Sono oltre duemila gli arresti della nuova ondata di proteste che sta accendendo i campus americani. Le università e le loro manifestazioni sono il simbolo, ormai, del dissenso da sinistra verso la politica estera del Governo di Joe Biden a favore di Israele nella guerra nella striscia di Gaza.
L’episodio più drammatico è avvenuto alla UCLA di Los Angeles: agenti in tenuta anti sommossa hanno arrestato all’alba oltre 130 dimostranti, sgomberando gli accampamenti di protesta che emulavano quelli, ormai noti, della Columbia di New York.
Dovevano essere casi isolati, stanno invece diventando un caso politico.
Il presidente Joe Biden, direttamente chiamato in causa, è palesemente imbarazzato e stretto tra l’esigenza di non rinunciare a due diversi elettorati, ormai in palese antitesi: da una parte quello più giovane e radicale di sinistra, che guarda con il fumo negli occhi alla politica estera a favore di Israele, dall’altra quello più moderato e vicino alle posizioni atlantiche storiche a favore di Gerusalemme.
Gli ultimi, in particolare, sono rappresentati dalla “Jewish Community” americana che, soprattutto sulle due coste e nel mondo accademico, è storicamente progressista e democratica. Una comunità che sta vivendo con insofferenza l’attuale momento storico e che si sente tradita dalla sinistra americana, dove dichiara di cogliere atteggiamenti anche dichiaratamente antisemiti.
In questo contesto, il partito democratico è quello che ha più da perdere.
Una grossa fetta di questa comunità voterà probabilmente Donald Trump e il partito Repubblicano, per allontanarsi dalla forte influenza che la sinistra radicale continua a esercitare sul partito democratico e, inevitabilmente, sull’Amministrazione Biden.
Anche l’incapacità di gestire le diverse proteste sta allontanando l’elettorato moderato dai democratici, spingendo da una parte i governi cittadini di sinistra a sgomberare gli atenei con l’intervento della polizia, dall’altra a radicalizzare gli interventi e gli attacchi del partito Repubblicano.
Ma sono anche i giovani a preoccupare l’entourage del presidente in carica: secondo un sondaggio dello Harvard Youth Poll sui giovani sotto i trent’anni, il vantaggio tra questi di Biden su Trump è crollato dai 23 punti di distacco del 2020 ai soli 8 di oggi. Secondo l’autorevole sondaggio di Siena College Polls per il New York Times, tra gli under 45 è testa a testa tra Biden e Trump.
(Fonte: Siena College Polls per il New York Times)
Anche per queste ragioni il partito democratico sta intensificando gli sforzi per escludere le candidature indipendenti in molti Stati Usa: il timore è che i giovani ostili a Joe Biden siano tentati di votare per candidati radicali come Cornel West, Kill Stein o Robert Kennedy Jr., disperdendo voti preziosissimi per Biden.
Insomma, nel tentativo di conservare il voto delle diverse e frastagliate anime del proprio partito Joe Biden rischia di perderne fette consistenti, almeno nella stretta misura necessaria a far vincere Trump.
I sondaggi restano fluttuanti, l’affluenza sarà ancora una volta decisiva: gli indecisi sono la maggioranza e si confermano il fattore di maggiore incertezza di questa nuova tornata elettorale, anche a causa dell’impopolarità galoppante di entrambi i candidati che non è mai stata così alta. Un solo punto percentuale a livello nazionale rischia di far propendere la bilancia a favore di uno o l’altro candidato, soprattutto negli stati in bilico: per questo i campus universitari preoccupano, e non poco, Joe Biden. Rischiando di costargli la conferma alla Casa Bianca.
Giorgio Borrini – Giornalista e analista geopolitico