“L’inumano della guerra e l’umanesimo che tace”.
Ispirandosi a questa idea, e ancor più all’attuale situazione del nostro tempo, Carlo Alberto Augieri, professore universitario di ermeneutica e di critica del testo e poeta egli stesso, ha organizzato un ciclo di incontri itineranti in alcuni Centri del Salento, (che di Comuni ne ha quasi cento, senza contare le frazioni).
L’idea è stata quella di far partecipare anzitutto i poeti del luogo dell’incontro e poi di allargare gli inviti ad altri poeti di Comuni della provincia.
Non per fare una passerella, una specie di spettacolo. Tutt’altro.
Augieri è alieno da questo tipo di manifestazioni, al punto che, quando gli ho proposto di farne una in una rinomata e affollata località balneare della riviera salentina, non diciamo di quale versante, ha reagito con un certo piglio deciso e indispettito, tipico dell’uomo mite quando protesta (attenti all’ira dei calmi, ci ricorda l’Ecclesiaste).
Non ci penso nemmeno – ha risposto il Professore – non mi va di riempire il vuoto delle serate di vacanzieri distratti parlando delle tragedie della guerra e dei bambini di Gaza a persone sedute ai tavolini magari, aggiungo ora io, sorbendo un gelato o compulsando il cellulare.
Troppo drastico e severo il professore Augieri? Ma no, è che egli ha una concezione profonda, quasi sacrale della poesia, e rifugge dagli aspetti troppo esibiti e alla fine autoreferenziali, esibizionistici, tipo passerella, di certi modi di presentare poesie.
Questi incontri sono già diventati tre.
Il primo si è svolto a Lecce, il secondo nel teatro comunale di Nardò, un gioiello architettonico di fine ‘800, che riproduce in scala il San Carlo di Napoli, a cui il progettista si è ispirato.
Il terzo incontro di poeti salentini – in dialogo – si è tenuto all’aperto, in una piazzetta suggestiva di Martano, capoluogo della Grecìa salentina (accento sulla i). Altri incontri seguiranno dopo l’estate, in altri centri del Salento, Maglie, Galatina, Gallipoli, Copertino. Agli organizzatori arrivano inviti da associazioni culturali e anche da volenterosi e giovani assessori alla Cultura, interessati alla poesia e anche alla formula di questi incontri.
Tutto ciò non deve stupire, perché Il Salento, o la Terra d’Otranto, corrispondente alle attuali province di Lecce-Brindisi-Taranto, è terra anche di poeti: basterebbero, tra i tanti, i nomi di Vittorio Bodini (“La luna dei Borboni”), di Antonio Verri, prematuramente scomparso, di Girolamo Comi, il barone-poeta, di Salvatore Toma, pubblicato da Einaudi, di Claudia Ruggeri, giovane poetessa, apprezzata da Dario Bellezza e incoraggiata da Franco Fortini, già più che una grande promessa della poesia italiana che neanche trentenne pose tragicamente fine alla sua vita, vinta dal disagio dell’esistenza e dall’insopportabile “male di vivere”.
Il ruolo della Casa editrice Milella
Gli incontri di poeti salentini sono organizzati dalla Casa editrice Milella, che opera come forza animatrice di cultura con molteplici iniziative nel Salento, diventato ormai meta trendy di un turismo massivo non privo anche di alcuni aspetti deteriori. Il Salento non è solo terra di sagre (dal riccio alla pagnotta, dalle lumache ai “pezzetti” di carne di cavallo, con tutto il rispetto per queste forme tradizionali di festa popolare); non è solo terra di pizzica e di feste della taranta, ma ogni anno che passa si arricchisce di iniziative più specificamente culturali, dalla presentazione di libri, a convegni a mostre d’arte moderna e contemporanea, a esposizioni del creativo artigianato salentino..
Questo ciclo di poeti salentini ideato da Augieri si inscrive in questa forma di rinascita e di sviluppo della cultura, con una speciale attenzione al tempo che stiamo vivendo e in particolare alle tragedie della guerra. Il tema unificante di questi incontri è perciò quantomai attuale: l’inumano della guerra e l’umanesimo muto.
Davanti alle atrocità dei conflitti, soprattutto quelli più vicini a noi con le nefandezze che conosciamo –dome e bambini massacrati, ospedali bombardati, ostaggi tenuti a tempo indeterminato e non sappiamo che fine faranno – la poesia cosa può fare? La sua voce come si può udire?
Dobbiamo pensare come Adorno, che disse: fare poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie? Un’affermazione poi rettificata, ma tuttavia forte, che comunque non può essere presa alla lettera: dette dal filosofo della Scuola di Francoforte, dall’autore di Dialettica dell’illuminismo e di Minima moralia, quelle parole devono necessariamente avere un significato più profondo; probabilmente, Adorno voleva dire che dopo Auschwitz tutto è cambiato: non solo per la poesia, chiamata a ben altre necessità di ripensarsi, ma per l’uomo stesso, per cui sarà difficile, eppur necessario, recuperare e ritrovare l’umano che è in lui.
La voce del poeta davanti alle guerre può anche essere il silenzio, “un silenzio che non tace“, per citare il titolo di un libro di poesie dello stesso Carlo Alberto Augieri, pubblicato quest’anno.
Anche il silenzio ha una sua forza, un suo codice linguistico e semantico. Fateci caso: per commemorare una persona scomparsa, per rendere omaggio alla sua memoria, spesso cosa si fa? non discorsi ampollosi e quasi sempre elogiativi, ma un minuto di silenzio!
In quel silenzio a suo modo parlante ci possono essere più verità e forza che in certe parole.
In questo senso anche i versi di Quasimodo: e come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore/ fra i morti abbandonati nelle piazze/ sull’erba dura di ghiaccio/ al lamento d’agnello dei fanciulli/ all’urlo nero della madre/ che andava incontro al figlio/ crocifisso sul palo del telegrafo?/ Alle fronde dei salici, per voto/ anche le nostre cetre erano appese/ oscillavano lievi al triste vento/.
Il poeta Quasimodo fa la scelta del silenzio, ma la sua è una testimonianza ugualmente significativa e presente, il suo è “un grido taciuto” (per dirlo con le parole di Pavese del “verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
In questi incontri di poeti – a cui Beemagazine ha avuto il piacere di dare la sua adesione – gli autori non solo hanno recitato due poesie ciascuno, quasi sempre sul tema della guerra, ma hanno dato un contributo critico a una riflessione sul fare poesia, non tanto alla definizione della poesia che, come le cose ineffabili, non ha bisogno di definizioni (come la felicità in Montale:“e dunque non ti tocchi chi più t’ama)”.
Ma se si può tranquillamente rinunciare a definire “che cos’è” la poesia (Croce ci provò con la poesia di Dante e cadde nello schematismo manicheo di “poesia e non poesia”), si può invece, dire, ed è stato detto, a che cosa può “servire” oggi la poesia: essere per la verità quella che è sempre stata, forza e garanzia di memoria, salvamento dall’oblìo, canto della vita, delle gioie e dei suoi drammi, una forma speciale di conoscenza.
“E tu onor di pianti Ettore avrai, ove fia lacrimato il sangue per la patria versato, e finché il Sole risplenderà sulle sciagure umane”: così Foscolo “promette” ricordo e immortalità all’eroe, a dimostrazione della potenza evocatrice della poesia e della sua capacità di eternare la vicenda umana.
E così in queste serate degli incontri tra i poeti– facciamo solo alcuni esempi non potendo citarli tutti (i nomi si potranno leggere nelle locandine che allegheremo) abbiamo potuto sentire dalla voce di Augieri una poesia sui bambini di Gaza, da Marirò Savoia l’elegia dl soldato israeliano chiamato alle armi e che già avverte il rimpianto della sua amata e delle sue morbide forme; Giovanni Leuzzi che nel dialetto di Cutrofiano dà una rilettura satirica della storia del mezzogiorno d’Italia e dell’epopea garibaldina, o Giuseppe Greco che nel dialetto di Parabita non leggendo ma a memoria come i poeti di una volta recita e improvvisa un canto alla luna e al sogno e al tempo che fu.
O anche la voce scapigliata di Paola Maritati, giovane poetessa dalla corda anticonformista e satirica, emula moderna di Cecco Angiolieri. Per non parlare della voce squillante di un giovane di… 102 anni (102, non è un refuso), Arturo Presta, che ha recitato quasi senza leggere una propria poesia in memoria del bombardamento di Nardò nel luglio del 1943, che costò lacrime e vittime. Sullo stesso luttuoso episodio ha recitato una propria composizione anche il generale Enrico Carmine Ciarfera.
Non posso tralasciare, sia per le poesie recitate (sugli ulivi, pianta secolare del Salento) sia per la riflessione sul fare poesia, di Marco Alemanno, poeta, edito da “La nave di Teseo”, organizzatore culturale, e stretto collaboratore di Lucio Dalla.
Il format, come si dice ora in gergo televisivo, prevedeva anche uno spazio di interventi di non poeti ma amanti della poesia: a Nardò hanno parlato la professoressa Genoveffa Giuri, che tra l’altro ha messo l’accento sulla energia di battaglia civile che la poesia oggi deve avere, e Luigi Nanni, che ha evocato alcuni poeti russi, da Pasternak a Chlebnikov.
Nei tre incontri, pubblico sempre attento e partecipe, inchiodato alla sedia per due ore e mezza a Nardò, per tre ore a Martano, dove una irrefrenabile Anna Stomeo, professoressa di lettere classiche che dirige l’Associazione to kalòn – in questa terra si respira grecità e si parla il greco – e dal consorte professore Paolo Protopapa, che ha concluso l’incontro con un piccolo viaggio nel mondo della poesia e della filosofia, da sempre mondi intercomunicanti.
Un pubblico che ha seguito per ore le voci dei poeti suggerisce una battuta estemporanea: la poesia abitua (o allena) alla Resistenza (con la “r” maiuscola o con la minuscola, ognuno decida secondo coscienza).
Mario Nanni – Direttore editoriale