“Qui tutti pensano che vincerà Donald Trump, io credo invece che vincerà – di poco – Kamala Harris, soprattutto per il voto delle donne”. Per Antonio Di Bella, quella tra Harris e Trump è la nona elezione presidenziale seguita sul campo. La prima fu la sfida tra Bill Clinton e George W. Bush senior, era il 1992. E la sua profezia – un po’ estorta per essere sinceri – è figlia della lunga esperienza ma anche dai fatti delle ultime settimane.
“Il primo ottobre Harris aveva un punto in più nei sondaggi, il primo novembre Trump aveva un punto in più. Quindi Trump ha recuperato, ma siamo ampiamente nel margine di errore. Tutto è possibile, però ho la sensazione che alla fine prevarrà Harris, sul filo di lana, proprio grazie al voto delle donne. Le ultime uscite di Trump (“proteggerò le donne, che a loro piaccia o no”, ndr) hanno suscitato una reazione forte e sono state ovviamente enfatizzate dalla propaganda democratica. Su tutti lo spot di Julia Roberts che invita le donne a tradire i mariti nelle urne e scegliere Harris”.
Decisive le donne e gli swing states (gli stati in bilico) sono ancora tutti contendibili?
Sì, tutti contendibili. Prima però in 4 su 7 era avanti Harris, ora il vantaggio è stato eroso e da questo deriva l’entusiasmo dei trumpiani e l’apprensione democratici.
Tutti decisivi, ma la Pennsylvania più decisivo degli altri?
Sì, soprattutto per numero voti elettorali che in Pennsylvania è il più alto di tutti. Ci sono tanti fattori in gioco, l’ultimo dei quali è il fattore Portorico. La battuta infelice di un comico ad un comizio di Trump – che ha definito Portorico un’isola di spazzatura in mezzo all’Atlantico. Un danno enorme per gli elettori portoricani ma per i latinos in genere. In Pennsylvania ci sono 300mila latinos e sono molti di più i fan delle star della musica latina che sono scesi in campo, come Jennifer Lopez, Marc Anthony e Ricky Martin. Anche se il passo falso della comunicazione trumpiana è stato in parte ripianato da uno scivolone del gaffeur impenitente Biden, che ha fatto un’altra frittata dicendo di non vedere spazzatura se non tra i sostenitori di Trump. E infatti lui ci è subito saltato sopra dicendo che chi disprezza gli americani non può guidarli.
Ma quella di Biden era una gaffe o esprimeva un sentimento profondo di molti democratici? Quelli che pensano che Trump è talmente invotabile che chi lo vota è peggio di lui?
Questa è la famosa frase di Hillary Clinton sui “despicable people”, cioè che chi vota Trump sono degli animali, delle bestie. Questa è una cosa che pensano anche molti miei amici italiani ed europei. Ed è un errore grave.
Perché?
Intanto lo è politicamente perché se vuoi prendere dei voti non puoi sputare in faccia alla gente, devi capire il loro dolore e le loro sofferenze e provare a offrire soluzioni politiche. In più, non è vero che chi vota Trump è un pazzo, perché vorrebbe dire che la metà degli americani è pazza. La verità è che la maggioranza degli americani senza laurea, bianchi, dell’America rurale soffre per l’inflazione.
Girando per gli Usa si percepisce questa sofferenza?
La può toccare chiunque, basta andare in un qualunque supermercato e guardare i prezzi che fanno impallidire. E non puoi dire a chi va al supermercato di leggere il Wall Street Journal o il Financial Times per vedere che l’inflazione è calata rispetto a 5 anni fa, che l’occupazione è a massimi e la Borsa vola. Chi si sente dire queste cose fa una pernacchia al Financial Times e al Wall Street Journal e vota Trump perché sono stufi degli economisti che spiegano che l’economia va bene mentre loro fanno fatica a portare la spesa a casa.
E l’emigrazione, cavallo di battaglia di Trump?
L’emigrazione è ugualmente un problema in molte zone. A chi vive in Texas o in Arizona e quando torna a casa ha i messicani immigrati illegalmente che gli rapinano la figlia o, peggio ancora, la violentano, non puoi dirgli che l’accoglienza è la prima virtù del grande Paese America. Perché di fronte a questa teoria voteranno Trump che promette – in maniera illusoria, fallace e propagandistica – di espellere 8 milioni di immigrati. È qualcosa di molto simile a quello che avviene in Europa con il voto dell’estrema destra tedesca che non è fatto di nazisti ma è fatta di persone preoccupate per l’immigrazione, per l’inflazione e per i prezzi della transizione energetica che rischiano di essere pagati dalle classi più deboli. La sinistra in Europa e in America deve dare delle risposte a questi gridi di dolore non semplicemente degli insulti e del disprezzo.
Per restare negli Stati Uniti, Kamala Harris sta dando questo tipo di risposte?
Kamala fa tutto giusto, secondo me. Per esempio sull’immigrazione vuole correggere politiche estremamente aperturiste (tanto che Trump si è opposto per lasciare aperto il problema). Ha parlato di Paese delle opportunità per tutti e non soltanto per le fasce protette (donne, latini, neri). Insomma, ha fatto un ravvedimento rispetto a politiche ultraliberali volute da alcuni settori del partito democratico. Un ravvedimento che per chi guarda con simpatia Harris è pragmatismo necessario e virtuoso, mentre i critici vedono un opportunismo menzognero. Dovrà convincere che una volta eletta lei farà che quel che non ha fatto Biden di cui era vicepresidente.
Quanto pesa la politica estera, in particolare la guerra in Medio Oriente?
La politica estera conta sempre meno di quella interna perché gli americani votano sull’economia, però certamente ha un peso. Trump conta sul fatto che l’America è più debole sul fronte internazionale rispetto al passato e – gioco facile – che quando c’era lui non c’erano guerre. La questione Israele è più complessa. Molti musulmani non vogliono votare Harris perché la ritengono troppo debole rispetto a Netanyahu e in alcuni Stati (tra cui la Pennsyvania) c’è una candidata di estrema sinistra, Jill Stein, molto filopalestinese che potrebbe sottrarre voti ai democratici. Anche se fossero pochi voti, anche l’1%, potrebbe essere decisivo. Tanto che si sospetta che possa avere ricevuto finanziamenti da Trump con questo obiettivo.
Trump invece potrebbe pagare la candidatura di Kennedy jr che – pur avendo appoggiato ufficialmente il candidato repubblicano – in alcuni Stati è ancora presente sulla scheda?
Esattamente, a specchio. Peraltro la storia americana insegna che i candidati in più non possono mai vincere ma possono far perdere.
Cosa succede negli Stati Uniti se vince Harris e cosa se vince Trump?
Ci saranno contestazioni, denunce e forse anche scontri. C’è una situazione molto tesa, di un’America divisa in cui nessuno riconosce l’altro. Anche se vince Trump ci saranno problemi, però le milizie trumpiane sono più organizzate e hanno già promesso d’intervenire, mentre quelle harrisiane sono più sparpagliate e spontaneiste.
C’è chi ha parlato esplicitamente di un rischio guerra civile.
Io non credo che questo accadrà, anche se molti americani ormai non si riconoscono tra loro. Nei giorni scorsi l’Abc ha messo due famiglie americane a confronto, una democratica e l’altra repubblicana. Erano in disaccordo su qualunque argomento tranne che sui media, ritenuti da entrambe le famiglie parte del problema.
Credi alla teoria per cui Trump stia preparando il terreno per parlare di brogli in caso di sconfitta.
Sì, i trumpiani stanno diffondendo sondaggi falsi per poi poter dire “fermate il furto” – il famoso “stop the steal movement” che fu la premessa dell’assalto a Capitol Hill. Come dire: “Noi avemmo vinto, ma ci avete rubato la vittoria”, perché Trump ha già detto che accetterà un solo risultato: la vittoria. Qualsiasi altro sarà – secondo lui – frutto di brogli.
Cosa cambia fuori dagli Stati Uniti se vince l’uno o l’altra?
Se vince Harris, prosegue la politica di Biden, ovvero: alleanza con l’Europa, appoggio alla Nato, opposizione a Putin e Cina e pressione su Netanyahu per chiudere l’offensiva militare e avviare un accordo di pace che porti in prospettiva alla creazione di uno Stato palestinese.
E se vince Trump?
Accordo in 24 ore con l’espulsione di Zelensky e una stretta di mano a Putin, taglio fondi alla Nato e mano libera a Netanyahu per “finire il lavoro”, come ha detto esplicitamente Trump. E in economia ci sarà un protezionismo isolazionista che porterebbe – con i dazi – prezzi più alti per prodotti stranieri tra cui quelli italiani. Sarebbe un guaio per tutti noi al di là di come la si pensi politicamente. Anche il trumpiano più sfegatato non può non vedere che Trump al potere sarebbe un danno per un italiano medio.
Mimmo Torrisi – Giornalista