Governo Craxi 40 anni dopo/ Serie di interviste

Stefania Craxi: fu un momento di svolta per l’Italia. Quando Craxi disse ai fedelissimi di Berlinguer: portatelo più spesso a Milano, così vede come gira il mondo

Sul governo Craxi, il primo governo guidato da un socialista nella storia d’Italia, a 40 anni di distanza abbiamo ascoltato alcuni esponenti politici. Cominciamo con questa intervista alla figlia Stefania, più volte parlamentare, oggi senatrice di Forza Italia, già sottosegretario  agli Esteri e ora presidente delle Commissioni Esteri e Difesa del Senato. Prossimamente proseguiremo con interviste ad altri esponenti socialisti, a qualche politico ex comunista ed ex democristiano, a un famoso sociologo, a uno storico notista politico.

 

 

 

Non avremo una intervista all’on. Giuliano Amato, che del governo Craxi ebbe un ruolo di grande rilievo, fu il prezioso braccio destro quale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Ha preferito astenersi. Peccato. Avrebbe potuto illustrarci dall’interno alcuni meccanismi del modo di governare di Craxi, del suo piglio decisionale (come è scritto in alcune delle domande dell’intervista), il retroscena di alcune vicende ( Ustica, Gheddafi, Sigonella).

Rispettiamo la decisione dell’on. Amato ma altrettanto rispettosamente osserviamo , da analisti politici di qualche esperienza, che egli sui rapporti con Craxi probabilmente non ha ancora chiuso tutti i conti con se stesso. Un punto, questo, che accenniamo appena, perché rischiamo di entrare in tutt’altra orbita di concetti. Potrebbe diventare materia non di analisi politica ma, piuttosto, di psicanalisi ( sia pure alla politica applicata)

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Il 2023 sono trascorsi 40 anni dal governo Craxi. Senatrice, che cosa resta di quell’esperienza di governo durato quattro anni?

Se a distanza di decenni ancora si parla, si discute, si critica o si assume ad esempio quell’esecutivo è del tutto evidente che ha lasciato un segno indelebile nella storia repubblicana. Ancora oggi, e lungo tutto il corso della cosiddetta seconda Repubblica, il Governo Craxi rimane un termine di paragone, non solo per la sua longevità, che non ha eguali in tutta la prima fase repubblicana, ma anche perché ha rappresentato un momento di svolta per l’Italia, all’insegna della crescita, del benessere e di una ritrovata centralità internazionale.

Spieghiamolo ai giovani che al tempo del governo Craxi non erano neanche nati: in che cosa consisteva la novità del governo Craxi?

Non è stato solo il primo esecutivo a guida socialista della storia, un governo forte e autorevole anche per la sua composizione – ricordo che ne facevano parte tutti i principali leader di partito della coalizione che lo sosteneva – ma ha incarnato l’ansia di futuro degli italiani, la volontà di un popolo di mettersi alle spalle una stagione triste e buia come gli anni di piombo, dando loro una speranza e, soprattutto, creando le condizioni per il riscatto del Paese. Ai giovani di oggi direi che il Governo Craxi non è solo quello dei meriti e dei bisogni, ma anche quello delle possibilità, perché ha dato un’opportunità a tutti.

Molti, ricordando il governo Craxi, si fermano a Sigonella, il punto più alto di affermazione della sovranità nazionale, che suscitò l’applauso alla Camera anche dei comunisti. Oltre Sigonella, che cosa andrebbe ricordato del governo Craxi?

Andrebbero ricordate più e più cose. Dal decreto di San Valentino, che tagliò di 3 punti percentuali la scala mobile, agli accordi di Villa Madama, che sancirono la riforma dei Patti concordatari del ’29, fino alla lotta all’inflazione – un male che ci sta nuovamente affliggendo – che in pochi anni passò dal 12,3 al 5,2 per cento. Quello fu davvero il governo del cambiamento. E poi, come non ricordare i successi internazionali: l’ingresso nel G7, che segna la presenza dell’Italia fra i grandi della Terra, l’Atto unico europeo, che avvia il processo di costruzione dell’Unione che Craxi immaginava assai diversa da quella che poi si è andata formando, i tanti accordi internazionali con i Paesi rivieraschi della sponda sud del Mediterraneo. E potremmo continuare molto a lungo!

Della Grande Riforma, che Craxi agitò come bandiera di rinnovamento dello Stato, quali proposte conservano una validità e attualità?  Che cosa andrebbe rilanciato?

Craxi lanciò già nel 1979, con un corsivo vergato sull’Avanti!, dal titolo “Ottava legislatura”, l’idea di una Grande Riforma dello Stato che affrontasse non solo il tema della governabilità ma che rivitalizzasse e normalizzasse la vita politico-istituzionale del Paese. È stata una proposta tanto osteggiata quanto profetica: le molte crisi di questi anni, il ricorso a formule emergenziali, spesso in contrasto con il volere dei cittadini, per non parlare dell’incapacità strutturale del sistema di far fronte all’esigenze della modernità e di un tempo che si connota per la velocità dei cambiamenti, sono la riprova di una necessità ancora elusa. Per questo, mantengono ancora oggi una validità di fondo, specie l’idea di una riforma del sistema in senso semi-presidenziale.

Da quale necessità muoveva l’idea di una riforma complessiva dello Stato?

L’idea della Grande Riforma conteneva in sé l’intento di far evolvere la democrazia italiana, dare vita ad un sistema dell’alternanza ponendo fine ad una democrazia bloccata.  Era la risposta politica, e non populistica e demagogica alla crisi italiana, ovvero quella che in parte fu declinata come “questione morale”. Peccato che le tante resistenze, dei comunisti in primis, lo impedirono: non è un caso che ancora oggi ad invocare la sacralità del dettato costituzionale siano coloro che ne hanno fatto stracci. Craxi era anche consapevole che servisse un momento di pacificazione nazionale, un atto istituzionale in cui potessero rimarginarsi definitivamente le ferite del dopoguerra.

La battaglia per la delegificazione, la polemica sul Parlamento che perdeva tempo a fare leggi sui molluschi eduli lamellibranchi o sulla eviscerazione degli animali da cortile, invece di far procedere con atti amministrativi? Il Parlamento continua in questo andazzo?

I problemi dell’oggi non nascono ora. Hanno radici profonde, responsabilità diffuse, alle quali non si è risposto, oppure si è risposto in maniera errata. Oggi credo che la questione di fondo sia piuttosto il rapporto tra i poteri che, su tutti, chiama in causa quello legislativo e il suo rapporto con gli esecutivi. Non parliamo poi di quello con l’Ordine giudiziario! È un problema di sistema, che si può affrontare e risolvere solo con una riforma costituzionale seria, incisiva quanto radicale nei contenuti. Ecco perché ancora oggi l’idea di una Grande Riforma è più che mai viva e attuale. È quello che la politica avrebbe dovuto fare in questo ultimo quarto di secolo, anziché avventurarsi in stregonerie varie con i meccanismi elettorali. Così facendo, cosa ha risolto?

Il modus operandi del governo Craxi prevedeva riunioni preparatorie, in organismi istituiti ad hoc, come il consiglio di Gabinetto. Un metodo che poi è stato abbandonato. Sarebbe ancora valido?

È un metodo assolutamente valido che, a onore del vero, non è stato del tutto abbandonato. Alcune delle “best practices” nate al tempo sono state introiettate e oggi rappresentano la normalità. Cosa diversa è interrogarsi se, rispetto alle trasformazioni avvenute nel corso di questi decenni, esse siano ancora funzionali e non vadano piuttosto riviste e aggiornate. Ma il problema è più vasto, e non interessa solo i meccanismi di organizzazione e funzionamento, ma il sistema politico nel suo complesso, ivi compresa la qualità del personale. Gli stessi partiti erano camere di compensazione che esprimevano proposte, e che di queste facevano sintesi. I ministri potevano contare su un forte supporto delle strutture politiche e il loro ruolo contribuiva a rendere più osmotico il rapporto anche tra Parlamento ed esecutivo.

Con Berlinguer i rapporti  furono pessimi. Il segretario del Pci, invece di salutare la novità del primo presidente del Consiglio socialista, lo definì un pericolo per la democrazia. C’erano anche motivi caratteriali nei loro rapporti?

Caratteri e storie del tutto differenti. Berlinguer era un nobile della politica, intriso di un ideologismo esasperato, figlio di una cultura comunista dalla quale, alla prova dei fatti, non ha saputo o potuto distaccarsi e che comunque non è stato in grado di riformare. Craxi era un riformista pragmatico, con un piede piantato nell’Ottocento, sul piano della difesa dei valori di giustizia e libertà – pensiamo al suo amore per Garibaldi –, e lo sguardo proiettato nel secolo successivo. Ha saputo rinnovare il partito e, prima ancora, il suo armamentario ideologico, ovvero l’idea stessa del socialismo riconnettendosi alle culture libertarie e riformiste delle origini. In Berlinguer ha pesato anche il suo vivere prettamente nella “torre d’avorio” di Botteghe scure a Roma, sempre nel palazzo e circondato da una ristretta cerchia di fedelissimi, piuttosto che in una realtà dinamica, produttiva e ingegnosa come era la Milano del tempo. Craxi viveva, e quindi conosceva quel dinamismo, quella voglia di riscatto che albergava in un’Italia che cambiava nel profondo. Non è un dettaglio. Bettino mi raccontò che una volta disse agli uomini più vicini ad Enrico: «Portatelo più spesso a Milano, così si rende conto di come gira il mondo».

 

 

 

Come si potrebbe definire o descrivere lo stile di governo del presidente del Consiglio Craxi?

Idealista e pragmatico. In due parole: un socialista riformista. Aveva radici e convinzioni profonde alle quali non derogava senza perdere di vista la realtà, confrontandosi con essa, immaginando trasformazioni graduali e al contempo radicali. Era un garibaldino, e questo suo essere lo portò con sé a Palazzo Chigi senza contraddire la sua storia e i suoi ideali, ma facendo convivere questa sua natura, questo suo essere, con le tante necessità e problematiche della vita di governo.

Qual è la cosa meglio riuscita del governo Craxi?

Le sembrerà un paradosso, vista la campagna mistificatoria che sul tema è stata fatta in questi anni, ma credo che una delle cose che gli riuscì meglio, specie se consideriamo l’epoca e il sistema politico in cui dispiegò la sua azione, fu proprio il contenimento della spesa pubblica. Nessuno lo ricorda, eppure basterebbe rileggere le relazioni del governatore della Banca d’Italia del tempo, Carlo Azeglio Ciampi, per ravvisare come lo stesso riconoscesse che l’azione di quei governi incideva pesantemente sulla spesa pubblica. Furono i rimborsi e gli interessi sul debito pubblico, che passarono complessivamente dal 10,5% medio degli anni Settanta al 29,1%, e non la spesa improduttiva, a causare il balzo del debito che, comunque, era minore in cifra percentuale e assoluta rispetto a quello accumulato, senza alcuna crescita per i cittadini, in tutta la “rigorosa” seconda Repubblica. Le ragioni? Il divorzio Tesoro/Banca d’Italia – osteggiato da Craxi e dai socialisti –, l’entrata dell’Italia nello SME che ci costrinse ad alzare e adeguare i tassi d’interesse nominali a quelli tedeschi. Sono fatti, numeri!

E quella non realizzata o rimasta incompiuta perché non ci fu più tempo o perché non era possibile?

Sono tante. Sia sul piano interno che su quello internazionale. Anche durante i tristi giorni dell’esilio, fino agli ultimi istanti di vita, fino a poche ore prima di esalare il suo respiro, Craxi ha sempre lavorato. Produceva idee in continuazione, era affamato, voleva conoscere, sapere, capire. E in questo suo fare ha sempre pensato all’Italia e ai suoi destini.

 

Mario Nanni – Direttore editoriale

 

 

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