La guerra di Putin in Ucraina ha messo in grande evidenza la dipendenza energetica dell’Italia, e dell’Europa, dal gas russo. Per Davide Tabarelli, fondatore e presidente di Nomisma Energia e professore a contratto nella Facoltà di Ingegneria di Bologna e nel Politecnico di Milano, questo evento drammatico dovrà vedere l’Europa più unita, più attenta nel diversificare la produzione elettrica e più realista nell’impegno per la transizione ecologica. E l’Italia, facendo tesoro di questa amara lezione, deve continuare e accelerare quanto ha fatto in questi anni: diversificare le forniture di gas, potenziando quelle del Nord Africa, dei Balcani e del Nord Europa, e cercare soluzioni tecnologiche per accumulare l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili.
Professor Tabarelli, mentre noi parliamo il ministro degli Esteri Di Maio è in Qatar con l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi per parlare di una politica energetica europea: è una modalità, e un approccio, che auspicavamo?
Ha fatto bene il ministro ad andare in Qatar perché questo Stato ha miliardi e miliardi di gas nel suo sottosuolo ma il problema è che non è disponibile da subito. Perciò bisogna accelerare e dare una mano per investire e poter avere il gas liquefatto, il GNL. Dal Qatar, noi già ne importiamo sette miliardi di metri cubi all’anno coprendo così il 10% della nostra domanda di gas. Il problema, però, è che negli ultimi anni non sono stati fatti investimenti in esplorazione e in nuova capacità produttiva in Algeria, negli Stati Uniti, in Olanda e anche da noi. Per questo serviranno parecchi anni. Qualcosa in più possiamo spremere da quanto è operativo adesso, forse uno, due, speriamo anche dieci miliardi di metri cubi.
Ma si può parlare di politica energetica europea?
Anche parlare di politica energetica europea è un fatto positivo ma ci si muove con lentezza. La politica energetica europea è una cosa che dura da molti anni, le stesse fondamenta dell’Unione Europea sono nell’accordo energetico CECA – Comunità Europea Carbone e Acciaio – che, se non ricordo male, è del 1953, poi seguito da quello dell’Euratom – Comunità Europea dell’Energia atomica, del 1957. Ma negli ultimi 20, 30 anni, la politica energetica europea è stata improntata solo a liberarci dalle energie fossili, a favore delle rinnovabili, per realizzare la transizione energetica ecologica e, facendo questo, ci siamo distratti troppo finendo con l’avere un’altissima dipendenza di gas, in particolare dalla Russia e adesso, in questa situazione drammatica, occorre una sterzata veloce e anche brusca.
Poco prima dello scoppio di questo conflitto, lei aveva caldeggiato che in Italia tornassimo a far ricorso al gas che abbiamo nel nostro sottosuolo e che, dal 2000, abbiamo progressivamente smesso di utilizzare: come mai?
Sì, all’inizio siamo stati molto bravi a sfruttare il gas nazionale, che costa pochissimo e noi ne avevamo tanto. Eravamo negli anni ’90, e ne avevamo bisogno perché l’Eni, “facendo cassa” in abbondanza, riuscì a sanare finanziariamente la sua struttura e poté essere quotata più facilmente in Borsa, come avvenne nel 1995. Qualche anno prima, quindi, riuscimmo a tirare fuori fino a 21miliardi di metri cubi di gas nostro ma poi, dopo questa spinta, iniziò il calo supportato anche dall’ostilità ambientalista. Nel contempo, i prezzi del petrolio scendevano ai minimi storici e l’Eni, diventando sempre più internazionale, doveva cercare gas a prezzi ancora più bassi. Poi, nel 2010, ci fu l’incidente ambientale del Pozzo Macondo, nel Golfo del Messico, che spinse i nostri legislatori a fare una legge per gli impianti offshore i cui effetti li vediamo ancora adesso: una complicazione giuridica enorme che voleva regolare la perforazione in Italia rendendola estremamente difficile. Tutte queste cose insieme ci hanno fatto perdere quell’occasione della produzione nazionale che, l’anno scorso, si aggirava intorno ai 3 miliardi di metri cubi.
E ora parliamo delle energie rinnovabili di cui abbiamo reso più basso il costo agganciandone il prezzo a quello del gas, è corretto?
La gran parte delle energie rinnovabili serve per fare elettricità. L’elettricità si vende in Borsa dove è tutta uguale sia che provenga da rinnovabili, da carbone, da gas o da importazioni e viene, quindi, venduta ad un prezzo unico, che è determinato da meccanismi che adesso sono legati al prezzo del gas. Questo fatto ha generato una perversione che, però, è tardi per criticare quando, per anni, le fonti rinnovabili hanno creato un’abbondanza di offerta che ha fatto crollare i prezzi dell’elettricità in Borsa, che è il contrario di quanto sta accadendo adesso.
Questi prezzi bassi sono stati poi trasferiti anche sulle bollette…
Esattamente, e con prezzi ancora più bassi, facendo diminuire le fonti rinnovabili e impattando la domanda di gas, facendo calare il suo prezzo: queste sono dinamiche di mercato e questa tragedia fa parte di uno shock energetico storico e i meccanismi di mercato sono quelli, in passato non ce ne siamo accorti ma le fonti rinnovabili hanno avuto remunerazione bassissima e hanno contribuito a ridurre i prezzi. Adesso queste fonti rinnovabili rimangono, come allora, con dei risultati marginali, non risolvendo certamente, se non in piccola parte, la dipendenza dell’energia dalla Russia.
Stoccaggio europeo del gas, ritorno all’utilizzo di quello nostrano, ulteriori investimenti sulle rinnovabili: queste sono alcune proposte che esponenti del governo, e non solo, stanno pensando per uscire, almeno nell’immediato, da questa eccessiva dipendenza: siamo sulla pista giusta?
Dobbiamo intanto distinguere cosa si può fare nell’emergenza immediata e nel lungo termine. Per l’emergenza immediata ben venga la gestione comune delle scorte, cosa che di fatto c’era già: una regolazione europea per la gestione così come direttive e codici di rete europei. Ma hanno sbagliato, perché la scorsa estate in Germania avevamo le scorte troppo basse. Sappiamo che la Commissione sta lavorando per un nuovo regolamento che renderà obbligatorio per tutti i Paesi avere, per la prossima estate, scorte piene, e questo è già un primo passo. Però non basta, perché non risolviamo il problema del dove andiamo a comprarle, se non dalla Russia.
Come affrontare allora l’emergenza?
Bisogna usare più carbone subito, riaprendo più centrali a carbone, dove si può in tutta Europa, e non solo in Italia, perché il prezzo del gas e dell’elettricità, in Italia, dipende da quello che succede in tutta Europa.
Può fare un esempio per spiegare questo punto?
Per esempio, questo inverno noi abbiamo avuto scorte alte ma non c’è stata alcuna incidenza sui prezzi in Europa dove, invece, risentivano delle scorte basse della Germania. Poi, bisogna mandare al massimo le centrali nucleari francesi e anche l’Inghilterra deve riaprire le centrali a carbone per liberare del gas proveniente dalla Norvegia per farlo mandare a noi e al resto d’Europa. Stessa cosa la Germania, che si è già attivata, deve rinviare subito la chiusura delle tre centrali nucleari che aveva previsto di chiudere entro quest’anno e riaprire quelle che ha appena chiuso. Siamo in guerra e bisogna prendere decisioni difficili e brutte.
Noi, in Italia, cosa possiamo fare?
Per riprendere la produzione di gas nazionale ci vogliono anni, quindi, per il prossimo inverno in cui siamo più scoperti, possiamo fare più biomassa e permettere alle persone di utilizzare più legna e pellet; possiamo prevedere la sospensione di produzioni e di fornitura di elettricità per alcune fabbriche: tutte cose da poveri ma in guerra bisogna fare anche così. È infine necessario accelerare l’apertura di nuovi parchi eolici e fotovoltaici, che sono sospesi, ma per questi ci vuole tempo.
E sul lungo termine?
Non dobbiamo inventarci niente ma fare, in Italia e nel mondo, quello che abbiamo fatto nell’ultimo secolo: diversificare, provare ad abbandonare i fossili per l’ambiente anche con la spinta di questa drammatica crisi, visto che abbiamo capito quanto siano pericolose le autocrazie che vivono con le esportazioni di risorse naturali come gas e petrolio: Russia, Venezuela, Libia sono Paesi che vivono in questo modo.
Diversificare, creare nuove interconnessioni tra Paesi per non essere dipendenti solo da un singolo…
Dobbiamo rafforzare tutti i canali, impiantare nuovi tubi: pensiamo a Zohr, il ricchissimo giacimento di gas dell’Egitto: l’Italia, con l’Eni, ha sviluppato lì un impianto in tempi record. Certo ci sono anche là dei problemi politici tra Cipro e Turchia, tra Israele ed EgittoIn Algeria, è da tempo che non si fa più esplorazione, l’attuale produzione si basa su quanto fatto da Eni e altre società petrolifere tanti anni fa. Stessa cosa in Libia che, però, è un Paese attualmente rovinato dalla situazione politica. Bisogna andare in Nigeria, dove c’è tantissimo gas, e fare nuovi impianti di liquefazione. Ci sono nuove tecnologie per realizzare impianti galleggianti più piccoli che richiedono meno tempo di realizzazione.
E poi?
Bisogna anche cercare di prendere più LNG dagli Stati Uniti. La Spagna, che ha ben sei rigassificatori, per giunta in ampliamento, dovrebbe essere collegata con la Francia in modo da esserlo anche con l’Europa e diventare così un hub per tutti i flussi di GNL che arrivano dagli Stati Uniti, ma la Francia non ha mai gradito di legarsi tanto alla Spagna. Noi avremmo dovuto fare come la Spagna, visto che siamo anche noi una penisola piazzata in mezzo al mare e alle grandi rotte…
In questo momento drammatico, la decarbonizzazione, e quindi la transizione ecologica, stanno subendo una battuta di arresto?
Da un lato, dobbiamo fare una pausa ma dall’altro possiamo anche dire che vengono accelerate perché, specie se puntiamo sulle rinnovabili, che sono dipendenti da sole e vento e non provengono da nessun Paese, ci permettono di contrastare il cambiamento climatico, solo se sviluppiamo quelle tecnologie che possono consentire l’accumulo dell’energia che producono, per poterla consumare quando serve. Come, del resto, siamo riusciti a fare con l’idroelettrico: il nostro sistema idroelettrico, che tutt’ora ci fornisce circa il 20% della nostra elettricità, contro l’8% del solare e il 9% dell’eolico, e che veniva chiamato “carbone bianco”, ha costituito un momento importantissimo nel nostro percorso di Paese senza energia quale siamo sempre stati, rendendoci capaci di conservare l’energia prodotta per poterla usare nei momenti che serve, attraverso tecniche specifiche.
Copertura domanda italiana gas nel 2021 di 76 Miliardi metri cubi
Eleonora Viola