I Cavalieri del Santo Sepolcro operatori di pace. Un cuore che batte in tutti i Continenti

Palazzo della Rovere, su via della Conciliazione, è la sede prestigiosa dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

L’attrazione visuale della grandiosa Basilica di San Pietro, che fin dalle rive del Tevere attira l’occhio del pellegrino e del turista lascia poco spazio all’attenzione per gli edifici che fanno da sponda e accompagnano il visitatore verso il colonnato del Bernini. Eppure Palazzo della Rovere risale agli ultimi tempi (1475) dell’antica straordinaria Basilica costantiniana di San Pietro, quando ancora si discuteva cosa fare di essa: se continuare a restaurarla o erigerne una nuova.

Pochi sanno che Palazzo della Rovere è anche uno scrigno di arti pittoriche e architetture originate in quella fase di mezzo che dall’Umanesimo al Rinascimento stava traghettando le grandi trasformazioni dell’Urbe.

Oggi accoglie una delle più antiche istituzioni cavalleresche a cui è demandato il compito di occuparsi della Terra di Gesù: quasi un ritorno di sollecitudine per quei luoghi sacri da cui era partito il Pescatore di Galilea che sul Colle vaticano aveva dato la sua suprema testimonianza di fedeltà a Cristo.

L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, sub collatione pontificia, ha un cuore che batte in tutti i continenti con i suoi trentamila membri – Dame e Cavalieri – che assicurano col proprio diretto contributo economico oltre l’ottanta per cento delle spese istituzionali del Patriarcato Latino di Gerusalemme; un budget destinato a fini sociali, caritativi ed educativi senza preclusioni.

La Terra Santa continua ad essere l’orizzonte del sodalizio laicale fin da quel 1847, allorquando Pio IX ricostituì il Patriarcato latino e poi nel 1868 ricompose l’Ordine, in seguito aggiornato da Leone XIII, Pio X e dai successivi pontefici.

Nel 1219 San Francesco, recatosi in Palestina al tempo della quinta crociata, aveva presentito che le crociate non avrebbero apportato un miglioramento ai luoghi sacri della Terra Santa, anzi producevano contraddizioni e la violenza era il denominatore comune nelle relazioni tra cristiani e musulmani; così Francesco chiese ai suoi frati di prendere la cura discreta e fattiva dei luoghi della memoria di Gesù, a beneficio dei pellegrini.

Fu una grande rivoluzione metodologica nell’approccio con la Terra Santa che passò quasi inosservata per il tempo, ma di cui oggi vediamo l’eccezionale importanza sul piano spirituale, culturale e politico.

Nella medesima ottica francescana, l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro non ha la spada, né programmi di conquista, ma un progetto di bene che i pontefici hanno voluto che si sviluppasse in collaborazione e in sostegno alla Chiesa latina di Gerusalemme, la quale si estende oggi a tutta la Palestina, Israele, la Giordania e Cipro.

Per chi ama quella Terra in cui è apparsa la Rivelazione divina e che da sempre è stata meta di pellegrinaggi, tutto ciò non può non apparire un ideale entusiasmate e fortemente gratificante.  Così entrare nell’Ordine, che affonda le sue radici storiche nei lontani secoli XIII-XIV, significa oggi comprendere che la dignità dei suoi membri non proviene da linee genealogiche, né dalla volontà di un sovrano terreno.

L’Istituzione è pontificia e trae la sua costituzione e identità da un nobile ideale spiritualmente connesso alla radice della fede – la morte e la risurrezione di Cristo – facendo propria la missione di animare ovunque nella comunità ecclesiale lo zelo verso la Terra di Gesù, di sostenervi la Chiesa e la presenza cristiana e assumendo un serio impegno per la pace e la fratellanza.

Si tratta di aspetti che il Concilio Vaticano II aveva consacrato, segnando una frattura profonda nei confronti di secolari contrasti, discriminazioni, condanne politiche, sociali e religiose: le relazioni tra cristiani, ebrei e musulmani erano destinate a germogliare nuovamente su quell’antico ceppo abramitico sopravvissuto a tante calamità.

Noi non possiamo non lodare coloro che – scrisse il Concilio – rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto alla portata anche dei più deboli, cioè mettendo in atto quella pacifica attitudine che nasce però dalla ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità e apre la strada alla fratellanza umana (Gaudium et Spes 78).

I Padri conciliari avevano così sentito già allora come proprio dovere quello di promuovere nuove relazioni verso coloro, gli ebrei, con cui i cristiani condividevano lo stesso vincolo spirituale nel Dio di Abramo, esecrando tutte le persecuzioni e le manifestazioni dell’antisemitismo di ogni tempo e da chiunque provenienti; al tempo stesso, volle, anche verso i musulmani, che adorano l’unico Dio, vivente, sussistente, misericordioso e onnipotente che  si aprissero prospettive nuove di amicizia, di rispetto e di collaborazione (Nostra Aetate, 3-4).

La visione dell’Ordine, pertanto, guarda con fiducia e partecipa alla missione della Chiesa promuovendo decisamente, con il proprio sostegno, le opere educative e di carità, i valori della giustizia, della pace e della fratellanza dei popoli.  Il Documento sulla «Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune»di Abu Dhabi (2019) ne indica oggi ancor più chiaramente la direzione e traccia il solco in cui l’Ordine del Santo Sepolcro cammina e si situa.

Pertanto, chi entra nell’Ordine deve avere il desiderio di collaborare, testimoniando con la propria vita cristiana la fede in cui crede e con la carità l’impegno concreto e generoso verso la Terra Santa, certo di poter incidere nel futuro di bene per quella martoriata regione. I legami che si richiedono verso la Terra Santa e il Santo Sepolcro originano una duplice dimensione, spirituale e caritativa, e fanno partecipare, come ebbe a dire Giovanni Paolo II nel 2003, alla vocazione di essere costruttori di amore e di pace e di una civiltà che va oltre le diversità.

In tempi ancora di profonde divisioni, di frazionismi politici e sociali, di muri che dividono, di lotte sanguinose, di esasperanti rivendicazioni, essere strumento che aiuti a «riorganizzare la speranza» (una bella espressione di don Tonino Bello, il Vescovo molto amato dalla gente di Puglia e in via di beatificazione), è per l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme una vocazione assai gratificante, perché senza la speranza non c’è futuro. Ne Il portico del mistero della seconda virtù, C. Péguy faceva dire che Dio tra le virtù preferisce la speranza: “Quello che mi stupisce è la speranza. Non me ne capacito.  Questa piccola speranza che ha l’aria di essere nulla. Questa bambina speranza. Immortale”.  È ciò che una Dama e un Cavaliere del Santo Sepolcro porta nel cuore come vocazione.

*Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro

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