Gli studenti e Margherita

Una sorprendente ricerca condotta su 200 studenti delle scuole torinesi per verificare quanto ne sanno dell’evoluzione umana (In occasione del Darwin Day, 12 febbraio 2024)

Sono passati 165 anni da quando il buon Charles, combattuto tra la tradizione progressista e illuminista di una famiglia altoborghese impegnata nelle battaglie antischiaviste, la necessità di non urtare i benpensanti con una teoria che demoliva la Bibbia, e l’urgenza di non farsi “bruciare” sul traguardo da colleghi che, come Alfred Russel Wallace, si stavano pericolosamente avvicinando alle sue stesse conclusioni, decise finalmente di dare alle stampe L’Origine della Specie per mezzo della selezione naturale. Che da allora la sua idea abbia ricevuto tali e tante conferme da non poter più essere definita un’ipotesi, ma una vera e propria legge, come l’acqua che bolle quando viene riscaldata, lo pensa la stragrande maggioranza degli scienziati.

Eppure, in tempi di terrapiattismo reazionario e negazione fino al suicidio di ogni evidenza, si ha l’impressione che anche la statua del grande Darwin vacilli. E se è ancora in piedi, è solo perché, per abbatterla, occorre prima capire, anche solo a spanne, quel che dice, andando almeno un po’ più in là del vieto argomento della “parentela con la scimmia”, che fu l’arma dei suoi primi detrattori. Margherita Micheletti Cremasco, antropologa dell’Università di Torino, ha appena concluso, con il suo gruppo di ricerca, su un’idea di Silvia Boccone, uno studio su 200 studenti delle scuole medie torinesi, per verificare quanto ne sanno dell’evoluzione umana.

In che cosa consistevano le vostre domande?

Tutto è partito da una questione che ci siamo posti noi antropologi: di quel che cerchiamo di trasmettere, che la ricerca sta scoprendo, perché ci sono continue e importanti novità sull’evoluzione umana e sull’antichità dell’uomo moderno, che cosa arriva davvero all’esterno? É ovvio che siano i giovani studenti il vero punto di riferimento per la cultura scientifica. Così abbiamo deciso di esplorare l’immagine che i ragazzi della scuola dell’obbligo hanno dei principi fondamentali dell’evoluzione e se ne comprendono l’importanza anche per la nostra specie.

 Risultato?

Su alcuni aspetti abbiamo trovato qualche risposta condivisa, positiva e corretta. Ad esempio l’origine africana è chiara. Quasi tutti i ragazzi sanno che il nostro percorso evolutivo è cominciato e in gran parte si è diversificato in Africa.

Quali sono, invece, i fraintendimenti più comuni?

Uno è la cronologia: non sanno da quanto tempo siamo sulla terra. Per loro 7 milioni di anni o 200.000 non fa differenza. L’altro è come funziona l’evoluzione, il procedere delle nuove specie, o l’estinguersi di altre. Pochi hanno idea della compresenza di specie diverse dei nostri antenati, o dei nostri affini, nel percorso evolutivo dei primati. Sono fermi a un concetto ormai superato: quello della staffetta, per il quale ogni specie umana passava il testimone all’altra, che proseguiva la corsa. L’immagine del cespuglio, pure quella, in realtà, un po’ logora, a loro non è ancora arrivata. Dobbiamo anche notare un paradosso: l’età infantile dimostra molta curiosità verso i dinosauri, verso la storia evolutiva della vita. Sì, magari l’aspetto scientifico è sacrificato alle suggestioni, vediamo gli Antenati convivere con i tirannosauri, però abbiamo a che fare con i bambini, quindi lo stimolo iniziale, che è fondamentale, c’è. Poi, però, quando si arriva nella scuola, le informazioni non sono aggiornate, e siamo ancora fermi alla confusione tra le ere e le specie. C’è un ritardo di formazione che possiamo stimare in 20 anni, forse anche di più.

Quanto pesano i programmi didattici, la famiglia, la formazione religiosa, nel creare queste lacune?

Dalle risposte, direi che più, e forse prima, dell’influenza familiare e religiosa, pesa lo scarso interesse generale ad approfondire i principi dell’evoluzionismo. Questo riguarda anche la formazione degli insegnanti, la loro capacità e la possibilità di aggiornarsi. Se non conosci, non trasmetti, o non trasmetti in modo corretto. Forse è anche colpa nostra, del mondo della ricerca e dell’Università: non divulghiamo abbastanza, anche se bisogna riconoscere che oggi sono sempre di più e sempre più incentivate le attività di pubblico impegno volte a portare la cultura scientifica fuori dalle mura dell’Accademia. Però, per quanto riguarda la scuola, c’è anche un problema di metodo: antropologia ed evoluzione vengono insegnati nelle ore di Storia nella scuola elementare e nelle ore di Scienze nella scuola media, e l’approccio di queste discipline agli stessi temi è diverso.

A quali aspetti della didattica sull’evoluzione naturale metterebbe mano subito?

A costo di ripetermi, dico che comincerei dalle distorsioni e dalle semplificazioni, in particolare, dalle illustrazioni. Una società che vive d’immagini, non può prescindere dall’iconografia e dai video. Come faccio a raccontare la complessità dell’evoluzione umana, se poi la rappresento ancora con la favoletta della scimmia che scende dall’albero, comincia a correre sulle nocche, poi si alza, perde il pelo e diventa uomo? É un modo sbagliato, oltre che antiquato, di descriverla, dovuto anche a pigrizia intellettuale. Equivale, appunto, a liquidarla, non a renderla interessante. Certo, non è semplice intervenire su questi modelli iperbanalizzanti, perché oggi la formazione e l’informazione sono intrecciate: la scuola può fare poco contro la valanga di notizie, senza alcun pedigree, che arrivano da internet e dai social.

Che rimedi suggerisce?

Sarebbe necessario un maggior impegno nella formazione scientifica. Il Ministero dovrebbe rivedere i suoi programmi, partendo dai livelli più semplici, fino alle revisioni di alcuni volumi di testo, pensando anche a corsi a orientamento specifico per gli insegnanti, soprattutto di Scienze.

 E i giornali? Non hanno anche loro qualche colpa verso Darwin?

Fanno quel che possono, si adeguano al mercato: lettori e telespettatori se ne vanno e, per fermarli, i mass media puntano sulla mediocrità e non sulla qualità. Probabilmente una migliore istruzione potrebbe creare una richiesta di informazione scientifica più aggiornata e anche specializzata, perché il giornalismo generalista, su questi temi, segna il passo.

L’evoluzione, come diceva Jacques Monod, si basa su due elementi: il Caso e la Necessità. Lei ritiene che questo concetto, e in particolare il ruolo del caso, sia particolarmente ostico per il nostro cervello, che sarebbe portato naturalmente a ragionare in modo finalistico?

Forse, però, se riusciamo a formulare delle ipotesi non finalistiche, vuol dire che il nostro pensiero non è poi così condizionato. Credo che la vera differenza consista nel modo di spiegare Darwin e tutto quel che oggi sappiamo sull’evoluzione e sui meccanismi con cui tutti gli organismi, “inseguono” i cambiamenti ambientali. Dobbiamo adattare il linguaggio all’età, alle capacità cognitive, e ovviamente anche alla cultura scientifica di chi ascolta. Per questo, ritornando alla didattica, a qualsiasi livello, è importante fare una progettazione complessiva, organizzando anche l’ausilio degli strumenti audiovisivi più adatti.

Quanto è diffuso, il Creazionismo, in Italia? Si è mai imbattuta in qualcuno che lo sostiene? Anzi, mi scusi, glielo chiedo senza giri di parole: lei è credente? E, se sì, come fa a conciliare…

Le rispondo in questo modo, che forse è l’unico possibile. Tempo fa ebbi un lungo dialogo con l’allora direttore della casa editrice Salesiana, don Mario Filippi, sulla compatibilità tra fede e scienza in termini di evoluzione umana. Uscii da quel colloquio rincuorata, posso continuare a credere ed essere una scienziata seria.

La teoria del “Progetto Intelligente”, legata alla figura del paleontologo-chierico Pierre Teilhard De Chardin, è ben vista dalla Chiesa cattolica, perché anticipa la Creazione al Big Bang, perciò riesce a integrare l’evoluzione, anche se, appunto, consegnandola a una dimensione progettuale e finalistica che, in sostanza, contraddice il darwinismo. Lei ritiene che sia un “Creazionismo che fa a meno della Bibbia”, o un serio tentativo di riconciliare scienza e fede?  

La teoria del progetto intelligente di per se non è scienza… Può essere considerata non una semplice retrodatazione della Creazione, ma un’attenzione della Chiesa alle teorie evoluzionistiche, che anche loro non hanno finito di evolversi. Più che a un contrasto, preferisco pensare a un dialogo che si è aperto e che una volta non era nemmeno concepibile.

Avete chiesto agli studenti del vostro questionario a quale specie umana pensano di appartenere?

Sì, e devo ammettere che il quadro emerso è piuttosto umoristico. I ragazzi ricordano, diciamo a orecchio, i nomi più classici dei nostri “antenati Homo” – habilis, erectus, neanderthal, sapiens – ma alla fine solo 27 su cento sanno di essere sapiens.

 Be’, visto che Socrate raccomandava “so di non sapere”, gli altri 73, ignorando di essere sapiens, dimostrano una disposizione innata a imparare.

Guardi, però, che il “so di non sapere” Socratico è diverso da “non so di sapere” degli studenti….

 Touché. Ma, per concludere, che voto darebbe a questi 200 ragazzi sulla loro conoscenza dell’evoluzione naturale, tenendo conto che forse il 10 non si può concedere neanche agli specialisti?

Non riesco a dare la sufficienza, eppure non sono considerata una professoressa “cattiva”.

 

Maurizio MenicucciGiornalista, autore di documentari televisivi

 

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