il cronista parlamentare, seguendo i lavori delle commissioni della Camera dei Deputati, Perna diventò un punto di riferimento per i giornali: le sue cronache non erano semplici resoconti, ma pezzi che illustravano con competenza e acribia la legge in discussione, ne approfondivano vari risvolti, e soprattutto si segnalavano per la esattezza ( la dote che Pulitzer indicava come massima qualità del giornalista), la completezza, e la brillantezza di scrittura. Finché un giorno Montanelli lo arruolò nelle file del suo Il Giornale, “rubandolo” all’ANSA.
Perna di suo aveva già una solida formazione giuridica, un rigoroso senso delle cose e della vita, nonché una scrittura graffiante e senza fronzoli ( “Il papa deve pagare”, così formulò il lead di un resoconto di un discorso del ministro del Tesoro Andreatta alla Camera che in politichese aveva fatto capire la stessa cosa, a proposito di un contenzioso finanziario e fiscale tra Italia e Vaticano, ma Perna, come il ragazzino della favola sul vestito dell’imperatore, disse la verità senza orpelli e senza giri di parole. Facendo saltare sulla sedia l’allora vice direttore dell’Ansa, propenso a una formula meno diretta. Ma Perna resisté.
Questi ritratti raccolti nell’antologia spaziano nell’arco temporale di una decina d’anni, tra il 2013 e il 2022 – sono comparsi sul Giornale, su Libero e sulla Verità. Ma è al Giornale, prima diretto ( e fondato) da Montanelli poi da Vittorio Feltri che risale, in primis, la fama di questi ritratti. Lo racconta lo stesso autore: Feltri un giorno decise di presentare in prima pagina “i grandi ritratti di Perna”, l’autore si sentiva a disagio, e non per falsa modestia, ma perché schivo di natura, e anzi commenta autoironicamente: sono cose che possono creare antipatie perfino in famiglia.
Ciò che sorprende di questi medaglioni è la loro attualità, la loro perdurante ragion d’essere. Fatta la tara di alcuni elementi ovviamente contingenti, i ritratti reggono perché costruiti secondo una logica intrinseca e strutturale legata allo studio psicologico e comportamentale del personaggio di volta in volta preso in esame ( o di mira, secondo i punti di vista). Anzi in qualche modo – e questa è un’altra chiave di lettura – si può andare a ritrovare in questi medaglioni una capacità di antivedere il futuro del personaggio fatto oggetto del ritratto.
Non c’è, in queste descrizioni, un animus pregiudizialmente ostile, anche se l’autore non nasconde in alcuni casi le sue aperte antipatie e simpatie. Nell’introduzione è perfino spiegato il perché, quasi la “poetica”, di questi ritratti: “scrivere un ritratto – afferma Perna – è segno di ottimismo. Significa credere nelle persone, come sono e come pensano…. Ma è anche un atto di incosciente coraggio”. Querele e lamentele a parte, di cui non si è curato, l’autore osserva con qualche stupore, che è anche il nostro, che nessuno si riconosce nel ritratto che gli è dedicato. Tutti immaginano di meritare il meglio.
Entriamo un po’ nell’officina del ritrattista: “non ho mai interpellato l’interessato per chiedergli chiarimenti o conoscere i particolari della sua vita. Per il ritratto servono i testimoni: l’intimo, l’amico, il simpatizzante, l’avversario, il nemico, l’equidistante. Dal frullato dei giudizi, esce l’uomo. Poi sulla base dell’indagine, io scrivo come sotto dettatura”.
Sotto dettatura e vai col tango. Nello scrivere il ritratto, l’autore procede con il mettere insieme una serie di dati, non omettendo anche quelli più sgradevoli, e così schizzando e pennellando viene a delinearsi la variegata immagine del personaggio. E a volte l’autore lo conclude con un paio di frasi per suggellare il concetto, nel dubbio, improbabile, che il lettore non avesse già capito di che stoffa è l’uomo o la donna di turno.
Notevoli, in molti casi, gli incipit, in cui l’autore sembra voler mettere sul tavolo le carte che giocherà: a volte il ritrattista non esita a dichiarare la sua antipatia o disistima verso il ritrattato. Nulla di male in questo; il giornalista, diceva Salvemini, può certamente esprimere le proprie idee, l’importante è essere intellettualmente onesti. E di onestà intellettuale Perna ne ha da vendere.
Leggiamo, per esempio, questo incipit del ritratto dedicato a Urbano Cairo: “Dotato di una sana psicologia elementare, racchiusa nel motto “pago, pretendo”, Urbano Cairo è l’imprenditore più in forma d’Italia. Da anni non sbaglia una mossa. Senza voli pindarici ha costruito una holding di prim’ordine. Niente di innovativo: editoria, pubblicità, televisioni”. Chiamato Berluschino perché seguì le orma del Cavaliere in vari campi, si obietta che la politica è l’anello che gli manca per perfezionare l’identità con il Cav. E qui Perna fa il suo affondo che è anche una previsione azzeccata: “Ma allora sfatiamo che Silvio e Urbano siano eguali. Mi limito a questo. Con Berlusconi, bonaccione esuberante, si sono arricchiti in tanti, compreso chi si è fatto un nome attaccandolo. Cairo, tipo tosto, si arricchisce solo lui, lasciando agli altri le briciole. Quanto basta, mi sembra, per escludere gemellaggi”.
Irriverente rispetto, libertà di giudizio e intransigenza morale. Perna diventa severo, anzi usa proprio la frusta, quando ha sotto mano personaggi, della cosiddetta Prima Repubblica, di solito democristiani, ma non solo, persi nelle manovre di palazzo ed estenuatisi nella conservazione del potere. In certi casi è tranchant: Casini? È la porta girevole della politica nazionale. Casini ( il ritratto è del 2011) è in politica da 30 anni senza mai aver avuto un’idea. Poteva dedicarsi al cinema, con il suo fisico imponente, e la sua voce “da Otello”, oscurare Giuliano Gemma e Franco Nero: si è però buttato in politica e messo a confronto con il conte di Cavour e Giovanni Giolitti. Lì è cascato l’asino”. E Franceschini? “Dario è il maniaco del comando e dà il peggio di sé quando non lo ha perché comincia a intrigare”. A sinistra, c’è un pendant dei due personaggi su citati: Walter Veltroni, al quale Perna riserva espressi liquidatorie analoghe. Per esempio questa: “Come nessuno è capace di riempire pagine di giornali senza dire nulla”. “Comunista per decenni, crollato il Muro, dichiarò di non esserlo mai stato”. Non mancano gli sfottò a proposito dell’intenzione, mai attuata, di ritirarsi in Africa, finito il mandato di sindaco di Roma. “Scolaro modesto, abbandonò per inidoneità gli studi classici, ripiegando su un diploma di cineoperatore. All’università non si è mai affacciato. É dunque un autodidatta, il che non gli ha impedito di essere ministro della Cultura, come l’autodidatta Benedetto Croce lo fu dell’Istruzione. Il filosofo mi perdoni il raffronto”
Affollata è la galleria dei personaggi “illustrati” ( Angela Merkel e Marine Le Pen, Viktor Orban e Christine Lagarde, Mario Monti e Mario Draghi, Giuliano Amato, Dario Fo e Roberto Saviano, sono solo alcuni esempi): i componenti del pool mani pulite Davigo e Antonio ( Totò) Di Pietro. Del pool Perna fa questa istantanea: “Nacque un’alleanza tra opposti: Di Pietro fu soprannominato ” il troglodita”, Davigo ( per il quale non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti) il “dottor sottile”. Fecero squadra cooptando il pm Gherardo Colombo. Il trio si divise i compiti: Di Pietro interrogava impaurendo gli imputati con urlacci, l’occhialuto Colombo compulsava le scartoffie, il più tecnico Davigo vergava richieste di carcerazione, rifiuti di scarcerazione, prolungamenti di carcerazione”.
Non vengono risparmiati gli intellettuali e gli scrittori. Camilleri? Chiamato il Simenon italiano, arrivato a tarda età alla fama e alla gloria, è stato sopravalutato e Simenon sottovalutato. Sull’autore di Gomorra, Roberto Saviano, dopo aver detto: Nessuno con così poco è salito su un podio tanto alto, Perna chiude i conti così: “In questo dire e non dire ( a proposito della sua origine ebraica sefardita, che Saviano intendeva schermare, NdR), come quando si impanca, si esalta e si loda, Saviano mostra un lato infantile e irrisolto. Paga lo scotto di chi si è trovato in ima senza doversi arrampicare”. Che, condivisibile o no, è comunque un giro di frase quasi aforistico che lascia il segno. Come alcune battute – e ce ne sono tantissime disseminate nei ritratti : De Mita che si aggira per Montecitorio come “un gitante”; oppure fare il sottosegretario a Scajola, per dire che si fa il vice di uno che non ti lascia spazio perché fa tutto lui.
Carofiglio? Più che alla fama di giallista, scrive Perna, deve la notorietà al fatto di essere spalla televisiva di Lilli Gruber . I due si puntellano a vicenda e sprizzano complicità da ogni fibra. Lilli e Gianrico sono affini. Sono entrambi fieramente di sinistra, ai limiti dell’agit-prop. Hanno come faro il Pd di cui Carofiglio fu senatore dal 2008 al 2013. Sono tutti e due portati a massacrare il detestato di turno con l’aria salottiera di chi annega una mosca in un calice di cognac”.
Sfogliando l’indice dei ritratti, il lettore si imbatte in ex capi di Stato: Oscar Luigi Scalfaro, di cui l’autore delinea pirandellianamente uno Scalfaro 1 e 2. “Da baciapile parruccone si trasformò in una serpe tout court quando Silvio Berlusconi entrò in politica. Divenne velenoso e sleale.. Da anticomunista ( i comunisti restano tali anche quando sono in pigiama, diceva) si trasformò nel primo alleato del Pd-Pds contro l’intruso di Arcore, considerato l’Anticristo.
E Napolitano? Da presidente della Camera s’adontò per un articolo di Perna e nonostante l’aplomb british disse che se l’avesse incontrato l’avrebbe insultato, e se avesse replicato, l’avrebbe preso a sberle. A Napolitano Perna rimprovera la sua “proverbiale prudenza che sfiora la pusillanimità” nel non aver fatto nulla, con il presidente del Senato Spadolini, per far cancellare l’istituto dell’immunità parlamentare: la vollero i fondatori della Repubblica, ricorda l’autore, per evitare che le toghe potessero influire sul funzionamento della politica. E anche Spadolini, “un altro che aveva pura della sua ombra, con Napolitano seguì “il gregge senza il coraggio di ammonire che la politica si suicidava”. Luci e ombre della vita politica di Napoltano – da migliorista guardava a Craxi, ma quando il leader socialista cadde in disgrazia “‘o sicco”, come veniva chiamato per distinguerlo da Giorgio Amendola, ‘o chiatto, non fece una piega. “Maramaldeggiò. In un libro autobiografico scrisse:”’L’ascesa di Craxi fu un fatto perverso’ “.
Forte è la tentazione di fare …un’antologia dell’antologia, tanti e tali sono i passi anche gustosi e fulminanti di moltissimi ritratti. Ma, per usare un termine di moda, non vogliamo spoilerare, e una recensione si deve limitare ad acuire la curiosità su un libro non a raccontarlo nei dettagli. Tuttavia non possiamo tralasciare, nel concludere, una parte dei ritratti che riguardano le vette del potere religioso e civile.
Eh già perché nella galleria ci sono due papi, quello regnante e il predecessore, e l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e un ritratto di Giorgia Meloni, quando non era ancora presidente del Consiglio e tantomeno vincitrice delle elezioni, e proprio per questo più significativo come vedremo, per la sua caratteristica quasi anticipatrice delle gesta del personaggio.
Il lettore forse pensa che, dopo aver fustigato sia pure senza programmatica cattiveria, ma sulla base di motivazioni fattuali, personaggi del milieu politico, giornalistico ( agrodolci o aciduli? i ritratti di Gruber, Lerner e Scalfari), davanti alle somme autorità Perna indossi l’abito diplomatico e cambi registro stilistico e linguaggio? Niente affatto, ed è anche in questo non solo il valore di questi ritratti raccolti in antologia ma anche la dimostrazione esemplificata del giornalismo di Perna, che può sembrare sì sospinto da uno spirito a volte “partigiano”, ma è anche animato da un afflato etico e da una visione rigorosa delle istituzioni e dell’impegno civico e politico.
Su papa Francesco, l’autore ha idee ben precise e non esita a dirle.”Salito in cattedra, il papa ha assunto due facce: paterna per le folle, in piazza san Pietro, arcigna invece nei riguardi dei confratelli dentro le mura vaticane. Francesco predilige lo scontro diretto”
Poi Perna passa alla teologia bergogliana: “c’è un solo peccato mortale nella teologia di Francesco, la frenesia per il denaro. Sugli altri tradizionali valori cattolici – eutanasia, aborto, divorzio, omosessualità ecc – il papa passa sopra con la formula usata per i gay: Chi sono io per giudicare? Vedendolo buono e caro nei riguardi del mondo e dispotico in Curia, alcuni vaticanisti hanno scritto che il Papa “gronda misericordia da tutti gli artigli”.
Poi Perna liquida: “in nome del dialogo il Papa si è adeguato all’onda del secolo: rinnegare i propri usi per aprirsi a quelli estranei. Perciò condanna la tradizione, annacqua i dogmi, smorza i riti. All’opposto, esalta le religioni altrui, i sincretismi, il rimescolamento delle genti. Con Francesco – e sembra una conclusione che sa di epitaffio politico – l’ecumenismo cattolico che doveva conquistare il mondo, si è dissolto nel mondo invece di permearlo”.
Le simpatie di Perna vanno invece a papa Ratzinger, chiamato a un compito che avrebbe voluto evitare, poi arrivò il momento in cui “ingravescit aetas”. Gli anni di Benedetto XVI sono stati anni delle sfide: ha combattuto il relativismo, e il relativismo è dilagato. Ha chiesto scusa per i preti pedofili e un tribunale del Texas l’ha imputato. Per moralizzare ha vietato l’accesso ai seminari chi “pratica l’omosessualità” e i gay lo hanno vituperato. Ha steso la mano all’Islam, che però per poco non gli lanciava una fatwa per una citazione vecchia di secoli. Ha dichiarato il suo amore speciale per l’Italia e l’Italia gli ha negato l’aula dell’Università di Roma per un discorso. Finché, stanco, il Papa, venuto dal Paese dei Superuomini è tornato uomo tra gli uomini.
E ora veniamo a Mattarella ( ritratto scritto nel 2017, quando era già presidente della Repubblica). Leggete questo passaggio, scritto peraltro da chi è stato compagno di liceo del futuro presidente:
“É piuttosto difficile starlo ad ascoltare per l’atonicità della voce, la mancanza di balzi umorali, l’imperturbabilità del viso. Non lo si direbbe mai un siciliano questo presidente che pare scolpito in pietra sulla lunetta di un duomo medievale (notate l’incisività di questi giri di frase che, come tanti altri disseminati nei ritratti, mostrano la tempra di scrittore di Giancarlo Perna, NdR). Era così anche da liceale, silente e distaccato. Lo ricordo nel cortile dei maristi, al San Leone Magno di Roma – lui sezione B, io A, classi diverse – guardare gli altri discutere e scherzare, dicendo distrattamente la sua. É lì che ha contratto una sorta di disinteresse per l’effetto che fa quando parla. .. Sull’immigrazione, Sergio Invoca Papa Francesco , “fonte di ispirazione e punto di riferimento”, lo definisce. Ma che razza di presidenza è mai questa? Siamo tornati al papa re”.
“Anche la sua presunta mitezza è relativa”, sfata Perna. Ha la tipica tolleranza dei cattolici che vale finché non li intralci. Se però ti metti di traverso, crocchiano come dannati. É lo stile Rosy Bindi , legatissima a Mattarella insieme al quale affossò la Dc nel 1994: santa comunione ogni domenica, randellate dal lunedì al sabato ( c’è anche lei la pasionaria ex dc e poi pd nei ritratti, e come al lettore è facile intuire, non sono rose e fiori NdR). Fu il nostro Sergio, un antiberlusconiano antemarcia a cominciare a combattere il Cav prima che entrasse in politica ( dimettendosi con altri quattro ministri dal governo Andreotti nel 1990 per protesta contro la legge Mammì, la prima legge di sistema delle radio tv pubbliche e private).
E chiudiamo, come avevamo detto, con il ritratto dedicato a Giorgia Meloni, scritto nel 2018, quando l’attuale leader di Fdi era all’opposizione e il suo partito non andava oltre il 4 per centro.
Il medaglione riservato a Meloni è un esempio di come questi ritratti, apparentemente datati, mantengano una loro valida attualità, perché nella descrizione del personaggio sono messe in evidenza alcune caratteristiche fondanti della psicologia e della struttura comportamentale del personaggio. Dopo averne segnalato la “brillante parlantina”, la chiarezza dell’eloquio e la incisività del modo di argomentare, Perna si domandava già nel 2018: “É un vero peccato che gli elettori non la premino come merita. É lei che attira. Il partito, che pure le dà un tetto, le sta stretto. Alle comunali di Roma, dove si candidò a sindaco, Meloni attirò il voto del 20% dei romani, più del suo partito che si fermò al 13”.
E ancora: “anche se non decolla, Fdi, di cui Giorgia Meloni è presidente, resta una medaglia. É infatti nella storia d’Italia l’unico partito fondato da una donna che sia entrato in parlamento. Altri record: a 31 anni ministro della Gioventù, e la più giovane presidente della Camera. Perna però avverte: ci vuole un pizzico di fortuna perché le cose vadano bene come sono andate a lei. Ma c’è anche la sostanza. Meloni è una che si prepara allo spasimo, anche per una semplice intervista Tv. C’è la sua prontezza di riflessi per cui spara la risposta già a metà domanda. Questa fulmineità non l’aiuta a raggiungere un obiettivo che pure si è posto: attenuare l’inflessione romanesca che in un salotto stride come un dialetto della Val Brembana”.
In un Paese spesso senza memoria, questi ritratti che alla fine diventano tante tessere di un mosaico che alla fine è la storia politica, culturale e sociale del nostro Paese, aiutano a ricordare , come direbbe Primo Levi, che “questo è stato”, che “questi sono stati”. La memoria infatti è anche la chiave della pubblicazione di questa antologia: lo dice lo stesso autore a chiusura di un ritratto, quello di Violante, di cui aveva illustrato le varie e crescenti metamorfosi, da capo del partito dei giudici a garantista: “Se è vero che oggi Violante è un altro uomo, è anche vero che l memoria non guasta mai”.
La memoria infatti ci salverà? Sarebbe drammatico che così non fosse. Ecco perché non bisogna prendere alla lettera il noto aforista polacco, autore di “Pensieri spettinati”, Stanislaw Lec, che ha scritto: La gente non legge; se legge non capisce; se capisce non impara; se impara non ricorda”. Prospettiva scoraggiante, meglio scongiurarla.
Simone Massaccesi – Redattore